Disturbi ossessivo-compulsivi

Il disturbo ossessivo-compulsivo è caratterizzato da ossessioni, compulsioni o entrambe le cose. Le ossessioni sono idee, immagini o impulsi di tipo ricorrente, persistente, involontario, intrusivo e ansiogeno. Le compulsioni (definite anche rituali) sono particolari azioni o atti mentali che i soggetti si sentono spinti a compiere ripetutamente per cercare di ridurre o prevenire l’ansia causata dalle ossessioni.
 
  • La maggior parte dei pensieri e dei comportamenti ossessivi-compulsivi è in gran parte associata alla preoccupazione di farsi male o correre un rischio.
     
  • I medici diagnosticano il disturbo quando un soggetto presenta ossessioni, compulsioni o entrambe le cose.
     
  • Il trattamento può comprendere la terapia di esposizione (con prevenzione dei rituali compulsivi) e alcuni antidepressivi (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina o clomipramina).
     
Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è leggermente più comune tra le donne rispetto agli uomini e interessa circa l’1-2% della popolazione. Mediamente, il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) compare intorno ai 19-20 anni d’età, ma oltre il 25% dei casi inizia prima dei 14 anni (vedere anche Disturbo ossessivo-compulsivo nei bambini e negli adolescenti). Circa il 30% dei soggetti con DOC ha avuto o ha un disturbo da tic.
 
Il DOC è diverso dai disturbi psicotici, che sono caratterizzati dalla perdita del contatto con la realtà, sebbene in una piccola minoranza di casi di DOC non vi sia alcuna introspezione, e si differenzia anche dal disturbo ossessivo-compulsivo della personalità, sebbene i soggetti affetti da tali disturbi possano tuttavia condividere alcuni tratti comportamentali, come l’essere ordinati, affidabili o perfezionisti.
 

Sintomi

I soggetti affetti dal disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) hanno ossessioni, ovvero pensieri, immagini o bisogni che si ripresentano in continuazione, anche se il soggetto non lo desidera. Queste ossessioni sono intrusive anche quando il soggetto sta pensando ad altro o è impegnato a fare altre cose. Inoltre, le ossessioni generalmente provocano una forte angoscia o ansia. Le ossessioni di solito comportano pensieri incentrati sul farsi male, rischiare qualcosa o essere in pericolo.
 
Le ossessioni comuni comprendono quanto segue:
 
  • Preoccupazioni legate a una possibile contaminazione (ad esempio la paura che, toccando il pomello di una porta, si possano contrarre delle malattie)
     
  • Dubbi (per esempio, preoccuparsi del fatto che la porta non sia chiusa)
     
  • Preoccupazione per il fatto che gli oggetti non siano perfettamente allineati o in ordine
     
Poiché le ossessioni non sono gradevoli, il soggetto frequentemente tende a ignorarle e/o a mantenerle sotto controllo.
 
Le compulsioni (definite anche rituali) sono una risposta alle ossessioni. Ad esempio, il soggetto si sente spinto a compiere qualcosa di ripetitivo, finalistico e intenzionale per cercare di ridurre o alleviare l’ansia causata dalle ossessioni.
 
Le compulsioni comuni comprendono quanto segue:
 
  • Lavaggi per eliminare la contaminazione
     
  • Ripetuti controlli per allontanare i dubbi (ad esempio, controllare molte volte che la porta sia chiusa a chiave)
     
  • Conteggi (ad esempio, ripetere un’azione un certo numero di volte)
     
  • Mettere in ordine (ad esempio, sistemare le posate o gli oggetti da lavoro seguendo uno schema specifico)
     
La maggior parte dei rituali, come il lavarsi continuamente le mani o il controllo ripetuto della porta chiusa, è osservabile. Altri rituali, come il conteggio ripetuto o il borbottare delle frasi che hanno lo scopo di ridurre il pericolo, non lo sono.
 
I rituali devono essere eseguiti in un modo preciso, secondo delle regole rigide. I rituali possono essere associati logicamente all’ossessione oppure no. Nel caso di compulsioni correlate logicamente all’ossessione (ad esempio, farsi una doccia per restare puliti o controllare i fornelli per prevenire un incendio), la compulsione è chiaramente eccessiva. Ad esempio, un soggetto può farsi la doccia per ore tutti i giorni o controllare i fornelli 30 volte prima di uscire di casa. Tutte le ossessioni e i rituali sono dispendiosi in termini di tempo, il soggetto può perderci molte ore al giorno. Possono causare uno stato di malessere così significativo oppure interferire così tanto con le attività quotidiane da compromettere la vita attiva del soggetto.
 
La maggior parte dei soggetti con DOC hanno sia ossessioni sia compulsioni.
 
La maggior parte dei soggetti con DOC è in qualche modo consapevole del fatto che i pensieri ossessivi non riflettono un rischio reale e che i loro comportamenti compulsivi sono eccessivi. Tuttavia, alcuni sono convinti che le loro ossessioni siano ben fondate e che le loro compulsioni siano opportune.
 
La maggior parte dei soggetti con DOC è consapevole del fatto che i comportamenti compulsivi sono eccessivi. Per tale motivo, spesso eseguono segretamente i rituali, anche se questi richiedono diverse ore ogni giorno.
 
Di conseguenza, i sintomi del DOC possono portare a un deterioramento dei rapporti sociali e il soggetto può risentirne per quanto riguarda i risultati in ambito scolastico o lavorativo, o in altri aspetti della funzionalità quotidiana.
 
Molti soggetti con DOC presentano anche altri disturbi di salute mentale: in circa il 75% dei casi viene diagnosticato anche un disturbo d’ansia permanente, in circa il 40% un disturbo depressivo maggiore permanente e nel 23-32% un disturbo ossessivo-compulsivo della personalità. Nel momento in cui viene formulata la diagnosi di DOC, in circa il 15-20% dei casi è presente un disturbo depressivo maggiore.
 
Da oltre un quarto a circa due terzi dei soggetti con DOC a un certo punto ha pensieri suicidari e dal 10 al 13 per cento tenta il suicidio. Il rischio di un tentativo di suicidio aumenta se è presente anche un disturbo depressivo maggiore.
 
 

Cos’è il disturbo ossessivo-compulsivo

Il disturbo ossessivo compulsivo è caratterizzato da pensieri, immagini o impulsi ricorrenti. Questi innescano ansia/disgusto e “obbligano” la persona ad attuare azioni ripetitive materiali o mentali per tranquillizzarsi.

Talvolta le ossessioni vengono dette anche erroneamente manie o fissazioni.

Come il nome lascia intendere, il disturbo ossessivo compulsivo prevede l’esistenza di sintomi quali ossessioni e compulsioni. Almeno l’80% dei pazienti ossessivi ha ossessioni e compulsioni, meno del 20% ha solo ossessioni o solo compulsioni.

Diffusione del DOC

Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) colpisce dal 2 al 3% delle persone nell’arco di una vita, indipendentemente dal sesso. Può esordire nell’infanzia, nell’adolescenza o nella prima età adulta. In molti casi i primi sintomi si manifestano molto precocemente, nella maggior parte dei casi prima dei 25 anni (il 15% dei soggetti ricorda un esordio intorno ai 10 anni).

Se il DOC non viene adeguatamente curato, prima di tutto con una psicoterapia cognitivo comportamentale specifica, tende a cronicizzare e ad aggravarsi nel tempo.

Ossessioni e compulsioni nel DOC

Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi intrusivi e ripetitivi, percepiti come incontrollabili da chi li sperimenta. Tali idee sono sentite come disturbanti e solitamente giudicate come infondate o eccessive.

Le ossessioni del disturbo ossessivo-compulsivo attivano emozioni sgradevoli e molto intense, quali sopratutto ansia, disgusto e senso di colpa. Di conseguenza, sentono il bisogno di fare il possibile per rassicurarsi e gestire il proprio disagio emotivo.

Le compulsioni tipiche del disturbo ossessivo compulsivo sono dette anche cerimoniali o rituali. Sono comportamenti ripetitivi (come controllare, lavare/lavarsi, ordinare, ecc.) o azioni mentali (pregare, ripetere formule, contare) finalizzati a contenere il disagio emotivo provocato dai pensieri e dagli impulsi che caratterizzano le ossessioni sopra descritte.

Le compulsioni diventano facilmente rigide regole di comportamento e sono decisamente eccessive, talvolta bizzarre agli occhi degli osservatori.

Tipi di Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC)

Coloro che soffrono di disturbi ossessivi possono:

  • temere oltremodo lo sporco, i germi e/o le sostanze disgustose;
  • essere terrorizzati di procurare inavvertitamente danni a sé o ad altri (di qualunque natura: di salute, economici, emotivi, ecc.) per errori, leggerezze, disattenzioni, sbadataggini;
  • aver paura di poter perdere il controllo dei propri impulsi diventando aggressivi, perversi, autolesivi, blasfemi, ecc.;
  • avere dubbi persistenti rispetto al sentimento che nutrono verso il partner o rispetto al proprio orientamento sessuale, anche se solitamente riconoscono che tutto ciò non è giustificato;
  • sentire il bisogno di svolgere azioni e sistemare oggetti sempre nel “modo giusto”, completo, “ben fatto”.

Sintomi del disturbo ossessivo compulsivo

sintomi del DOC sono molto eterogenei, ma nella pratica solitamente se ne distinguono alcune tipologie. Alcuni pazienti possono avere più di un tipo di disturbo contemporaneamente o in momenti diversi della propria vita.

Contaminazione

sintomi sono ossessioni e compulsioni connesse a improbabili (o irrealistici) contagi o contaminazioni. Sostanze “contaminanti” diventano spesso non solo lo sporco oggettivo, ma anche urine, feci, sangue e siringhe, carne cruda, persone malate, genitali, sudore, e persino saponi, solventi e detersivi, contenenti sostanze chimiche potenzialmente “dannose”. Talvolta le sensazioni di sporco sono innescate anche solo da pensieri immorali o ricordi di eventi traumatici, senza alcun contatto con agenti contaminanti. In questo caso si parla di contaminazione mentale.

Se la persona entra in contatto con uno degli agenti “contaminanti”, o comunque avverte una sensazione di sporco, mette in atto una serie di compulsioni (rituali) di lavaggio, pulizia, sterilizzazione o disinfezione. Ciò allo scopo di neutralizzare l’azione dei germi e a tranquillizzarsi rispetto alla possibilità di contagio o a liberarsi dalla sensazione di sporco e disgusto.

Controllo

sintomi sono ossessioni e compulsioni implicanti controlli protratti e ripetuti senza necessità, volti a riparare o prevenire gravi disgrazie o incidenti.

Le persone che ne soffrono tendono a controllare e ricontrollare. Ciò per essere sicuri di aver fatto il possibile per prevenire qualunque possibile catastrofe. Talvolta per tranquillizzarsi riguardo al dubbio ossessivo di aver fatto qualcosa di male e non ricordarlo.

All’interno di questa categoria vi sono sintomi quali controllare di: aver chiuso le porte e le finestre di casa, le portiere della macchina, il rubinetto del gas e dell’acqua, la saracinesca del garage o l’armadietto dei medicinali. Ma anche di aver spento fornelli elettrici o altri elettrodomestici, le luci in ogni stanza di casa o i fari della macchina. Oppure di non aver perso cose personali lasciandole cadere o di non aver investito involontariamente qualcuno con la macchina.

Ossessioni pure

sintomi sono pensieri o, più spesso, immagini relative a scene in cui la persona attua comportamenti indesiderati e inaccettabili. Questi sono privi di senso, pericolosi o socialmente sconvenienti (aggredire qualcuno, avere rapporti omosessuali o pedofilici, tradire il partner, bestemmiare, compiere azioni blasfeme, offendere persone care, ecc.).

Queste persone non hanno né rituali mentali né compulsioni, ma soltanto pensieri ossessivi.

Ciononostante mettono in atto strategie per tranquillizzarsi. Ad esempio ripassano mentalmente il passato per assicurarsi di non aver fatto certe cose. Oppure monitorano costantemente le sensazioni che provano e si sforzano di contrastare pensieri e impulsi sgraditi.

Ossessioni superstiziose

Si tratta di un pensiero superstizioso portato all’eccesso. Il soggetto è dominato da regole per cui deve fare o non fare determinate cose, pronunciare o non pronunciare alcune parole, vedere o non vedere certe cose (es. carri funebri, cimiteri, manifesti mortuari), certi numeri o certi colori, ecc. contare o non contare un numero preciso di volte degli oggetti, ripetere o non ripetere particolari azioni il “giusto” numero di volte. Tutto ciò perché violare le regole potrebbe essere determinante per l’esito degli eventi e far accadere cose negative a sé o ad altri.

Tale effetto può essere scongiurato soltanto ripetendo l’atto (es. cancellando e riscrivendo la stessa parola, pensando a cose positive) o facendo qualche altro rituale “anti-iella”.

Ordine e simmetria

Chi ne soffre non tollera assolutamente che gli oggetti siano posti in modo anche minimamente disordinato o asimmetrico. Ciò gli procura una sgradevole sensazione di mancanza di armonia e di logicità.

Libri, fogli, penne, asciugamani, videocassette, cd, abiti nell’armadio, piatti, pentole, tazzine, devono risultare perfettamente allineati, simmetrici e ordinati secondo una sequenza logica (es. dimensione, colore, ecc.).

Quando ciò non avviene queste persone passano ore del loro tempo a riordinare ed allineare questi oggetti, fino a sentirsi completamente tranquilli e soddisfatti.

Accumulo/accaparramento

E’ un tipo di ossessione piuttosto rara che caratterizza coloro che tendono a conservare ed accumulare (e talvolta perfino a raccogliere per strada) oggetti insignificanti e inservibili (riviste e giornali vecchi, pacchetti di sigarette vuoti, bottiglie vuote, asciugamani di carta usati, confezioni di alimenti), per la enorme difficoltà che hanno a gettarli.

Oggigiorno questa problematica viene considerata distinta dal vero e proprio DOC e prende il nome di disturbo da accumulo (hoarding disorder).

Una forma particolare di ossessione è quella che riguarda la preoccupazione eccessiva e irrazionale di avere una parte del proprio corpo difettosa o deforme (vedi dismorfofobia).

Cura del Disturbo ossessivo compulsivo

Psicoterapia per il DOC

La psicoterapia cognitivo-comportamentale costituisce il trattamento psicoterapeutico di elezione per la cura dei disturbi ossessivi.

Essa, come dice il nome, è costituita da due tipi di psicoterapia che si integrano a vicenda: la psicoterapia comportamentale e la psicoterapia cognitiva.

Gli interventi comportamentali

La tecnica più usata all’interno dell’approccio comportamentale alla cura del disturbo ossessivo compulsivo è l’esposizione e prevenzione della risposta. Essa ha mostrato i più elevati livelli di efficacia.

L’esposizione allo stimolo ansiogeno si basa sul fatto che l’ansia e il disgusto tendono a diminuire spontaneamente dopo un lungo contatto con lo stimolo stesso.

Così, le persone con l’ossessione per i germi possono essere invitate a stare in contatto con oggetti “contenenti germi” (esempio, prendere in mano dei soldi) finché l’ansia non è scomparsa. La ripetizione dell’esposizione, che deve essere condotta in modo estremamente graduale e tollerabile per il paziente, consente la diminuzione dell’ansia fino alla sua completa estinzione.

Perché la tecnica dell’esposizione sia più efficace per la cura del disturbo ossessivo compulsivo è necessario che sia affiancata alla tecnica di prevenzione della risposta. Vengono sospesi, o inizialmente almeno rimandati, gli abituali comportamenti ritualistici che seguono alla comparsa dell’ossessione.

Riprendendo l’esempio precedente, la persona con sintomi ossessivi legati ai germi viene esposta allo stimolo ansiogeno e viene invitata a sforzarsi di non mettere in atto il suo rituale di lavaggio, aspettando che l’ansia svanisca spontaneamente.

Si segue insomma il principio “guarda la paura in faccia e cesserà di turbarti”.

Gli interventi cognitivi

La psicoterapia cognitiva mira alla cura del DOC attraverso la modificazione di alcuni processi di pensiero automatici e disfunzionali. In particolare, agisce sull’eccessivo senso di responsabilità, sull’eccessiva importanza attribuita ai pensieri, sulla sovrastima della possibilità di controllare i propri pensieri e sulla sovrastima della pericolosità dell’ansia, che costituiscono le principali distorsioni cognitive dei pazienti con DOC.

Terapia farmacologica per il DOC

La cura farmacologica del disturbo ossessivo compulsivo è stata caratterizzata storicamente dall’impiego dell’antidepressivo triciclico Clomipramina (Anafranil).

Recentemente, si è largamente diffuso l’impiego degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) i quali, ad una sostanziale equivalenza terapeutica dimostrata da vari studi, associano minori effetti collaterali.

Per avere un’efficace cura anti-ossessiva delle molecole antidepressive, le linee-guida suggeriscono l’utilizzo di dosaggi vicino ai massimi consentiti per ciascuna molecola. Può essere necessario un periodo di tempo che va dalle dieci alle dodici settimane prima di ottenere una risposta clinica positiva.

Una percentuale di pazienti che può variare dal 30 al 40% non rispondono alla cura farmacologica per il DOC. Anche per i pazienti che rispondono in maniera significativa al trattamento farmacologico, la dimensione della risposta è abitualmente incompleta, con pochi pazienti che arrivano ad essere totalmente privi di sintomi.

Al fine di raggiungere un’efficacia terapeutica può essere indicato l’uso in combinazione di clomipramina e di un farmaco SSRI, della clomipramina somministrata per via endovenosa (che ha dimostrato di essere una terapia efficace per la cura dei disturbi ossessivi nei pazienti che non rispondono al trattamento per via orale) o di neurolettici di ultima generazione, quali il Risperidone (Risperdal, Belivon), l’Olanzapina (Zyprexa) e la Quietapina (Seroquel).

In ogni caso, alla terapia farmacologica, che può essere soltanto d’aiuto, va sempre affiancata la terapia cognitivo comportamentale, intervento di prima scelta per la cura del disturbo ossessivo compulsivo.

Il Disturbo di Dismorfismo Corporeo (conosciuto storicamente col nome di dismorfofobia) rientra nella più ampia categoria dei disturbi somatoformi, che si caratterizzano per la presenza di sintomi fisici non giustificati da alcuna condizione medica generale nonché dagli effetti di una sostanza o da un altro disturbo mentale.

L’elemento peculiare della dismorfofobia è la preoccupazione per un difetto nell’aspetto fisico, che può essere totalmente immaginario, oppure, se è presente una reale piccola anomalia fisica, la preoccupazione del soggetto è di gran lunga eccessiva al normale.

Le lamentele riguardano facilmente difetti lievi o immaginari della faccia o della testa, come i capelli più o meno folti, l’acne, rughe, cicatrici, manifestazioni vascolari, pallore o rossore, sudorazione, asimmetrie o sproporzioni del viso, oppure eccessiva peluria.

Altre preoccupazioni comuni dei soggetti dismorfofobici riguardano la forma, le misure, o qualche altro aspetto di naso, occhi, palpebre, sopracciglia, orecchie, bocca, labbra, denti, mascella, mento, guance o testa. Tuttavia ogni altra parte del corpo può diventare motivo di preoccupazione (per es. i genitali, le mammelle, le natiche, l’addome, le braccia, le mani, i piedi, le gambe, i fianchi, le spalle, la colonna, regioni più estese del corpo o le misure corporee globali, o la corporatura e la massa muscolare). Nella dismorfofobia, la preoccupazione può riguardare simultaneamente diverse parti del corpo.

Questo disturbo si osserva principalmente negli adolescenti, di entrambi i sessi ed è strettamente legato alle trasformazioni dell’età puberale. Se riguarda soggetti adulti la cosa è più complessa, perché con la fine dell’adolescenza la persona dovrebbe acquisire un senso di fiducia in se stessa tale da consentirle la possibilità di relazionarsi armonicamente con gli altri, senza essere afflitta da complessi di inferiorità legati all’aspetto fisico, né tanto meno da sintomi evidenti quali quelli della dismorfofobia.

La gran parte dei soggetti con questo disturbo sperimentano grave disagio per la loro supposta deformità, descrivendo spesso le loro preoccupazioni come “intensamente dolorose”, “tormentose”, o “devastanti”. I più trovano le loro preoccupazioni difficili da controllare, e fanno pochi o nessun tentativo di resistervi.

Come conseguenza, i dismorfofobici spesso passano molte ore al giorno a pensare al loro “difetto” e a come porvi rimedio (talvolta ricorrendo a chirurgia estetica o ad auto-manipolazioni che possono peggiorare la situazione), al punto che questi pensieri possono dominare la loro vita. I sentimenti di vergogna per il proprio “difetto”, possono portare all’evitamento delle situazioni di lavoro, scuola o di contatto sociale.

Queste persone affette da dismorfismo corporeo mettono in atto compulsioni allo scopo di esaminare, migliorare o nascondere il presunto difetto. Ad esempio, tendono a controllarsi allo specchio o ad altre superfici riflettenti, mostrano eccessiva cura del proprio aspetto, tendono a pettinarsi o lavarsi ripetutamente, effettuano confronti continui con l’aspetto fisico altrui, ricercano rassicurazioni o tentano del di convincere gli altri circa il proprio difetto.

La cura della dismorfofobia può essere efficacemente effettuata con psicoterapia cognitivo comportamentale, mutuando molte tecniche da quelle impiegate per il trattamento dei disturbi ossessivo-compulsivi, con cui vi sono varie affinità. I farmaci raramente sono efficaci, almeno che non vi sia una certa comorbilità con la depressione maggiore.

Sepolti in casa, letteralmente sommersi da oggetti di qualsivoglia natura. È questa l’immagine che più di ogni altra caratterizza le persone affette da disturbo da accumulo (hoarding disorder), altrimenti detto disposofobia.

A qualcuno di voi magari sarà capitato di seguire la serie televisiva americana che porta l’omonimo nome, incuriositi dalle condizioni estreme nelle quali riescono a vivere, o per meglio dire sopravvivere, queste persone “disposofobiche”.

Il disturbo da accumulo (disposofobia) è caratterizzato dall’acquisizione eccessiva di oggetti e, allo stesso tempo, dall’incapacità di gettarli via.

Gli oggetti possono essere i più disparati: dai giornali agli indumenti, dai rifiuti a vecchi contenitori di cibo. È proprio la difficoltà a buttare via le cose che può portare a ingombrare significativamente gli spazi di casa, fino a ostacolare le normali attività quotidiane quali cucinare, pulire, muoversi in casa, persino dormire.

Le grandi quantità di oggetti accumulati da chi soffre di disposofobia possono minacciare la salute e la sicurezza di chi vive in casa o vicino. Possono verificarsi incendi, cadute e anche malattie, date le scarse condizioni igieniche nelle quali queste persone disposofobiche si trovano a vivere.

Un altro elemento che caratterizza le persone con accumulo compulsivo è il progressivo isolamento a cui vanno incontro in conseguenza dell’imbarazzo e della vergogna che provano rispetto a invitare ospiti nella propria abitazione. In molti casi si creano conflitti con i familiari e anche con i vicini.

L’allontanamento e l’ostilità degli stessi aumentano la sofferenza di queste persone che soffrono di disposofobia in un circolo vizioso che arriva a comprometterne pesantemente il funzionamento psicologico, lasciandoli in una condizione di totale abbandono.

Qual è la dimensione del fenomeno dell’accumulo compulsivo nel nostro paese?

Un nostro studio pubblicato su Behavioural and Cognitive Psychotherapy (Bulli et al., 2014) si è posto l’obiettivo di valutare la prevalenza del comportamento di accumulo in un campione non clinico di adulti. 1012 soggetti hanno partecipato allo studio compilando un questionario self-report validato in lingua italiana, il Saving Inventory-Revised (SI-R; Melli, Chiorri, Smurra & Frost, 2013).

Il risultato ci ha colto un po’ di sorpresa: ben il 6% del campione ha affermato di mettere in atto un insieme di comportamenti prerogativa di persone che soffrono di disturbo da accumulo o disposofobia.

L’analisi di variabili demografiche ha mostrato come non vi fossero differenze significative per sesso, età, stato civile, titolo di studio e occupazione.

Dal momento che, prima della pubblicazione del DSM-5 (APA, 2013), il disturbo da accumulo era classificato come sottogruppo del disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), è stata esplorata la relazione del disturbo da accumulo con i sintomi ossessivi.

Il dato rilevante emerso è che il coefficiente di correlazione tra un questionario che misura la presenza di sintomi ossessivi e il questionario SI-R non era molto maggiore del grado di correlazione tra i sintomi da accumulo e misure di ansia e depressione.

Questo risultato è coerente con studi precedenti, condotti sia su popolazione clinica che non clinica, secondo i quali il comportamento da accumulo e i sintomi della disposofobia possono essere presenti trasversalmente in diverse manifestazioni cliniche di ordine psichiatrico, neurodegenerativo e in alcuni casi genetico, e quindi il disturbo da accumulo compulsivo non può essere meramente classificato come un sottotipo di DOC.

Disturbo da accumulo compulsivo e DOC: quali differenze?

Da un punto di vista fenomenologico, la paura di perdere qualcosa di importante per la persona, la paura di liberarsi di cose da cui si sente emotivamente legato o il timore di commettere errori in merito a ciò che sia meglio conservare o gettare potrebbero essere considerate analoghe alle ossessioni, mentre il non buttare via gli oggetti, così come qualche comportamento di acquisizione potrebbero essere assimilati alle compulsioni.

Tuttavia, molte ricerche hanno fornito prove a sostegno di importanti differenze tra accumulo compulsivo e disturbo ossessivo-compulsivo.

Per esempio, i pensieri relativi all’accumulo nei pazienti con disturbo da accumulo (disposofobia) non sono percepiti come intrusivi o indesiderati; non sono ripetitivi, come invece tipicamente sono le ossessioni nei pazienti DOC.

L’accumulo compulsivo è un fenomeno passivo, in cui l’intenso disagio è provato solo nel momento in cui queste persone si trovano a fare i conti con la necessità di liberarsi di quello di cui sono in possesso. L’esperienza di acquisizione delle cose, invece, è sentita come egosintonica, piacevole, o comunque tale da generare una sensazione di sicurezza.

Una delle caratteristiche peculiari dei soggetti con disposofobia è un forte attaccamento nei confronti delle cose che posseggono, talvolta attribuendo a esse un forte senso identitario. Ecco che lo scenario di doversi sbarazzare di cose a cui sentono di essere molto legati affettivamente può essere esperito dalla persona come molto doloroso. Talvolta questi soggetti arrivano a pensare che le cose inanimate abbiano dei veri e propri sentimenti.

Il paziente ossessivo-compulsivo, invece, anche nei casi in cui manifesti una sintomatologia di accumulo, non è in alcun modo interessato al valore intrinseco dell’oggetto. Per esempio, un comportamento di accumulo potrebbe essere la conseguenza di pensieri superstiziosi del tipo “Se io butto via un oggetto, temo che possa accadere qualcosa di negativo a una persona cara”.

In questo caso, dunque, la difficoltà a liberarsi di quell’oggetto non è legata tanto all’attribuzione di un valore emotivo allo stesso, quanto piuttosto rappresenta una strategia protettiva in risposta a pensieri intrusivi di natura catastrofica.

Diverso invece è il significato attribuito dai pazienti con disturbo da accumulo alla medesima incapacità a buttare via. Dal momento che gli oggetti sono parte integrante della loro identità personale, della loro memoria, lo sbarazzarsene equivale a una vera e propria esperienza di lutto. Di qui le emozioni prevalenti di dolore e rabbia di chi soffre di disposofobia.

Un’entità psichiatrica a sé stante

In anni recenti, lo studio del disturbo da accumulo ha ricevuto un’attenzione crescente e la sua caratterizzazione nosografica è stata oggetto di un vivace dibattito scientifico.

Per quanto tale comportamento sia stato spesso riportato come una manifestazione sintomatologica del disturbo ossessivo-compulsivo, stranamente non era direttamente menzionato nel DSM-IV-TR come un sintomo del DOC. Piuttosto rientrava in uno degli 8 criteri per il Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità.

Non DOC dunque, ma neppure fobia, sebbene il disturbo da accumulo, come già detto, sia anche menzionato come disposofobia (letteralmente ‘paura di buttare’). Tale termine può trarre in inganno, non riuscendo a fornire un quadro esaustivo della complessità clinica di questi pazienti.

L’ambiguità nosografica del disturbo da accumulo è stata risolta nel DSM-5 (APA, 2013) mediante il suo riconoscimento come un’entità a sé stante nel panorama psichiatrico internazionale.

Questa categorizzazione può rendere meglio giustizia di un disturbo che presenta caratteristiche precipue anche a livello cerebrale.

Uno studio condotto da Tolin e collaboratori della Yale University School of Medicine, pubblicato nel 2012 su Archives of General Psychiatry, infatti, ha mostrato come i soggetti con disturbo da accumulo presentino differenze fondamentali, rispetto a pazienti ossessivo-compulsivi e adulti normali, sia nella corteccia cingolata anteriore, associata alla rilevazione di errori in condizioni di incertezza, sia nell’insula mediale e anteriore, legata alla valutazione del rischio e dell’importanza degli stimoli e alle decisioni emotivamente cariche.

Il disturbo da accumulo compulsivo, secondo gli autori, sembrerebbe caratterizzato da un marcato evitamento del processo decisionale per il possesso.

Sembra cruciale in questo il legame affettivo con le cose e l’importanza che ha per questi pazienti il possedere oggetti considerati di nessun valore per la maggior parte delle persone. Sono questi i casi in cui gli oggetti possono prendere il sopravvento sulle vite delle persone, rendendole schiave.

La tricotillomania è una condizione caratterizzata dal ricorrente impulso a strapparsi capelli o peli. Anche lo strapparsi le ciglia o le sopracciglia fa parte di questo disturbo. Nonché i tentativi ripetuti di diminuire o sospendere lo strappo e un significativo disagio o malfunzionamento lavorativo, sociale e interpersonale dovuto al sintomo.

Caratteristiche della tricotillomania

La fenomenologia del disturbo appare molto semplice (lo strapparsi peli, ciglia o capelli), ma ricerche recenti hanno evidenziato un’eterogeneità comportamentale e sintomatologica.

Il comportamento di strappo, ad esempio, può essere effettuato con le dita, con le pinzette o con altre tecniche cosmetiche. Strappando così uno o due peli, ciglia o capelli per volta. Le zone più frequentemente oggetto di strappo sono lo scalpo, le sopracciglia, le ciglia e il pube.

Lo strappo è spesso anticipato da comportamenti ritualistici come pettinarsi i capelli, sentire tra le dita il singolo capello, tirarlo e indagare visivamente la zona. I capelli o i peli non sono strappati a caso, ma spesso vengono scelti in base alla caratteristica tattile o visiva.

Anche i comportamenti post-strappo sono clinicamente rilevanti. Mentre alcuni semplicemente buttano i capelli strappati, altri li appallottolano tra le dita, li ispezionano, mordono i capelli o arrivano fino ad ingerirli (comportamento che prende il nome di tricofagia).

Contesto ambientale ed emotivo della tricotillomania

Oggetto di indagine è anche il contesto ambientale ed emotivo all’interno del quale il comportamento di strappo si verifica.

Contesto ambientale

Le variabili situazionali che possono alimentare l’impulso sono solitamente le situazioni sedentarie, come guardare la TV, leggere un libro o prepararsi davanti allo specchio.

L’atto dello strapparsi i capelli, le sopracciglia, ecc., può avvenire anche durante attività contemplative.

Infine ci possono essere momenti della giornata in cui il rischio dello strappo è maggiore ad esempio di sera, durante la notte, quando si è soli, stanchi o prima di addormentarsi.

Contesto emotivo

Il contesto emotivo che può indurne i comportamenti di strappo è caratterizzato da emozioni disturbanti come ansia/tensione, noia, rabbia e tristezza. E’ solitamente associato a una sensazione di crescente tensione nella persona.

Lo strappamento può portare un senso di sollievo momentaneo dalla tensione: alcuni soggetti infatti riferiscono la presenza di formicolio o di prurito a livello del cuoio capelluto che viene alleviata solo a seguito del comportamento di strappo.

Le persone con tricotillomania infine tentano ripetutamente di ridurre o evitare di strapparsi sopracciglia, peli o capelli a causa del notevole disagio associato a tale comportamento.

Stili di tricotillomania

Recenti studi hanno anche distinto vari stili di tricotillomania, che possono corrispondere a diversi fattori scatenanti. Sono stati identificati due stili di strappo, automatico e consapevole.

Strappo automatico

Lo strappo automatico viene effettuato in maniera inconsapevole, spesso durante momenti di sedentarietà. Non diventa consapevole fin quando non se ne notano le conseguenze (ad esempio un mucchietto di capelli appallottolato).

Strappo consapevole

Al contrario lo strappo consapevole sembra essere un processo finalizzato a vari scopi, come al piacere derivante dallo strappo. Può servire a ridurre emozioni negative, al rimuovere capelli che sembrano fuori posto o che hanno determinate caratteristiche.

Alcune ricerche ci mostrano che lo strappo consapevole potrebbe costituire un tentativo di regolare emozioni o pensieri negativi.

Proprio per la grande eterogeneità di questa condizione sintomatologica è opportuno porre molta attenzione in sede di diagnosi.

Tricotillomania e diagnosi differenziale

Disturbo Ossessivo-Compulsivo

Le caratteristiche di ripetitività del comportamento e la posizione all’interno del DSM-5 possono far confondere questa condizione con il Disturbo Ossessivo-Compulsivo.

Tuttavia sono fenomenologicamente molto differenti tra loro, in primis per il piacere derivato dal comportamento di strappo. Questo è infatti assente nello svolgimento dei rituali compulsivi.

Inoltre per l’assenza sia di pensieri intrusivi che della molteplicità di comportamenti ritualistici, anche molto diversi tra loro, che possiamo trovare nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo.

Disturbo Dismorfofobico (dismorfofobia)

Un’altra caratteristica da tenere in considerazione è la presenza di vergogna e insoddisfazione per il proprio aspetto. Questa potrebbe ricondurre al Disturbo Dismorfofobico che, tuttavia, porta a focalizzare la propria attenzione e l’eventuale strappo solo al fine di correggere un presunto difetto estetico.

Disturbo Borderline di personalità

Infine alcuni suggeriscono delle similitudini con quei disturbi che coinvolgono la regolazione emotiva e i comportamenti autolesivi.

Nel disturbo Borderline, ad esempio, lo strappo o le condotte autolesive possono regolare lo stato emotivo. Però sono espressamente finalizzate a provare dolore, mentre nella tricotillomania questa intenzionalità non è presente.

Tuttavia è noto che i pazienti con tricotillomania riportano spesso una riduzione dell’ansia, della tensione e della noia dopo gli episodi di strappo.

Il ruolo dell’inflessibilità psicologica nella tricotillomania

Un fattore psicologico che può mediare la relazione tra strappo ed emozioni è stato trovato nel concetto di inflessibilità psicologica. Questo è stato concettualizzato nell’ACT (Acceptance and Commitment Therapy), che identifica in un insieme di strategie generalizzate e maladattive per regolare le emozioni disturbanti e i pensieri indesiderati.

Vari studi dimostrano che l’inflessibilità psicologica ha un ruolo nel controllo dei comportamenti maladattivi suscitati da emozioni e cognizioni negative.

Il tentativo di controllare le esperienze interne disturbanti facilita il comportamento di strappo.

La terapia cognitivo comportamentale della tricotillomania

Questa concettualizzazione del disturbo può rafforzare le strategie terapeutiche a disposizione della terapia cognitivo-comportamentale.

Le evidenze empiriche hanno già dimostrato una buona efficacia di alcune tecniche, come l’Habit Reversal Training e gli interventi di controllo dello stimolo. Questi sono stati usati con successo per la gestione dei comportamenti ripetitivi, insieme alle tecniche cognitive di identificazione dei pensieri disfunzionali.

Gli interventi hanno mostrato un’ottima efficacia nella gestione del comportamento di strappo e nell’apprendimento di condotte alternative e più adattive. Favoriscono infatti la consapevolezza dei pensieri automatici che possono precedere lo strappo per far fronte adeguatamente alla situazione.

La Dialectical Behavior Therapy (DBT) e l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT)

Una certa percentuale di pazienti, pur avendo appreso buone strategie di gestione comportamentale, rimane parzialmente disturbata dai vissuti emotivi che attivano il comportamento problematico.

In questi casi ci vengono incontro la Dialectical Behavior Therapy (DBT) e l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) che hanno mostrato un’ottima efficacia sull’apprendimento di nuove strategie di gestione emotiva.

Dialectical Behavior Therapy (DBT)

La DBT facilita la consapevolezza di emozioni come rabbia, noia e frustrazione. Affronta le strategie maladattive di regolazione emotiva che rinforzano e mantengono il comportamento di strappo. Aiuta a sostituirle con nuove e più adattive capacità di regolazione.

Grazie agli esercizi di mindfulness si allena la consapevolezza emotiva e cognitiva e si riduce il livello di reattività alle emozioni disturbanti.

Acceptence Commitment Therapy (ACT)

L’ACT parte dal presupposto che il comportamento di strappo si origini dall’“evitamento esperienziale”, cioè dalla non disponibilità a sperimentare certi stati emotivi.

Tramite esercizi esperienziali e l’apprendimento di abilità di mindfulness l’ACT enfatizza il concetto che il problema non sta nell’impulso a strappare in sé, ma nella reazione all’impulso e nella lotta che la persona ingaggia con le proprie esperienze emotive disturbanti.

Sempre nell’ambito degli approcci terapeutici cognitivo-comportamentali, le tecniche ACT, insieme alle tecniche DBT, possono ampliare il raggio di azione terapeutico. Aiutano infatti il paziente a sviluppare una visione diversa delle proprie esperienze interne.

Si riduce così la necessità di evitarle, flessibilizzando il sistema e indirizzandolo verso l’accettazione, le abilità di mindfulness e l’azione impegnata verso ambiti funzionali di vita.

Il concetto di contaminazione mentale, inizialmente studiato nell’ambito delle conseguenze psicologiche dell’abuso sessuale (Fairbrother & Rachman, 2004), si è rapidamente esteso al disturbo ossessivo-compulsivo, in particolare al timore di contaminazione e ai relativi rituali di lavaggio/pulizia, dando luogo a un importante filone di ricerca.

Che cosa s’intende per timore di contaminazione?

Rachman (2004) ha definito il timore di contaminazione come un’intensa e persistente sensazione di essere stato contaminato, infettato o messo in pericolo da un contatto, diretto o indiretto, con una persona, un luogo o un oggetto percepito sporco, impuro, infetto o dannoso.

All’interno del timore di contaminazione sono state successivamente distinte due differenti tipologie: la cosiddetta contaminazione fisica (o contaminazione da contatto), cui comunemente ci riferiamo quando si parla di DOC, e la contaminazione mentale, di cui parleremo in questo articolo.

Quali sono le differenze?

La contaminazione fisica implica una sensazione esterna di sporco evocata dal contatto fisico diretto o indiretto (o anche solo immaginato) con una sostanza, una persona o un oggetto contaminante tangibile, facilmente identificabile, come germi, batteri, sostanze tossiche, fluidi corporei (in particolare, sangue, feci, sperma e urine).

La contaminazione mentale, invece, è un senso di contaminazione psicologica, che implica una sensazione emotiva interna di “sporcizia” senza alcun contatto fisico di sorta (scatenata, ad esempio, da pensieri, parole, ricordi o immagini particolari).

Questo senso di sporco non è direttamente osservabile da altri; è riferito come qualcosa di diffuso, difficilmente identificabile in una parte del corpo.

Gli individui affetti da contaminazione mentale possono riferire un bisogno di lavarsi, così come possono impegnarsi in complessi rituali mentali e di controllo al fine di ridurre le emozioni spiacevoli, anche se in genere non riescono mai a sentirsi totalmente “puliti” e a posto.

Le situazioni in grado di scatenare lo stato di contaminazione mentale possono implicare sia violazioni subite, sia psicologiche (ad esempio, un tradimento che ha fatto sentire la persona umiliata, svergognata, manipolata, degradata) che fisiche (ad esempio, una violenza sessuale), ma anche, di contro, l’aver perpetrato azioni spregevoli come le suddette (con conseguente disgusto morale verso se stessi); vi sono poi gli episodi di cosiddetta self-contamination, ovvero eventi mentali, come pensieri blasfemi, sessualizzati o violenti (es. ossessioni aggressive), che “contaminano” la persona dal punto di vista morale, tanto sono indegni e inaccettabili.

Effetto Lady Macbeth

L’esempio più noto, anche perché letterario, di contaminazione mentale è rappresentato da Lady Macbeth.

Nella famosa tragedia di Shakespeare, Lady Macbeth, complice dell’omicidio di Re Duncan di Scozia e di altri misfatti, cerca disperatamente di lavare la macchia di sangue immaginaria continuando incessantemente a lavarsi le mani.

La donna si accorge con profondo sgomento che, per quanto la sua mano non contenga più alcuna traccia di sangue, nulla potrà mai cancellarne l’odore, che lei sente ancora sulle mani come marchio indelebile della sua azione.

Quanto descritto da Shakespeare nella tragedia del Macbeth ha trovato conferma sperimentale in uno studio condotto nel 2006 da Zhong e Liljenquist, in cui gli autori hanno dimostrato un’associazione tra pulizia fisica e pulizia morale: l’esposizione a eventi immorali stimola una minaccia alla propria integrità morale inducendo il bisogno di lavarsi (pulire se stessi), anche se non esiste reale sporco esterno e il lavaggio ha solo una funzione simbolica di “purificazione”.

Dai risultati di alcuni studi, sembra infatti che la pulizia fisica possa ripristinare la purezza morale, senza bisogno di mettere in atto comportamenti compensatori (come, ad esempio, un gesto altruistico di fornire aiuto a un altro).

Contaminazione mentale: un ingrediente importante del disturbo ossessivo compulsivo

Un nostro studio, pubblicato recentemente sul Journal of Obsessive-Compulsive and Related Disorders (Melli, Carraresi, Stopani, & Bulli, 2014), si è proposto di indagare la prevalenza della contaminazione mentale in un campione di pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) da contaminazione e di analizzare il ruolo di mediatore della contaminazione mentale nella relazione tra la tendenza di tratto a provare disgusto e la sintomatologia ossessiva.

Dei 63 pazienti DOC del nostro campione, oltre il 60% ha riferito la presenza di contaminazione mentale.

I nostri risultati hanno inoltre confermato l’ipotesi che la contaminazione mentale medi parzialmente la relazione tra propensione al disgusto e sintomi ossessivi.

In altri termini, i soggetti DOC con più alta tendenza a provare disgusto quando fanno esperienza di eventi che li fanno sentire contaminati dal punto di vista mentale (ad esempio, violazione fisica o psicologica, pensieri immorali, immagini o impulsi moralmente inaccettabili), possono sentirsi molto sporchi e disgustati e ricorrere a comportamenti maladattivi (ad esempio, compulsioni di lavaggio) che mantengono attiva la sintomatologia ossessiva.

Dal nostro studio sembra dunque che la contaminazione mentale giochi un ruolo significativo nei soggetti DOC con timore di contaminazione, in particolare come mediatore della relazione tra propensione al disgusto e pensieri/comportamenti di contaminazione.

Questo risultato può confermare quanto sottolineato in letteratura circa l’importanza di un accurato assessment relativamente agli eventi critici precipitanti l’esordio del DOC con timore di contaminazione.

La contaminazione mentale, come detto in precedenza, sembra emergere in conseguenza di eventi di vita “inquinanti” in cui la persona si è sentita moralmente sbagliata (per azioni commesse) o violata, umiliata (in conseguenza di azioni subite).

Quali implicazioni per il trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo?

Data la natura “traumatica” dello stato di contaminazione mentale, c’è da riflettere su quanto le emozioni di colpa e di disgusto rispetto a certi stimoli da parte dei soggetti DOC rappresentino una sorta di affect without recollection (Clark, 1999).

In altri termini, certe situazioni potrebbero attivare l’esperienza emotiva connessa alla memoria traumatica, anche se il paziente si limita al problema contingente che in quel momento innesca il timore di contaminazione.

Potrebbe essere interessante considerare se tutto ciò che il paziente ossessivo si sente spinto a fare per scongiurare una situazione in cui possa sentirsi colpevole (o disgustato) rappresenti una modalità di fronteggiamento rispetto a una valutazione negativa di sé, così come è stata codificata in quell’evento critico, precipitante l’esordio del disturbo.

A tal proposito, la finalità dell’attività ossessiva potrebbe essere quella di riparare a una idea di sé profondamente “inquinata”, così come si è attivata al momento dell’evento precipitante il disturbo, oppure evitare azioni che potrebbero riattivare quella stessa idea negativa della persona, facendola sentire disgustata, umiliata e potenzialmente fonte di disprezzo da parte della comunità di appartenenza.

Il fatto che la contaminazione mentale si leghi a una valutazione negativa di sé in conseguenza di eventi critici attiva la riflessione su quanto questa sensazione interna di sporco sia legata a un problema di non elaborazione/integrazione nella memoria autobiografica dell’evento o degli eventi critici passati e a quanto i soggetti DOC con contaminazione mentale, mediante il lavaggio e altri comportamenti di neutralizzazione, cerchino di allontanarsi dai pensieri e dalle sensazioni connesse al ricordo (“wash away the past”).

La comprensione del ruolo della contaminazione mentale nel DOC da contaminazione permette lo sviluppo di trattamenti potenzialmente più efficaci.

Ecco che la possibilità di integrare alla Esposizione e Prevenzione della Risposta – che sappiamo essere il trattamento di provata efficacia nel disturbo ossessivo-compulsivo – un lavoro di rielaborazione degli eventi traumatici, mediante tecniche quali l’imagery rescripting o l’EMDR, potrebbe incrementare il tasso di successo dell’intervento cognitivo-comportamentale standard.

 

Quando un neonato entra in casa, i genitori si preparano ad affrontare molti cambiamenti.

Le nuove routine sostituiscono quelle vecchie e la vita diventa rapidamente un misto di ricordi preziosi e pannolini sporchi.

Essere genitore può essere una gioia, ma può anche essere un’esperienza terrificante. Comporta molte responsabilità importanti, e il pensiero di essere responsabili della protezione e della cura di una nuova vulnerabile vita può intimidire, se non addirittura spaventare.

Che cosa è il disturbo ossessivo-compulsivo post-partum?

Per alcuni genitori (madri e padri allo stesso modo), la nuova condizione genitoriale può innescare un disturbo ossessivo-compulsivo post-partum, ovvero un disturbo d’ansia sorprendentemente comune che è associato a pensieri, immagini o impulsi violenti e inquietanti.

I sintomi possono iniziare improvvisamente dopo l’arrivo del neonato a casa, oppure sintomi preesistenti possono essere esasperati dalle nuove responsabilità genitoriali.

Le ossessioni aggressive e le ossessioni sessuali sono particolarmente comuni. In particolare, le prime possono comprendere la paura di causare danni intenzionali o accidentali al neonato.

Si immagini che una madre di un neonato con frequenti coliche, frustrata dal pianto del suo bambino, abbia l’immagine mentale di se stessa che lo getta giù per le scale o dalla finestra.

Questo pensiero arriva in modo imprevisto e viene percepito come pericoloso, sconvolgendo in maniera significativa la donna, che può iniziare a pensare: «Perché ho questo pensiero? Questo significa che potrei far del male al mio bambino? Cosa succederebbe se perdessi il controllo e dovessi davvero buttare il mio bambino giù per le scale? Le madri non dovrebbero avere pensieri come questo”.

In risposta a questi pensieri, eviterà di andare vicino alle scale mentre tiene in braccio il suo bambino o inizierà a tenerlo molto stretto ogni qualvolta vi si avvicina.

Disturbo ossessivo-compulsivo post-partum – Pensieri indesiderati riguardanti incidenti.

Un altro comune sintomo di disturbo ossessivo post-partum è la ricorrente e intrusiva preoccupazione che qualcosa di brutto possa accadere al bambino.

Ad esempio, un genitore può avere pensieri ricorrenti o immagini intrusive del piccolo che soffoca o si strozza nella sua culla e può pensare: “E’ mia responsabilità prevenire ogni danno che potrebbe accadere a mio figlio. Se ho un pensiero del genere, è importante che controlli ogni volta solo per assicurarmi che mio figlio stia bene. Dopo tutto, questo è quello che dovrebbe fare un buon genitore. Se temo cose del genere e non controllo, accadrà qualcosa di brutto e la morte del mio bambino sarà tutta colpa mia”.

In risposta a questi pensieri, è possibile che il genitore effettui numerosi controlli per assicurarsi che il bambino stia bene.

Questi possono verificarsi diverse centinaia di volte al giorno. Ogni volta che un nuovo dubbio si insinua, il genitore si sente obbligato a controllare di nuovo, solo per rassicurarsi.

Disturbo ossessivo-compulsivo post-partum – Pensieri sessuali indesiderati

Un terzo sintomo molto comune del disturbo ossessivo-compulsivo post-partum implica la presenza di pensieri sessuali indesiderati sul proprio figlio.

Questi si verificano solitamente durante il cambio del pannolino o durante il bagnetto e possono consistere in pensieri (es. “Cosa succederebbe se toccassi il mio bambino in modo inappropriato? E se ne fossi eccitato?”), immagini sessuali che coinvolgono il bambino o impulsi ad agire in modo sessualmente inadeguato.

Un padre con questo tipo di ossessioni, ad esempio, potrebbe pensare: “Che tipo di persona ha pensieri come questo? Questo significa che sono un pedofilo o che potrei essere in grado di molestare mio figlio? Sono pensieri malati. Non dovrei avere pensieri come questo”.

In risposta a tali pensieri indesiderati, il padre potrebbe cominciare a evitare il bambino.

L’evitamento può essere particolarmente evidente rispetto a quelle situazioni in cui è possibile vedere il bambino nudo (ad esempio, durante il cambio del pannolino, mentre fa il bagnetto, nel cambio dei vestiti).

I genitori con ossessioni sessuali post-partum spesso evitano il contatto fisico con il bambino (ad esempio, abbracciare il bambino, tenere il bambino seduto sulle ginocchia) o stare da solo con il bambino.

Disturbo ossessivo-compulsivo post-partum – Caratteristiche

Negli esempi precedenti, un pensiero spontaneo e inaspettato dà luogo al timore che il genitore possa rappresentare una minaccia per il bambino o che possa agire in maniera tale da metterlo a rischio.

I genitori con disturbo ossessivo-compulsivo post-partum non hanno alcun desiderio o intenzione di nuocere al piccolo, però la comparsa di un pensiero indesiderato o minaccioso li porta a mettere in discussione le proprie intenzioni, la propria morale o la propria idoneità a svolgere il ruolo di genitore .

Nonostante questi timori, il disturbo ossessivo post-parto non è associato a un incremento del rischio di far del male ai bambini o neonati.

Come per tutte le forme di disturbo ossessivo-compulsivo, anche questo tipo di disturbo comprende rituali e comportamenti di evitamento in risposta alle ossessioni, quali ad esempio comportamenti di controllo, comportamenti di lavaggio, di evitamento situazionale e rituali mentali.

Questi comportamenti mantengono i sintomi del disturbo, perché impediscono la disconferma delle credenze errate correlate alle ossessioni stesse.

Dato il modo in cui il disturbo ossessivo-compulsivo post-partum funziona, più intensamente il genitore esamina i pensieri indesiderati, più aggrava il proprio disturbo. Quanto più la persona cerca di capire il motivo per il quale compaiono questi pensieri, o cerca il modo di farli cessare, più frequentemente il pensiero si ripresenterà.

I genitori che soffrono di un grave disturbo ossessivo-compulsivo post-partum possono avere pensieri indesiderati riguardanti il proprio bambino quasi costanti.

I sintomi possono causare nel genitore il terrore di passare del tempo con il bambino, e questo può incidere sul legame e può devastare la relazione padre/madre-figlio.

Poiché le ossessioni aggressive e le ossessioni sessuali sono in netto contrasto con quanto i nuovi genitori sentono di “dover” provare, i sintomi del disturbo ossessivo sono spesso causa di una grande quantità di senso di colpa, vergogna e confusione.

A causa della natura dei sintomi, il disturbo ossessivo-compulsivo post-partum si traduce spesso in un estremo isolamento, alienazione e depressione ed a volte è un fattore scatenante per la separazione o il divorzio dei genitori.

Anche se molte persone sono a conoscenza dell’esistenza della depressione post-partum, pochissimi hanno familiarità con il disturbo ossessivo post-partum, che però colpisce circa il 2,6 % delle madri.

I sintomi di questo disturbo possono risultare così inquietanti che soltanto pochi riescono ad esprimersi chiaramente riguardo a quello che stanno vivendo. Temono gli sguardi di orrore e disgusto dei propri cari, la possibilità che possano essergli portati via i figli, o che i medici possano decretare che sono “pazzi” e ricoverarli.

La realtà è che, proprio come le altre forme di disturbo ossessivo-compulsivo, anche quello post-partum è curabile. Il trattamento di prima scelta è la terapia cognitivo-comportamentale, che prevede tecniche progettate espressamente per i sintomi di questo tipo.

Alcuni timori caratteristici del disturbo ossessivo-compulsivo post-partum

I sintomi più comuni del disturbo ossessivo post-partum comprendono i timori di danneggiare accidentalmente o intenzionalmente il proprio figlio.

  • Paura di agire seguendo un impulso indesiderato e ferire o uccidere il proprio bambino.
  • Paura di pugnalare il proprio bambino.
  • Paura di picchiare a morte il proprio bambino.
  • Paura di soffocare il bambino.
  • Paura di scuotere il bambino a morte.
  • Timore che si possa perdere il controllo e annegare il bambino durante il bagnetto.
  • Timore di agire in modo sessualmente inappropriato verso il bambino, durante il cambio del pannolino, il bagnetto o mentre lo si sta vestendo.
  • Timore che si possa segretamente desiderare di molestare il bambino.
  • Paura di toccare impropriamente il proprio bambino.
  • Paura di essere sessualmente attratti dal proprio bambino.
  • Timore che la propria irresponsabilità porterà alla morte del bambino.
  • Paura di avvelenare accidentalmente il proprio bambino per non aver pulito correttamente il biberon o i giochi.
  • Paura di esporre accidentalmente il bambino a sostanze chimiche (ad esempio , i prodotti per la pulizia).
  • Paura che se non si controlla abbastanza il proprio bambino, questo possa improvvisamente morire (ad esempio per SIDS)
  • Paura di soffocare il proprio bambino o che esso soffochi a causa della propria negligenza.

Un caso tipico di DOC da relazione

«Sono una ragazza di 30 anni, fidanzata da due. Il mio ragazzo è carino, intelligente; ha un buon lavoro e insieme stiamo bene. O meglio, stavamo bene fino a cinque mesi fa quando lui mi ha chiesto di sposarlo. Da quel momento è iniziato il mio calvario: non sono più sicura di amarlo! O meglio, sento di amarlo, ma non riesco a smettere di pensare se davvero sia l’uomo giusto per me. Metto in dubbio i miei sentimenti: “Lo amo abbastanza?” “Rappresenta davvero l’amore della mia vita?”. Non riesco a darmi una risposta convincente.

Cresce l’angoscia di commettere il più grande errore della mia vita. Ho bisogno di sanare quello stato di incertezza arrivando a quell’unica risposta assoluta e incontrovertibile: sì lo amo. No, non lo amo. Non ci riesco. Inizio a cercare delle prove che mi aiutino a risolvere questo dubbio. Controllo i miei pensieri durante il giorno sperando che quelli relativi a lui siano costantemente presenti. Presto attenzione ai miei stati interni quando sono in sua compagnia.

Purtroppo questi test non aiutano: ogni qualvolta mi accorgo che non sto pensando a lui oppure provo irritazione o fastidio in sua compagnia, inizio a dubitare seriamente se davvero rappresenta l’uomo giusto per me e se davvero questa mia relazione di coppia vada bene. Del resto, se ho questi dubbi forse è perché non sono felice con lui! Questi pensieri rendono difficile mantenere la concentrazione a lavoro.

Inizio a pensare che forse non è abbastanza interessante per me. Razionalmente so che non è così: è un ragazzo brillante, intelligente. Tuttavia, non riesco a non pensare al fatto di poter avere un partner migliore. Mi capita di guardarmi attorno e di vedere altri ragazzi. E se magari fossi più felice con loro? Come faccio ad essere sicura che magari con loro non mi sentirei più innamorata? Chiedo agli amici quello che pensano, ma nessuno sembra aiutarmi.

Se non sono sicura che lui sia quello giusto per me, allora è meglio che chiuda questa relazione. Già, ma se poi non ne trovo un altro? E se poi mi accorgo che invece era quello giusto? Come faccio a tornare indietro a quel punto? Rischierei di pentirmene tutta la vita. Ma come faccio a stare con lui se mi sento perseguitata dai dubbi che non sia quello giusto per me? La paura di prendere una decisione sbagliata mi paralizza, oscillando tra il timore di perderlo e il sentirmi intrappolata in una relazione sbagliata.»

Cos’è il DOC da relazione

A tutti può capitare di pensare se il nostro partner sia quello giusto. Anche le coppie più affiatate possono vivere momenti di incertezza su ciò che provano gli uni verso gli altri. È un’esperienza comune avere dubbi sulla compatibilità con il proprio partner o su quanto la nostra relazione sentimentale sia adeguata.

In alcuni casi, come l’esempio sopra descritto, questi dubbi e preoccupazioni occupano talmente tanto lo spazio mentale della persona da arrivare a limitarne il funzionamento sociale e lavorativo. In questi casi si parla di Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) da relazione. Una sintomatologia ossessivo-compulsiva che ha il suo focus sulle relazioni intime e che solo di recente ha iniziato a ricevere attenzione sia dal punto di vista clinico che di ricerca (Doron, Derby, Szepsenwol, 2014).

Esordio del DOC da relazione

Le ossessioni da ‘relazione’ possono riguardare varie tipologie di relazione, come ad esempio quella di una madre con il proprio figlio o anche il rapporto con Dio, anche se la gran parte della ricerca si è basata sulla relazione con il proprio partner.

In alcuni casi l’esordio sintomatologico consegue a decisioni importanti dal punto di vista relazionale, come ad esempio una proposta di matrimonio o l’avere figli. In altre situazioni, i sintomi ossessivo-compulsivi si verificano dopo la chiusura di una relazione sentimentale. La persona si preoccupa ossessivamente di quanto il partner precedente fosse la persona giusta, temendo di rimpiangere la sua scelta per sempre. E così sente il bisogno di rassicurarsi per esempio ricordandosi i motivi per i quali la relazione è stata chiusa, oppure richiamando alla memoria i conflitti vissuti, come a trovare una giustificazione di quella scelta.

Dalla ricerca emerge che sia la durata della relazione sentimentale che il genere non sono variabili connesse a questa tipologia di DOC.

Tipologie di DOC da relazione

Due sono le manifestazioni comuni di questa sintomatologia: sintomi ossessivo-compulsivi centrati sulla relazione e sintomi focalizzati sul partner.

Centrato sulla relazione

Nel primo caso, le persone si sentono perseguitate da dubbi e preoccupazioni su ciò che provano nei confronti dei loro partner, sui sentimenti che i partner hanno nei loro confronti e su quanto la relazione sia ‘giusta’. Possono ripetutamente avere in testa pensieri del tipo: “È questa la relazione giusta per me?” oppure “Quello che provo non è vero amore!”, o ancora “Sto bene con lui/lei?”, “Il mio partner mi ama davvero?”.

Centrato sul partner

Nel caso di una sintomatologia focalizzata sul partner, invece, il nucleo delle ossessioni è rappresentato da caratteristiche fisiche del partner (come ad esempio una parte del corpo), da qualità sociali (per esempio, il non possedere i requisiti per avere successo nella vita) o ancora da aspetti quali ad esempio la moralità, l’intelligenza, o la stabilità emotiva (“Non è abbastanza intelligente per me”, “Non è una persona sufficientemente stabile con la quale posso portare avanti un progetto di famiglia”).

Il rapporto tra le due tipologie di sintomi

Le due manifestazioni sintomatologiche non sono mutuamente escludentisi nella stessa persona. L’esperienza clinica e le ricerche scientifiche hanno mostrato che i sintomi ossessivo-compulsivi centrati sulla relazione e quelli che si focalizzano sul partner spesso sono presenti insieme.

Molte persone descrivono di essere dapprima preoccupate per un difetto percepito del loro partner (ad esempio, relativamente all’aspetto fisico) e poi essere tormentate da pensieri su quanto la relazione possa essere ‘giusta’, dato proprio quel limite fisico.

Può verificarsi anche il viceversa: si inizia ad avere dubbi sulla relazione e solo in un secondo momento si diventa preoccupati di un qualche difetto del partner. In questo caso il pensiero intrusivo riguardante il difetto del partner potrebbe essere considerato proprio il segno di qualcosa che non va nella relazione di coppia.

DOC da relazione: le strategie comportamentali

Compulsioni

Come prerogativa di ogni forma di disturbo ossessivo-compulsivo, ai dubbi e alle preoccupazioni si associano una varietà di compulsioni il cui scopo è quello di tentare di sopprimere/ridurre la frequenza di questi pensieri, così come ridurre l’incertezza rispetto al contenuto.

Le compulsioni più comuni che le persone con DOC da relazione tendono a mettere in atto sono le seguenti:

  • prestare attenzione e controllare i propri sentimenti (“Provo amore nei confronti del mio partner?”) e i propri comportamenti (“Sto forse guardando altre donne/uomini?”);
  • confrontare la propria relazione con quella di altre persone, come amici, colleghi o anche le relazioni sentimentali di personaggi della tv (“Sono felice come loro?”);
  • rassicurarsi richiamando alla memoria esperienze con l’attuale partner in cui si sono sentite certe di ciò che provavano.

Evitamenti

Le persone che soffrono di DOC da relazione spesso provano a evitare le situazioni che possono fungere da innesco ai loro pensieri indesiderati e ai loro dubbi sulla relazione di coppia.

Per esempio, possono evitare occasioni sociali con amici riconosciuti come ‘la coppia perfetta’. Se quelle circostanze non fossero evitate occuperebbero tutto il tempo a confrontare il proprio comportamento con quello degli amici, rilevando quelle differenze che poi sarebbero lette a conferma della non ‘giustezza’ della loro relazione.

Allo stesso modo, possono essere evitate attività di piacere, come ad esempio vedere un film romantico, per il timore di rilevare una discrepanza tra che ciò che provano nei confronti del proprio partner e l’amore passionale e travolgente che magari contraddistingue i protagonisti del film.

DOC da relazione: gli elementi cognitivi

È ampiamente riconosciuto nel disturbo ossessivo-compulsivo che la diversa reazione nei confronti dei propri eventi interni gioca un ruolo nello sviluppo del disturbo.

Nel caso specifico del DOC da relazione, per esempio, gli individui possono attribuire grande importanza alla relazione di coppia, come parte fondante del proprio essere, di ciò che sono.

Se dunque l’autostima e il proprio valore personale è strettamente connesso al dominio relazionale, si è inevitabilmente ipervigili a tutto ciò che concerne la relazione, al punto che un normale sentimento di noia all’interno della relazione con il partner può avere implicazioni significativamente negative sull’idea che ho di me stesso.

In modo simile, queste persone saranno più sensibili a pensieri sulle qualità del partner se un qualche difetto dello stesso è percepito come riflesso del proprio valore personale.

Ecco che il modo in cui il partner si confronta con gli altri e come è considerato dal resto del mondo possono riverberarsi sulla persona intaccando l’immagine di Sé, con conseguenti emozioni negative (per esempio, vergogna, colpa).

Credenze disfunzionali

Credenze specifiche sulle relazioni, inoltre, possono essere particolarmente rilevanti per il mantenimento e lo sviluppo del DOC da relazione. Per esempio, pensieri catastrofici relativi al danno dello stare in una relazione in cui si hanno dei dubbi o sulle conseguenze negative per l’altro dell’interruzione di una relazione esistente (ad esempio, “Chiudere la relazione con un partner è una delle cose peggiori che può capitare nella vita di una persona”) e per se stesso (“Il pensiero di vivere la mia vita senza di lui/lei mi terrorizza”).

Queste persone solitamente presentano convinzioni rigide di ciò che dovrebbero provare all’interno di una ‘giusta’ relazione di coppia, del tipo “Se non pensi al partner in ogni momento della giornata, significa che non è quello giusto” oppure “Se non sei sempre felice quando sei con lui, non è vero amore”.

Infine, il perfezionismo, l’intolleranza dell’incertezza, l’importanza dei pensieri e il loro controllo, così come la responsabilità ipertrofica, che rappresentano alcune delle credenze tipiche nella sintomatologia ossessiva, sono presenti anche nel DOC da relazione.

Cura del DOC da relazione

Come per le altre forme di disturbo ossessivo-compulsivo, anche nel DOC da relazione il trattamento cognitivo-comportamentale risulta efficace.

La terapia cognitivo-comportamentale consente l’apprendimento di strategie funzionali alla gestione e alla riduzione delle ossessioni e compulsioni.

In particolare le tecniche utilizzate sono l’esposizione con prevenzione della risposta (esposizione a situazioni temute senza poter ricorrere alle compulsioni per gestire dubbi e emozioni negative) e la ristrutturazione cognitiva dei pensieri e delle credenze disfunzionali.

In alcuni casi si può coinvolgere anche il partner al fine di valutare gli eventuali rinforzi forniti da quest’ultimo ai sintomi del paziente ed interrompere i cicli interpersonali disfunzionali.

Una riduzione significativa dei sintomi permetterebbe di avere una maggiore consapevolezza di ciò che accade all’interno della relazione consentendo alla persona di arrivare a prendere una decisione (lasciare o meno il partner) basata sulla reale esperienza di relazione piuttosto che su paure e preoccupazioni legate al disturbo.