Disturbi di personalità

disturbi di personalità non sono caratterizzati da specifici sintomi o sindromi, come ad esempio il disturbo ossessivo-compulsivo, la depressione o gli attacchi di panico, ma dalla presenza esasperata e rigida di alcune caratteristiche di personalità.

La personalità (o carattere) è stata definita in molti modi, ma si può dire che sia l’insieme delle caratteristiche, o tratti stabili, che rappresentano il modo con il quale ciascuno di noi risponde, interagisce, percepisce e pensa a ciò che gli accade.

Si può anche dire che la personalità, per chiunque e non solo per chi soffre di disturbi di personalità, sia il modo stabile che ciascuno di noi si è costruito, con le proprie esperienze ed a partire dal proprio temperamento innato, di rapportarsi con gli altri e con il mondo.

I tratti che la compongono rappresentano le caratteristiche del proprio stile di rapporto con gli altri: così esiste per esempio il tratto della dipendenza dagli altri, o della sospettosità, o della seduzione, oppure quello dell’amor proprio.

Normalmente questi tratti devono essere abbastanza flessibili a seconda delle circostanze: così in alcuni momenti sarà utile essere più dipendenti o passivi del solito, mentre in altri sarà più funzionale essere seducenti.

disturbi di personalità sono caratterizzati dalla rigidità e dalla presentazione inflessibile di tali tratti, anche nelle situazioni meno opportune. Ad esempio, alcune persone tendono sempre a presentarsi in modo seducente indipendentemente dalla situazione nella quale si trovano, rendendo così difficile gestire la situazione; altre persone, invece, tendono ad essere sempre talmente dipendenti dagli altri che non riescono a prendere autonomamente proprie decisioni.

Solitamente tali tratti diventano così consueti e stabili che le persone stesse non si rendono conto di mettere in atto comportamenti rigidi e inadeguati, da cui derivano le reazioni negative degli altri nei loro confronti, ma si sentono sempre le vittime della situazione e alimentano il proprio disturbo di personalità.

Così, ad esempio, una persona che presenta un disturbo paranoide di personalità, non capisce che, con il suo comportamento sospettoso, non dà fiducia agli altri, e si “tira addosso” fregature e reazioni aggressive, confermandosi l’idea che non ci si può fidare di nessuno.

disturbi di personalità sono stati classificati, secondo la più diffusa classificazione psicopatologica, in tre categorie:

Disturbi di personalità caratterizzati dal comportamento bizzarro:

  • Disturbo paranoide di personalità: chi ne soffre tende ad interpretare il comportamento degli altri come malevolo, comportandosi così sempre in modo sospettoso.
  • Disturbo schizoide di personalità: chi ne soffre non è interessato al contatto con gli altri, preferendo uno stile di vita riservato e distaccato dagli altri.
  • Disturbo schizotipico di personalità: solitamente è presentato da persone eccentriche nel comportamento, che hanno scarso contatto con la realtà e tendono a dare un’assoluta rilevanza e certezza ad alcune intuizioni magiche.

Disturbi di personalità caratterizzati da un’alta emotività:

  • Disturbo borderline di personalità: solitamente chi ne soffre presenta una marcata impulsività ed una forte instabilità sia nelle relazioni interpersonali sia nell’idea che ha di sé stesso, oscillando tra posizioni estreme in molti campi della propria vita.
  • Disturbo istrionico di personalità: chi ne soffre tende a ricercare l’attenzione degli altri, ad essere sempre seduttivo e a manifestare in modo marcato e teatrale le proprie emozioni.
  • Disturbo narcisistico di personalità: chi ne soffre tende a sentirsi il migliore di tutti, a ricercare l’ammirazione degli altri e a pensare che tutto gli sia dovuto, data l’importanza che si attribuisce.
  • Disturbo antisociale di personalità: chi ne soffre è una persona che non rispetta in alcun modo le leggi, tende a violare i diritti degli altri, non prova senso di colpa per i crimini commessi.

Disturbi di personalità caratterizzati da una forte ansietà:

  • Disturbo evitante di personalità: chi ne soffre tende a evitare in modo assoluto le situazioni sociali per la paura dei giudizi negativi degli altri, presentando quindi una marcata timidezza.
  • Disturbo dipendente di personalità: chi ne soffre presenta un marcato bisogno di essere accudito e seguito da parte degli altri, delegando quindi tutte le proprie decisioni.
  • Disturbo ossessivo compulsivo di personalità: chi ne soffre presenta una marcata tendenza al perfezionismo ed alla precisione, una forte preoccupazione per l’ordine e per il controllo di ciò che accade.

Tutti i disturbi di personalità devono essere trattati con psicoterapia, meglio se cognitivo comportamentale, a medio-lungo termine. Solitamente i farmaci non modificano in alcun modo la struttura di personalità, anche si in alcuni casi possono essere utile per gestire i sintomi ansiosi, depressivi e di discontrollo degli impulsi, che tipicamente si riscontrano in tali disturbi.

La caratteristica essenziale del Disturbo Narcisistico di Personalità è un quadro di tendenza alla superiorità, necessità di ammirazione e mancanza di sensibilità per gli altri.

Gli individui con disturbo narcisistico hanno, per la maggior parte del tempo, un’alta considerazione di sé. Essi abitualmente esagerano le proprie capacità, apparendo spesso presuntuosi. Credono di essere speciali, superiori, di dover essere soddisfatti in ogni loro richiesta e di avere diritto ad un trattamento speciale.

Si aspettano che anche gli altri riconoscano il loro status di persone speciali e, nel caso in cui questo accada, li idealizzano. Viceversa se gli altri mettono in discussione le loro qualità reagiscono con rabbia, risultando incapaci di mettersi in discussione ed accettare le critiche.

Gli individui con disturbo narcisistico di personalità generalmente hanno difficoltà a riconoscere che anche gli altri hanno desideri, sentimenti e necessità. Credono che le proprie esigenze vengano prima di ogni cosa e che il loro modo di vedere le cose sia l’unico giusto universalmente, mostrando indifferenza rispetto al punto di vista degli altri e incapacità di coglierlo. Così, per esempio, gli individui con disturbo narcisistico possono pretendere di evitare di fare la fila e di essere serviti immediatamente da commessi e camerieri. In ogni caso, anche se non lo pretendono, si infastidiscono oltre modo quando si trovano a dover rispettare le attese, le regole condivise, mal tollerando di non veder soddisfatti subito i propri bisogni.

Solitamente i pazienti narcisisti hanno un livello molto elevato di perfezionismo e vogliono che le cose che in qualche modo riflettono la loro immagine (vestiti, auto, casa, ecc.) e le loro capacità (studio, lavoro, ecc.) siano perfette. Purtroppo applicano tale meccanismo perfezionistico anche alle persone più intime (es. partner o figli), nei confronti delle quali sono molto esigenti e critici, poiché pretendono che facciano fare loro sempre “bella figura”.

Le relazioni interpersonali del paziente con disturbo narcisistico di personalità sono dunque tipicamente compromesse a causa di problemi derivanti dalle eccessive pretese, dalla necessità di ammirazione e dal relativo disinteresse per la sensibilità degli altri.

Gli individui narcisistici, infine, sono spesso invidiosi degli altri, o credono che gli altri siano invidiosi di loro. Tendono a vedere gli altri in chiave competitiva e a lottare per stabilire e mantenere una posizione di supremazia.

Molto spesso, negli alti ruoli di qualunque gerarchia (aziendale, istituzionale, ecc.), troviamo soggetti con personalità narcisistica, in quanto le loro caratteristiche sono funzionali alla competizione sul lavoro. Ottengono elevati risultati senza rendersi conto di quanto molte persone facciano le spese dei loro atteggiamenti o rimangano ferite da essi.

Nelle relazioni interpersonali le persone con disturbo narcisistico di personalità sono fallimentari. Scelgono generalmente partner deboli e sottomessi, che li ammirano e li fanno sentire importanti.

Dopo un po’ di tempo, però, si annoiano, si sentono insoddisfatti e vanno alla ricerca di nuovi flirt, volti a stimolarli nuovamente, oppure tentano di trasformare il/la partner, manipolandoli a loro piacimento.

Anche in amore vivono con un costante senso di competizione e il gusto che traggono dalla relazione e principalmente quello di conquista della “preda”. Vivono le relazioni sessuali con forte ansia da prestazione, il che talvolta li rende vittima di disfunzioni sessuali, che per loro costituiscono una tragedia.

I pazienti con disturbo narcisistico di personalità, nei rari casi in cui entrano in relazioni con una persona “al loro livello”, che non li ammira, a cui sono loro ad attaccarsi veramente, soffrono di un’elevata ansia d’abbandono e, nel caso di una rottura, sprofondano nella depressione. Stessa sorte tocca loro nel caso in cui ottengano pesanti fallimenti sul lavoro o perdano una competizione importante.

In ogni caso i narcisisti, anche quando hanno la sensazione di avere tutto ciò che desiderano (successo, amore, soldi, ecc.) si sentono costantemente insoddisfatti e attraversano fasi depressive cui non sanno dare una spiegazione.

La terapia del disturbo narcisistico di personalità è molto difficile, anche per la loro totale inconsapevolezza del disturbo e dell’effetto che esso provoca negli altri. In genere arrivano ad una terapia soltanto perché si sentono depressi, ma le tradizionali terapie antidepressive non hanno efficacia.

La terapia cognitiva a medio-lungo termine (da 1 a 2 anni) offre qualche possibilità di miglioramento, sebbene sia molto difficile modificare una struttura di personalità e, in questi casi, anche conquistarsi la fiducia del paziente con personalità narcisistica e mantenerla elevata.

La caratteristica essenziale del Disturbo Antisociale di Personalità è un quadro di comportamenti che viola i diritti degli altri e le regole sociali principali.

Gli individui con disturbo antisociale hanno un comportamento caotico e scarsamente in sintonia con le richieste della società. Sono frequentemente disonesti e manipolativi per trarre profitto o piacere personale. Le decisioni vengono prese sotto l’impulso del momento, senza considerazione delle conseguenze per sé e per gli altri. Dinanzi ad un proprio comportamento antisociale, coloro che hanno un disturbo antisociale di personalità possono minimizzare le conseguenze dannose oppure semplicemente mostrare completa indifferenza; generalmente non provano senso di colpa.

La loro visione del mondo è dunque personale piuttosto che interpersonale. I soggetti con disturbo antisociale non riescono a tenere in considerazione il punto di vista di un altro allo stesso modo del proprio e pertanto non riescono a mettersi nei panni di un altro. Tendono a mostrare un comportamento irritabile e aggressivo verso gli altri e ad essere cinici e sprezzanti nei confronti dei sentimenti e delle sofferenze altrui.

Questi individui con disturbo di personalità antisociale mostrano anche comportamenti di non salvaguardia della propria salute personale. Possono coinvolgersi in comportamenti sessuali non protetti, in uso di sostanze stupefacenti o in comportamenti di guida spericolati (ricorrenti eccessi di velocità, guidare in stato di intossicazione).

Gli individui con disturbo antisociale di personalità considerano i propri problemi come il risultato di una incapacità delle altre persone ad accettarli o del desiderio altrui di limitare la loro libertà.

Gran parte dei soggetti che affollano le comunità per tossicodipendenti e le carceri sono affetti da un simile disturbo di personalità antisociale (la cosiddetta doppia diagnosi), che purtroppo ha una prognosi molto infausta, poiché la consapevolezza di malattia è generalmente assente e le possibilità di trattamento sia farmacologico che psicoterapeutico sono quasi nulle, anche perché essi non ne riconoscono la necessità.

Qualora vi sia la motivazione al trattamento, i pazienti con disturbo antisociale possono trarre qualche giovamento da un trattamento psicoterapeutico di tipo cognitivo comportamentale, di media-lunga durata, che possa aiutarli a sviluppare empatia e a comprendere meglio la mente dell’altro, oltre che a regolare i propri impulsi.

Le caratteristiche essenziali del Disturbo Evitante di Personalità sono una modalità diffusa di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza e ipersensibilità al giudizio degli altri.

I pazienti con disturbo evitante hanno un forte desiderio di stabilire relazioni intime con gli altri a cui si accompagna una costante paura di essere criticati, disapprovati o rifiutati. Considerano le reazioni negative degli altri come giustificate, senza riuscire a formulare ipotesi alternative.

I pazienti con disturbo evitante di personalità non hanno criteri interiori con cui giudicare se stessi in modo positivo; al contrario, confidano unicamente nella percezione dei giudizi degli altri. Interpretano il rifiuto come causato esclusivamente dalla loro inadeguatezza e questo confermerebbe la loro convinzione di non essere amabili.

La prospettiva del rifiuto è talmente dolorosa e inaccettabile che preferiscono tenersi a distanza dalle persone che, avvicinandosi, potrebbero scoprire la loro reale natura (negativa). Ne consegue la tendenza ad evitare e a fuggire i rapporti con gli altri, soprattutto se essi implicano un certo coinvolgimento emotivo. L’evitamento, se da un lato allevia stati d’animo negativi legati al timore di sentirsi imbarazzato e umiliato in presenza di altri, dall’altro conduce al ritiro in una solitudine vissuta con tristezza.

Il paziente con disturbo evitante di personalità, infatti, soffre spesso di depressione. Una volta solo, intraprende attività che momentaneamente lo gratificano e lo proteggono dal contatto interpersonale. Tuttavia, quando prende consapevolezza che questo è il segno dell’incapacità a vivere una vita come gli altri, si deprime profondamente.

Un’emozione centrale del disturbo evitante è la vergogna: le situazioni sociali devono essere evitate perché è lì che le loro inadeguatezze sono esposte alla vista di tutti. I pazienti con personalità evitante possono agire con inibizione, avere difficoltà a parlare di sé e trattenere sentimenti intimi per timore di esporsi, di essere ridicolizzati o umiliati.

Spesso la diagnosi di disturbo evitante di personalità può essere confusa con quella di fobia sociale, ma la personalità evitante prevede un sentimento di ansia generalizzato a tutte le interazioni con gli altri e un forte senso di estraneità rispetto al mondo esterno, che in genere non riguarda i social fobici.

I pazienti con disturbo evitante di personalità si sentono come alieni sulla terra, diversi dagli altri, incapaci di condividere i loro sentimenti, distanti, inferiori; è come se vedessero la vita degli altri scorrere dietro a un vetro, ma si rendessero conto che loro non saranno mai “dentro” a quella vita “normale”.

Il disturbo evitante di personalità non ha un’ottima prognosi, ma risponde abbastanza bene alla terapia cognitivo-comportamentale a medio-lungo termine (da 1 a 2 anni).

La caratteristica essenziale degli individui con Disturbo Dipendente di Personalità è un comportamento dipendente e sottomesso finalizzato a ricercare qualcuno che li protegga e che si prenda cura di loro. Esso nasce da una considerazione di sé come fondamentalmente inadeguati e indifesi e pertanto incapaci di affrontare il mondo soltanto con le proprie forze (bassa stima di sé).

Gli individui con disturbo dipendente non sono in grado di prendere quotidianamente delle decisioni, a meno che non abbiano un numero eccessivo di consigli e di rassicurazioni da parte degli altri. Lasciare agli altri la responsabilità di prendere decisioni per la loro vita, se da un lato allevia l’ansia che ogni decisione porta con sé, dall’altro favorisce una posizione di sottomissione all’interno della relazione con l’altro.

I pazienti con disturbo dipendente di personalità si sentono sconvolti e indifesi quando le loro relazioni intime terminano a causa del timore esagerato di essere incapaci di prendersi cura di sé. Li ferisce essere disapprovati, tendono ad assoggettarsi agli altri e farebbero qualsiasi cosa pur di piacere agli altri. Al fine di scongiurare l’abbandono dalle persone da cui dipendono, concordano su ciò che ritengono sbagliato piuttosto che esprimere un disaccordo.

I soggetti con disturbo dipendente hanno difficoltà ad iniziare i progetti o a fare cose per proprio conto. Aspettano gli altri per iniziare poiché credono che di regola gli altri facciano meglio. Mancano di fiducia in se stessi e tendono a sminuire alcune delle loro abilità e punti di forza. Tendono così a fidarsi ciecamente e a contare fedelmente sugli altri prevedendo che i loro sforzi saranno premiati con l’affetto e la protezione.

In genere coloro che soffrono di disturbo dipendente di personalità si scelgono partner con caratteri forti, talvolta narcisisti, che assumono nei loro confronti atteggiamenti dominanti e controllanti. Tale sbilanciamento relazionale, alla lunga, pur costituendo una sembianza di equilibrio, nuoce al soggetto dipendente, che sacrifica se stesso in funzione della relazione e che, paradossalmente, finisce spesso per essere scaricato/a, in quanto non sufficientemente stimolante e degno di stima agli occhi del partner.

Il disturbo dipendente di personalità, se diagnosticato, beneficia di trattamenti psicoterapeutici di tipo cognitivo-comportamentale a medio-lungo termine (da 1 a 2 anni), che puntano sull’acquisizione della fiducia in se stessi, sulla progressiva autonomia del soggetto dalle relazioni interpersonali e sulla presa di consapevolezza dei propri bisogni individuali, che spesso queste persone faticano a riconoscere e, soprattutto, ad affermare.

Coloro che sono affetti dal Disturbo Ossessivo Compulsivo di Personalità sono molto perfezionisti e aspirano ad alti standard di prestazione, che si traducono in un’attenzione minuziosa per le regole, i dettagli, le procedure, le liste, i programmi o la forma delle frasi, tanto che possono impegnarsi in ogni dettaglio di un progetto al punto da non portarlo mai a compimento. Generalmente hanno un eccessivo attaccamento al lavoro (o allo studio) e alla produttività e tendono a trascurare le attività ludiche e le amicizie.

I pazienti con disturbo ossessivo compulsivo di personalità sono spesso molto coscienziosi, scrupolosi e inflessibili a proposito di moralità, etica o valori. Si impongono, ed impongono agli altri, principi morali rigidi e standard di prestazione molto rigorosi. Sono rigidi e testardi e possono anche essere impietosamente autocritici nei confronti dei propri errori.

Talvolta coloro che soffrono di disturbo ossessivo compulsivo di personalità sono incapaci di gettare oggetti usati o inutili, anche quando non hanno valore sentimentale. In genere sono riluttanti a delegare compiti o a lavorare con altri ed insistono in modo testardo e irragionevole perché ogni cosa venga fatta a modo loro e perché le persone si conformino al loro modo di agire, dando istruzioni molto dettagliate su come “dovrebbero” essere fatte le cose. Tendono ad essere avari e taccagni ed a mantenere un tenore di vita inferiore rispetto alla loro reale condizione economica, per essere certi di poter provvedere in caso di catastrofi future.

Una caratteristica di molti pazienti con personalità ossessivo compulsiva è pensare in termini di “dovrei” e “devo”. Tale stile di pensiero li induce a fare ciò che dovrebbero o devono fare per i loro rigidi standard interiorizzati invece di quello che desiderano fare o di ciò che è preferibile fare.

Dal punto di vista affettivo, chi ha un disturbo ossessivo compulsivo di personalità è convinto che le proprie emozioni e i propri impulsi debbano essere controllati per non perdere la propria autostima o per non danneggiare gli altri. Di qui la tendenza a reprimere e a razionalizzare le emozioni. Questi pazienti risultano quindi rigidi, impostati; non si lasciano mai andare e vivono gli affetti in modo coartato.

Si tratta quindi di un disturbo pervasivo, che incide sul funzionamento generale della persona, rendendola inefficiente e particolarmente rigida e noiosa, al punto da compromettere spesso la qualità delle sue relazioni sociali. Coloro che soffrono di disturbo di personalità ossessivo compulsiva sono quelle persone eccessivamente precise, affidabili, puntuali, pignole ed ordinate che, anche nel linguaggio comune, vengono definite “ossessive”.

Le persone che soffrono di un disturbo ossessivo compulsivo di personalità presentano spesso, ma non sempre, sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo (che, nonostante il nome simile, è tutt’altra cosa), in particolare relativi al controllo, all’accumulo o all’accaparramento, all’ordine e alla simmetria.

La terapia del disturbo ossessivo compulsivo di personalità ha una prognosi purtroppo non molto buona. Una trattamento cognitivo-comportamentale a medio-lungo termine (da 1 a 2 anni) può avere una certa efficacia, ma generalmente i risultati sono lenti e incompleti.

Psicopatia: sintomi e caratteristiche

Il Disturbo Psicopatico (psicopatia) si caratterizza per un pattern durevole di comportamenti antisociali che iniziano in infanzia. È il primo disturbo di personalità riconosciuto storicamente in psichiatria e vanta una lunga tradizione clinica. Si caratterizza per una serie di fattori interpersonali, affettivi e comportamentali elencati di seguito:

  1. Loquacità/fascino superficiale: lo psicopatico è spesso un conversatore divertente e piacevole, capace di raccontare storie improbabili ma convincenti, che lo mettono in buona luce agli occhi degli altri;
  2. Senso grandioso del Sè: la psicopatia è caratterizzata da un’opinione elevata del proprio valore e delle proprie caratteristiche;
  3. Bisogno di stimoli/propensione alla noia: lo psicopatico si annoia rapidamente e tende a ricercare la ri-attivazione comportamentale o emotiva assumendo comportamenti a rischio;
  4. Menzogna patologica: possiede solitamente una notevole prontezza ed abilità nel mentire;
  5. Manipolatorietà: può far uso della frode per truffare, ingannare o manipolare gli altri, al fine di conseguire uno scopo personale percepito come vantaggioso;
  6. Assenza di rimorso/senso di colpa: la psicopatia può manifestarsi assenza di preoccupazione per le conseguenze negative delle proprie azioni;
  7. Affettività superficiale: le emozioni sono spesso teatrali, superficiali e di breve durata;
  8. Deficit del controllo comportamentale: lo psicopatico può essere collerico o irritabile, oltre che rispondere alla frustrazione con comportamenti aggressivi verbalmente o condotte violente;
  9. Impulsività: nella psicopatia può essere presente la carenza di riflessione, pianificazione e premeditazione.

Caratteristiche neurobiologiche della psicopatia

I modelli neurobiologici della psicopatia si sono concentrati sul peculiare funzionamento delle strutture limbiche e paralimbiche, in particolare amigdala e corteccia prefrontale ventromediale, cercando di far luce sulla associazione tra disfunzioni a carico di queste aree e carenza/mancanza di empatia e di regolazione del comportamento.

Esistono principalmente due tesi che hanno tentato di spiegare perché le persone affette da psicopatia non provino normalmente empatia e senso di colpa: (a) l’ipotesi del deficit empatico (Blair 1995) e (b) quella della carente fearfulness (propensione alla paura) (Hare 1970; Kochanska 1997; Lykken 1995; Patrick 1994).

Secondo l’ipotesi del “deficit empatico” si riscontrerebbe un’anomalia nel funzionamento della amigdala che renderebbe difficile/assente il riconoscimento delle emozioni altrui come ansia e tristezza. La seconda tesi sostiene che alla base del disturbo vi sia un’alterazione dell’amigdala che si manifesterebbe nella scarsa fearfulness (bassa reattività agli stimoli nocivi o minacciosi). Essa implicherebbe insufficiente sensibilità alle punizioni e, di conseguenza, una limitata rilevanza attribuita alle norme morali.

Caratteristiche emozionali della psicopatia

Gli psicopatici mostrano difficoltà nel processare le informazioni emozionali e nel rispondere empaticamente agli altri. Tale deficit potrebbe essere alla base del successo che spesso questi individui hanno nel manipolare e raggirare le altre persone, risultando convincenti.

L’assenza di reciprocità emotiva ed empatia, oppure la riduzione di intensità con cui vengono vissute e rappresentate le emozioni, potrebbe spiegare la peculiare capacità di persuasione che connota tali individui: mancando di empatia, infatti, le persone psicopatiche sarebbero maggiormente in grado di rappresentare la loro vittima come “un oggetto da usare”, riuscendo a non provare rimorso o senso di colpa per le conseguenze delle loro azioni.

Caratteristiche cognitive della psicopatia

Gli schemi di base di sé, degli altri e del mondo degli psicopatici sembrano caratterizzarsi per rigidità ed inflessibilità: lo psicopatico vede se stesso come forte e autonomo, mentre gli altri come deboli e passibili di sfruttamento (prede). È tipicamente presente un bias per il quale sono sovrastimate le intenzioni malevole altrui. Lo psicopatico tenderà dunque a fare massima attenzione, minimizzando il rischio di vittimizzazione e divenendo egli stesso aggressore.

La letteratura scientifica ha esplorato le capacitò di giudizio morale nella psicopatia, cercando di capire se la persona affetta da tale problematica sia o meno capace di distinguere “ciò che è giusto” da “ciò che è moralmente sbagliato”.

I risultati delle ricerche hanno messo in luce come le persone che soffrono di psicopatia esibiscano prevalentemente giudizi morali personali utilitari: questo spiegherebbe la tendenza a compiere violazioni delle regole e delle norme sociali pur di ottenere vantaggi per sè. Secondo questa prospettiva, lo psicopatico sarebbe generalmente iper-concentrato sulla meta e, di conseguenza, non riuscirebbe a tener in debito conto i costi “morali” della propria condotta.

Ruolo dell’empatia nella psicopatia

L’empatia esercita normalmente un effetto di inibizione sui comportamenti aggressivi dato che rappresenta un’esperienza affettiva condivisa tra due esseri umani. Secondo Feshbach e Feshbach (1969) gli individui capaci di assumere accuratamente la prospettiva dell’altro sono più inclini a mettere in atto azioni prosociali anziché condotte aggressive.

La difficoltà osservata nei soggetti psicopatici a rappresentarsi e “sentire” l’esperienza emotiva dell’altro è stata interpretata da altri studiosi come la conseguenza di una distrazione attiva e consapevole dallo sguardo della vittima, che la persona antisociale metterebbe volontariamente in atto al fine inibire la naturale attivazione di sentimenti prosociali e quindi riuscire a mantenere un atteggiamento freddo e sufficientemente distaccato.

In effetti la capacità di cogliere la paura o la tristezza di un altro non si accompagna necessariamente ad un atteggiamento positivo: la risonanza empatica della sofferenza altrui può essere addirittura al servizio di desideri “immorali”. Ne consegue che, piuttosto che avere un deficit di empatia, gli psicopatici potrebbero avere “scopi antisociali” e non dare tanto peso alla rappresentazione della sofferenza dell’altro, empatica o intellettuale che sia, piuttosto che alla rappresentazione del proprio scopo personale (Mancini, Capo e Colle, 2009).

Percorsi evolutivi della personalità psicopatica

La storia evolutiva delle persone psicopatiche è generalmente caratterizzata da esperienze di parenting disfunzionali, come descritto da Patterson e collaboratori (1991; 1998). Secondo la “teoria della coercizione” il comportamento psicopatico verrebbe appreso all’interno della famiglia e poi generalizzato ad altri contesti e situazioni. I comportamenti scarsamente collaborativi dei bambini sarebbero conseguenza delle interazioni coercitive tra genitori e figli.

Alcuni esempi di parenting disfunzionale sono: disciplina inconsistente o, al contrario, eccessivamente severa; bassa supervisione e monitoraggio; insufficiente espressione dell’affetto; alto numero di verbalizzazioni negative ed elevata emotività espressa (Cornah et al. 2003; Portier e Day 2007).

Dalle ricerche di Patterson e colleghi (1991) si evince che i genitori dei soggetti con psicopata raramente esercitano una punizione significativa e contingente al comportamento aggressivo e non collaborativo che intendono ridurre, inoltre, non forniscono istruzioni al figlio attraverso stimoli avversivi. Se lo fanno, questo viene attuato sull’onda emotiva del momento (atteggiamento rabbioso, esagerazione della punizione poi ritrattata, incoerenza nel gestire le contingenze, ecc.). Dagli studi longitudinali effettuati da Patterson e collaboratori (1998) è stato evidenziato, inoltre, che le interazioni coercitive appena descritte tra genitori e bambino predicono relazioni aggressive con i coetanei e l’affiliazione a gruppi devianti in età adolescenziale.

Implicazioni per il trattamento della psicopatia

Dal punto di vista della prognosi e del trattamento, è stato osservato (Robbins, Tipp, Przybeck, 1991) che le tendenze antisociali e psicopatiche tendono a decrescere naturalmente nel corso degli anni, soprattutto al superamento dei quaranta-cinquanta anni di età (Black, 1999) e che le azioni criminali o, almeno, crimini violenti, tendono normalmente a recedere. Le componenti comportamentali della psicopatia hanno di solito maggiori probabilità di trarre beneficio dal trattamento rispetto a quanto avviene per i tratti di personalità tipici del disturbo (Dazzi e Madeddu, 2009).

La capacità di provare empatia può essere un elemento cruciale per una prognosi maggiormente favorevole (Streeck-Fisher, 1998) nel trattamento della psicopatia. Abbiamo visto come lo scarso senso di colpa dei soggetti psicopatici e la bassa propensione a rispettare norme sociali ed etiche possano essere spiegate anche come frutto di particolari esperienze evolutive che hanno predisposto il soggetto alla creazione ed al mantenimento di specifici scopi e credenze come:

  1. propensione a percepire gli altri ostili, iniqui e rifiutanti;
  2. esperienza dell’autorità come ingiusta ed inadeguata al ruolo (eccessivamente controllante o lassista e disinteressata);
  3. investimento sulla dominanza e avversione per l’eteronomia;
  4. esperienze di non appartenenza e diversità rispetto al gruppo generale dei coetanei.

Evidentemente, sposare la tesi del “deficit strutturale” della psicopatia o quella fondata su scopi e credenze implica numerose differenze sul piano clinico. Ritenendo lo scarso senso di colpa come l’effetto di specifiche esperienze con l’autorità e con i pari, piuttosto che come l’espressione di un deficit cognitivo, implica, infatti, il preferire ad interventi riabilitativi atti a recuperare funzioni mentali carenti (training incentrati sulla teoria della mente e sull’empatia), procedure specifiche indirizzate a:

  • indurre il soggetto a comprendere la natura e le ragioni del proprio comportamento attraverso un riesame della propria storia evolutiva;
  • favorire esperienze più positive dell’autorità (evidenziandone, ad esempio, la funzione protettiva e di vigilanza rispetto ai diritti e ai doveri reciproci);
  • gestire le contingenze azione-reazione in maniera da rendere certe e prevedibili le conseguenze dell’azione sia in riferimento alle “punizioni” (certezza della pena) che ai “guadagni” meritati;
  • ridurre il bias attributivo ostile;
  • incoraggiare la costruzione di un ruolo sociale (atteggiamenti, competenze, ecc.) utile a favorire l’appartenenza e la cooperazione;
  • far sperimentare il piacere e la funzionalità dell’affiliazione e della prosocialità;
  • connettere il valore personale e la buona immagine con il comportamento eticamente

Bibliografia essenziale

  • Blair, R., Jones, L., Clark, F. e Smith, M. (1997). The psychopathic individual: a lack of responsiveness to distress cues? Psychophysiology 34, 192–8.
  • Crittenden, P.M. (1994). Nuove prospettive sull’attaccamento: Teoria e pratica in famiglie ad alto rischio. Guerini, Milano.
  • Mancini, F. &  Gangemi, A. (2006). The role of responsibility and fear of guilt in hypothesis-testing. Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry 37 (4), 333-346.
  • Moffitt, T.E. (1993). Adolescence-limited and life-course-persistent antisocial behavior: A developmental taxonomy. Psychological Review 100, 4, 674-70.
  • Patterson, G.R., Capaldi, D. & Bank, L. (1991). An early starter model of predicting delinquency. In DJ Pepler e kH Rubin (Eds), The development and treatment of childhood aggression. Erlbaum, New York.

Nel campo della psichiatria e della psicoterapia, la sociopatia viene definita con il termine “disturbo antisociale di personalità“. Si indica una patologia che impedisce all’individuo di adattarsi agli standard etici e comportamentali della propria comunità socio-culturale di appartenenza.

Un sociopatico può diventare una minaccia, mostrare atteggiamenti criminali, organizzare sette pericolose e/o causare danni a se stesso e agli altri.

Una persona può mostrare diversi segni di sociopatia, come assenza di rimorso, disprezzo per la legge e abitudine a mentire e manipolare.

Caratteristiche della sociopatia

DSM-5 e disturbo antisociale

Il disturbo antisociale viene collocato dal DSM-5 (Manuale Statistico Diagnostico dei Disturbi Mentali) all’interno dei disturbi di personalità del cluster B. Questo comprende anche il disturbo borderline di personalità, il disturbo istrionico di personalità e il disturbo narcisistico di personalità.

Il DSM-5 fornisce una descrizione del disturbo antisociale della personalità che presenta molte caratteristiche comuni con la sociopatia e la psicopatia.

Queste ultime patologie non sono diagnosticabili come il disturbo antisociale della personalità. Alcune ricerche hanno tuttavia rilevato che si tratta di disordini specifici appartenenti alla categoria del disturbo antisociale, con il quale hanno in comune diversi aspetti. Ecco un elenco delle caratteristiche del sociopatico:

  • Disprezzo per le leggi e per le usanze sociali
  • Incapacità di riconoscere i diritti degli altri
  • Incapacità di provare rimorso o senso di colpa
  • Tendenza ad assumere comportamenti e atteggiamenti controllanti, manipolativi e, spesso, violenti
  • disonestà: il soggetto mente, usa falsi nomi, truffa gli altri
  • impulsività o incapacità di pianificare
  • irritabilità e aggressività
  • incapacità di far fronte a obblighi finanziari o di sostenere un’attività lavorativa con continuità
  • mancanza di rimorso
  • l’individuo ha almeno 18 anni
  • presenza di un disturbo della condotta con esordio precedente ai 15 anni
  • il comportamento antisociale non si manifesta esclusivamente durante un episodio maniacale o nel decorso della schizofrenia
  • Nervosismo
  • Tendenza all’ira
  • Scarsa istruzione
  • Solitudine
  • Incapacità a conservare un impiego o a restare nello stesso posto per troppo tempo
  • Ogni crimine commesso è disorganizzato e spontaneo, senza pianificazione
  • Incapacità di pianificare si traduce spesso in una sistematica non autosufficienza economica
  • Irresponsabilità finanziaria indicata, ad esempio, dall’incapacità di provvedere al supporto dei figli e dall’accumulo sistematico di debiti

Prevalenza della sociopatia

La sociopatia si manifesta prevalentemente nei maschi, con rapporto 3:1 rispetto alle femmine.

La prevalenza è pari al 3% negli uomini e all’1% nelle donne nella popolazione generale, e aumenta al 3-30% in ambiente clinico.

In alcuni casi, specie se unito al disturbo narcisistico o al disturbo borderline di personalità, può condurre a tenere comportamenti criminali.

Personalità sociopatica

I sentimenti che gli antisociali provano più spesso sono: frustrazione, umiliazione, ira, noia e in alcuni casi anche umore depresso.

Questi soggetti sono persone impulsive, incapaci di organizzarsi e pianificare a lungo termine. Non riuscendo a tollerare la frustrazione, possono anche arrivare all’uso della violenza, alzando le mani, uccidendo, ma anche suicidandosi.

Tipologie di sociopatici

Generalmente, coloro che sono affetti dal disturbo antisociale vengono distinti in quattro categorie:

Sociopatici comuni

Sono incapaci di provare vergogna ed hanno una morale distorta.

Molto spesso a questo tipo di sociopatia viene associata anche la cleptomania.

Sono persone che si spostano spesso e che hanno rapporti sessuali molto frequenti.

Sociopatici alienati

Sono caratterizzati dalla scarsissima capacità di amare e soprattutto empatizzare con l’altro, anche se significativo.

Solitamente, provano misantropia e odio verso la società. Sono individui che non amano socializzare e possono essere a loro volta distinti in altri tre “sottotipi”:

  • “ostili”, irritabili, dispotici e sempre in conflitto con la legge
  • “truffati”, i quali tendono a commettere crimini poiché credono che il loro atteggiamento sia giustificato da ciò che hanno subito da parte della società
  • “non empatici”, coloro che sanno provare empatia e affetto solo per un ristretto gruppo di persone (i rapporti sono comunque tesi e manipolativi).

Sociopatici aggressivi

Sono caratterizzati da una vena sadica che mostrano a lavoro e durante i rapporti sessuali.

Solitamente cercano posizioni di potere (come poliziotti ma anche insegnanti o genitori) e possono trovare divertente torturare gli animali.

Sociopatici dissociali

Sono caratterizzati dall’adattarsi alle regole di un gruppo purché esse implichino la violazione della legge.

Genetica e sociopatia

Alcune ricerche sembrano suggerire che nella sociopatia ci sia un fattore genetico, mentre altre puntano l’attenzione su un’infanzia negata o abusi.

Uno studio, in particolare, ha dimostrato che il 50% dei soggetti sociopatici ha ereditato il disturbo attraverso la propria struttura genetica.

Tuttavia, è innegabile che i fattori ambientali e altre condizioni possano essere la causa della patologia che colpisce il resto dei sociopatici presi in esame dalla ricerca.

A causa di questi risultati contrastanti, a tutt’oggi non è possibile identificare con certezza l’origine della sociopatia.

Fattori di rischio per il sociopatico

Studi eseguiti su individui adottati, hanno dimostrato che chi aveva genitori adottivi con disturbo antisociale presentavano un alto rischio di sviluppare tale patologia.

Il disturbo della condotta (prima dei dieci anni di vita) e il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) aumentano il rischio che l’individuo sviluppi sociopatia.

Studi focalizzati invece sull’ambiente familiare di individui affetti da sociopatia hanno invece rilevato che gli individui con tale patologia provengono tendenzialmente da famiglie con genitori o parenti stretti abusanti o violenti.

Modalità relazionali del sociopatico

Un sociopatico può avere differenti modalità di approcciarsi agli altri.

Controllanti, disprezzanti e impulsivi

E’ quasi sempre presente la tendenza ad arrogarsi il diritto di occupare determinate posizioni, di “possedere” le persone, esercitando un sistematico controllo su di esse.

Tende a ritenere che le proprie opinioni e convincimenti siano la verità assoluta e disprezza (anche se non sempre in maniera diretta) le idee degli altri.

In genere, non si tratta di individui timidi, insicuri o a corto di parole. Hanno difficoltà a gestire risposte emozionali come la rabbia, l’impazienza o il disappunto. Non sanno gestire il confronto diretto e aggrediscono verbalmente gli altri reagendo in maniera frettolosa a queste emozioni.

Amanti del rischio e della menzogna

L’atteggiamento può apparire esageratamente spontaneo e coraggioso. Dà l’impressione di agire al di fuori della realtà delle norme sociali e si cimenta in attività bizzarre, rischiose od oltraggiose, senza valutare le possibili ripercussioni.

I sociopatici possono essere criminali. Dato che hanno la tendenza a disprezzare la legge e le regole sociali, possono avere dei precedenti penali. Potrebbero essere degli artisti del raggiro, cleptomani o addirittura assassini.

Queste persone sono dei “bugiardi cronici”. Inventano storie e fanno dichiarazioni eccentriche, incredibili, ma molto convincenti, sfoggiando sicurezza e decisione.

Manipolativi e scarsamente empatici

La maniera in cui un essere umano interagisce con le altre persone è un ottimo indicatore di sociopatia.

Una persona disturbata è molto abile nel convincere il suo pubblico a fare ciò che egli desidera, sia attraverso il fascino o strategie manipolative ed indirette, sia con mezzi più aggressivi e controllanti.

Il risultato è che le persone che gli gravitano intorno si ritrovano, loro malgrado, ad agire come vuole il sociopatico. Le persone affette da questa alterazione della personalità sono incapaci di provare senso di colpa o vergogna per le loro azioni.

Quando feriscono un individuo non provano rimorso. Sembrano del tutto indifferenti o cercano di rendere razionali e motivate le proprie azioni.

Tentano di influenzare e dominare le persone che li circondano e hanno la tendenza a occupare posizioni di comando o a illudersi di farlo.

Relazioni sentimentali e sociali dei sociopatici

Questi individui non mostrano alcuna empatia e sono incapaci di amare. Nonostante, in alcuni casi, diano l’impressione di avere a cuore una persona o un piccolo gruppo, in realtà hanno grossi problemi a provare emozioni. E’ molto probabile che non abbiano mai avuto una sana relazione sentimentale in passato.

I sociopatici hanno grosse difficoltà a gestire le critiche. Spesso desiderano l’approvazione dal resto del gruppo perché sentono di averne il diritto.

Spesso il sociopatico non è circondato da molti amici e non ha relazioni sociali, perché chi lo conosce tende ad allontanarsene.

Solitamente, chi vive a stretto contatto con un sociopatico, vede peggiorare la qualità della propria vita.

Diagnosi e trattamento della sociopatia

Come riconoscere la sociopatia

Esistono comunque degli indizi, chiaramente da “prendere con le molle”, che potrebbero suggerire un disturbo antisociale della personalità e a cui chiunque può prestare attenzione.

Senza dubbi, però, la valutazione di uno specialista, in caso di dubbio, può chiarire la situazione.

Contatto visivo

Cercare di mantenere un buon contatto visivo mentre si dialoga con l’altra persona e cercare di notare se questo viene restituito.

I soggetti sociopatici, infatti, spesso non riescono a sostenere lo sguardo diretto degli altri quando interagiscono. Possono anche assumere un atteggiamento nervoso o irritato.

Tuttavia, anche le persone timide a volte reagiscono in questo modo, quindi è molto importante non saltare a conclusioni affrettate.

Comportamenti antisociali

Cercare i sintomi di un comportamento sociopatico che includono il mentire, la tendenza all’aggressività, il comportamento intimidatorio, la tendenza a ferire le persone o gli animali e l’uso eccessivo di alcol o droghe.

Relazioni affettive

Informarsi sul passato della persona, soprattutto sulle sue relazioni significative.

I sociopatici tendono ad avere avuto molte relazioni sbagliate nel loro passato.

Naturalmente, non solo perché qualcuno non ha avuto successo nelle relazioni affettive, significa che è un sociopatico.

Modalità di interazione con gli altri

Osservare il modo in cui l’individuo interagisce con le persone che conosce.

Se non ha amici o familiari che gli sono vicino, questo potrebbe essere perché i rapporti si sono deteriorati a causa di un comportamento manipolativo, aggressivo o offensivo.

Chiaramente, anche in questo caso, non è detto che se qualcuno non ha amici sia un sociopatico. Può avere problemi di ansia sociale, personalità evitante, ritiro sociale, depressione, ecc.

Problemi con la legge

I sociopatici sono spesso nei guai con la legge a causa del loro disprezzo per le regole della società. Anche se una persona sociopatica tenderà a mentire a questo proposito.

Mancanza di empatia

I sociopatici, inoltre, tendono a mostrare mancanza di empatia e a considerarsi vittime degli altri e della società più in generale.

In alcuni casi sviluppano forme di autocommiserazione estrema, intolleranza verso gli altri in generale, deliri di onnipotenza e tendenze maniacali anche lievi.

Psicoterapia

Il trattamento tipico usato per la sociopatia è orientato verso i sintomi del disturbo di personalità antisociale.Psicoterapia messa a fuoco sul cambiamento di comportamento e di costruzione di abilità è prominente con questo disordine.

Poiché sociopatici mancano di profondità emotiva, non riescono a creare connessioni genuine con gli altri e spesso impegnarsi in atti criminali per guadagno personale, la psicoterapia tende a concentrarsi sull’insegnamento di comportamenti che sono pro-sociali. Utilizza una combinazione di terapia comportamentale, terapia cognitivo-comportamentale e tecniche di modificazione della personalità.

La Mayo Clinic consiglia la psicoterapia come modalità di trattamento primario per migliorare i sintomi sociopatici.

Psicoterapia cognitivo comportamentale

La terapia ad orientamento cognitivo-comportamentale mostra, in particolare, a questi pazienti le distorsioni cognitive che attuano per giustificare le proprie azioni illecite e l’eventuale abuso di sostanze.

Altra peculiarità di tale intervento è il trattamento di sintomi (es. ansia, depressione) situazionalmente associati al disturbo antisociale.

Un particolare tipo di trattamento cognitivo-comportamentale, la Schema Therapy, interviene primariamente sulle esperienze traumatiche infantili. Utilizzando la relazione terapeutica ha mostrato una parziale efficacia rispetto all’incremento dell’empatia e dell’integrazione sociale di questi pazienti.

Farmaci

L’organizzazione sanitaria accreditata ACCG segnala che l’uso di farmaci nel trattamento della sociopatia è minimamente efficace.

Tuttavia, in caso di co-presenza con ulteriori disturbi come paranoia, ansia, depressione e abuso di sostanze, i farmaci sono utili nel ridurre questi sintomi e facilitare il lavoro psicoterapeutico.

La natura tendenzialmente violenta del sociopatico richiede spesso farmaci anti-psicotici a basse dosi per controllare ulteriormente i sintomi di comportamento aggressivo. Oltre agli anti-psicotici, stabilizzatori dell’umore, ansiolitici e farmaci antidepressivi sono utilizzati anche nel trattamento della sociopatia.

Trattamento di gestione della rabbia

Secondo la Mayo Clinic, violenza, irritabilità, aggressività e rabbia sono spesso presenti nel sociopatico. Anche se il sociopatico ha connessione minima al suo stato emotivo, può rispondere alla semplice costruzione di abilità di ricompensa e punizione.

L’APA (American Psychological Association) indica che i programmi di gestione della rabbia spesso possono offrire un mezzo per identificare la connessione tra stati emotivi e comportamenti, attraverso le conseguenze delle azioni.

Questa forma di trattamento cerca di raggiungere una riduzione della violenza al fine di prevenire la violazione dei diritti altrui, nonché aiutare il sociopatico a riconoscere il proprio ruolo nel contribuire alla società in modo efficace.

Disturbo Paranoide di Personalità si caratterizza per la tendenza persistente e ingiustificata a interpretare le intenzioni e le azioni degli altri come malvagie (paranoia).

La sfiducia e la sospettosità negli altri sviluppa il timore ingiustificato che gli altri complottino contro di loro e possano attaccarli in ogni momento e senza alcuna ragione. Per questo loro atteggiamento, i soggetti con disturbo paranoide possono agire in modo cauto e guardingo ed apparire “freddi” e privi di sentimenti.

Provano costantemente del risentimento, tendono a reagire eccessivamente anche per affronti minimi e sono pronti a contrattaccare quando credono di essere maltrattati. Una simile modalità di interazione non incoraggia gli altri ad essere gentili e generosi ma al contrario produce sfiducia e ostilità. Capita così che la natura aggressiva e sospettosa di un paziente con disturbo paranoide di personalità possa suscitare negli altri il tipo di comportamento da lui stesso previsto e quindi confermare il suo approccio paranoide alla vita.

Poiché la minaccia principale è rappresentata dagli altri, il paranoide è attento ad ogni segnale di pericolo o di falsità nell’interazione cercando continuamente il significato sottostante alle intenzioni degli individui. Il non essere fiducioso nei confronti degli altri si traduce in un’eccessiva necessità di essere autosufficienti e in un forte senso di autonomia.

Gli individui con disturbo paranoide di personalità possono essere gelosi in modo patologico, spesso sospettano che il coniuge o il partner sessuale sia infedele senza una giustificazione adeguata. Possono raccogliere “prove” banali o circostanziate per supportare le loro convinzioni di gelosia.

La terapia del disturbo paranoide di personalità è molto difficile, anche perché la sfiducia dei soggetti si estende anche nei confronti dei terapeuti; ritengono che questi possano avere intenzioni manipolative nei loro confronti o possano complottare con i familiari contro di loro.

E’ molto difficile che accettino di portare avanti una terapia, ma, nel caso in cui ci riescano, hanno discrete possibilità di ottenere dei miglioramenti con un percorso medio-lungo di psicoterapia cognitivo-comportamentale (da 1 a 2 anni).

Le caratteristiche essenziali del Disturbo Schizoide di Personalità sono una intrinseca difficoltà nello stabilire relazioni sociali e, soprattutto, un’assenza del desiderio di stabilirle, il che lo differenzia dal disturbo evitante di personalità, che invece soffre per il suo isolamento.
Gli individui con disturbo schizoide appaiono indifferenti alle opportunità di stabilire o meno relazioni strette e non sembrano trarre molta soddisfazione dal far parte di una famiglia o di un altro gruppo sociale. Gli altri vengono considerati come intrusivi e poco gratificanti e le relazioni come instabili e indesiderabili. Questi individui sono descritti spesso come socialmente distaccati e isolati.
Le persone affette da disturbo schizoide di personalità strutturano la loro vita in modo da limitare le interazioni con gli altri e quindi scelgono particolari impieghi che richiedono un contatto sociale minimo. Considerano se stessi come osservatori anziché partecipi del mondo intorno a loro.
Preferiscono passare il tempo da soli piuttosto che stare con altre persone. Per la mancanza di capacità sociali e di desiderio per le esperienze sessuali, gli individui con disturbo schizoide hanno pochi amici stretti o confidenti.
Gli individui che soffrono disturbo schizoide di personalità spesso appaiono indifferenti all’approvazione o alle critiche degli altri e non sembrano interessarsi a ciò che gli altri possono pensare di loro. Hanno un’affettività ristretta non mostrando forti emozioni né positive né negative. Possono avere una particolare difficoltà nell’esprimere rabbia, anche in risposta ad una provocazione diretta, e ciò contribuisce a dare l’impressione che manchino di emozioni. Spesso reagiscono passivamente alle circostanze avverse e hanno difficoltà a rispondere appropriatamente ad eventi importanti della vita.
La terapia del disturbo schizoide è molto difficile, in quanto chi ne è affetto non ne riconosce la necessità e raramente richiede aiuto. Il confine con la schizofrenia è molto lieve e la diagnosi differenziale fra il disturbo di personalità e la psicosi è difficile. La cura può avvalersi, seppur in parte, dei farmaci neurolettici utilizzati per la schizofrenia e le altri sindromi psicotiche e di un sostegno psicoterapeutico a medio-lungo termine (da 1 a 2 anni), di tipo cognitivo-comportamentale.

Sebbene la caratteristica essenziale del Disturbo Schizotipico di Personalità sia un quadro caratterizzato da isolamento sociale e comportamento insolito e bizzarro, gli aspetti più rilevanti sono le stranezze del pensiero. Esse ruotano attorno a quattro temi:

1) sospettosità e ideazione paranoide (ad esempio, credere che gli altri complottino contro di loro);
2) idee di riferimento (cioè interpretazioni scorrette di eventi non correlati tra loro come se fossero collegati in modo significativo);
3) credenze bizzarre e pensiero magico (ad esempio possono sentire di avere il potere speciale di intuire gli eventi prima che avvengano o di leggere i pensieri degli altri);
4) esperienze percettive insolite (ad esempio, possono sentire la presenza di un’altra persona).

Poiché i pazienti con disturbo schizotipico di personalità, di solito, non sono capaci di utilizzare l’intera gamma di affetti e di condotte interpersonali necessarie per riuscire nelle relazioni interpersonali, sembrano interagire con gli altri in modo inappropriato, rigido o limitato. Sono spesso considerati strani o eccentrici, vestono in modo trasandato e mostrano una disattenzione per le convenzioni sociali. Tale comportamento socialmente inadeguato contribuisce all’isolamento sociale.

Gli individui con disturbo schizotipico vivono come problematico l’avere a che fare con gli altri. Interagiscono con le altre persone quando devono farlo ma preferiscono stare per conto loro, poiché sentono di essere diversi. Sebbene vi possa essere una mancanza di desiderio per le relazioni (come nei pazienti con disturbo schizoide di personalità), è più probabile che l’isolamento sia la conseguenza di un’ansia sociale e di una sospettosità sulle intenzioni degli altri.

Il disturbo schizotipico di personalità deve il suo nome al lieve confine che lo separa dalla schizofrenia conclamata. Queste persone, infatti, non presentano veri e propri deliri o allucinazioni, ma il loro contatto con la realtà è moderatamente compromesso e la logica del loro pensiero e quantomeno “strana” e non lineare.

La terapia del disturbo schizotipico è molto difficile. Può avvalersi, seppur in parte, dei farmaci neurolettici utilizzati per la schizofrenia e le altri sindromi psicotiche e di un sostegno psicoterapeutico a medio-lungo termine (da 1 a 2 anni), di tipo cognitivo-comportamentale.

Cos’è il disturbo borderline

Il disturbo borderline di personalità è una entità diagnostica molto controversa. Talvolta non viene neanche riconosciuto come un disturbo specifico. Viene usato come “contenitore” in cui inserire tutti quei casi non meglio diagnosticabili in altro modo. In realtà il disturbo borderline presenta delle caratteristiche specifiche ben note.

È fondamentalmente un disturbo della relazione, che impedisce al soggetto di stabilire rapporti di amicizia, affetto o amore stabili nel tempo. Si tratta di persone che trascorrono delle vite in uno stato di estrema confusione ed i cui rapporti sono destinati a fallire o risultano emotivamente distruttivi per gli altri.

Le persone affette da disturbo borderline di personalità trascinano gli altri, parenti, amici e partner, in un vortice di emotività, dal quale spesso è difficile uscire. Questi soggetti, infatti, sperimentano emozioni devastanti e le manifestano in modo eclatante. Drammatizzano ed esagerano molti aspetti della loro vita o i loro sentimenti. Proiettano le loro inadempienze sugli altri, sembrano vittime degli altri quando ne sono spesso i carnefici. Si comportano in modo diverso nel giro di qualche minuto o ora.

Il disturbo borderline di personalità è stato spesso, e non a torto, associato a eventi traumatici subiti nell’infanzia. Ad esempio abusi sessuali o fisici, ma non è detto che ciò sia sempre vero.

L’aspetto più evidente e preoccupante del disturbo borderline è che presenta sintomi potenzialmente dannosi per il soggetto (abbuffate, uso e abuso di sostanze, guida spericolata, sessualità promiscua, autolesionismo, condotte antisociali, tentativi di suicidio, ecc.). Inoltre si associa a scoppi improvvisi di rabbia intensi.

Sintomi del disturbo borderline di personalità

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, il disturbo borderline di personalità è caratterizzato da:

Una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore, nonché una marcata impulsività. Queste devono essere comparse nella prima età adulta ed essere presenti in vari contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:

  1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono.
  2. un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iper-idealizzazione e svalutazione.
  3. alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili.
  4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto come ad esempio spendere eccessivamente, promiscuità sessuale, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate, ecc.
  5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari, o comportamento automutilante.
  6. instabilità affettiva dovuta ad una marcata reattività dell’umore (per es., episodica intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore, e soltanto raramente più di pochi giorni).
  7. sentimenti cronici di vuoto.
  8. rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (per es., frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici).
  9. ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress.

Conseguenze del disturbo borderline

Il disturbo borderline di personalità è una psicopatologia che comporta serie problematiche, visto il discontrollo degli impulsi che implica, l’instabilità relazionale, la tendenza a idealizzare e svalutare le altre persone (che sono “bianche o nere”). Spesso si associa a sentimenti di rabbia intensi ed esplosivi, desideri di vendetta, paranoia, depressione anche grave.

L’area maggiormente compromessa è in genere quella delle relazioni sentimentali. I partner di coloro che hanno una personalità borderline vivono costantemente con la sensazione di camminare su un campo minato. Si sentono sempre sotto test, sottoposti ad una inesauribile richiesta di dimostrazioni di amore, oggetto di gelosia ossessiva che spesso sfiora la paranoia.

L’instabilità del tono dell’umore del paziente borderline comporta spesso la diagnosi (errata) di disturbo dell’umore bipolare, ma vi sono sostanziali differenze tra i due quadri clinici (si veda a tal proposito questo articolo).

Cura del disturbo borderline

Il trattamento del disturbo borderline di personalità prevede necessariamente una psicoterapia strutturata, meglio se di orientamento cognitivo-comportamentale.

In particolare vi sono alcuni approcci che hanno mostrato efficacia in numerosi studi controllati. Prima fra tutta la terapia dialettico comportamentale, ideata da Marsha Linehan negli USA e oggi impiegata largamente anche in Italia. Sono utili anche la Schema Therapy e la terapia Metacognitiva Interpersonale.

Di primaria importanza è interrompere i comportamenti aggressivi o autolesivi, che spesso esitano in ospedalizzazioni d’urgenza. Una volta ridotti i comportamenti problematici a rischio, l’intervento si sposta sulle grosse difficoltà di queste persone nel mantenere una rappresentazione stabile e integrata di sé e dell’altro.

La relazione terapeutica con il paziente borderline è comunque molto problematica, perché anche in tale contesto si attivano le dinamiche relazionali del paziente. Queste possono portarlo a idealizzazione del terapeuta (e anche innamoramento), ma anche a repentina svalutazione dello stesso e conseguente interruzione della terapia. Mantenere una continuità terapeutica è quindi molto difficile, sebbene sia necessario per ottenere dei risultati a medio-lungo termine.

La terapia farmacologica difficilmente può essere risolutiva. Ciononostante può essere indicato l’uso di stabilizzanti del tono dell’umore per ridurre l’impulsività, l’ansia e la disregolazione emotiva.

Il Disturbo Istrionico di Personalità è caratterizzato da un’emotività eccessiva e dalla continua ricerca di attenzione. Gli individui con personalità istrionica, infatti, si sentono a disagio quando non sono al centro dell’attenzione.

Percependo l’approvazione degli altri come unica ancora di salvezza, avvertono una pressione costante ad utilizzare l’aspetto fisico per ricercare questa attenzione. Di conseguenza, si preoccupano eccessivamente di essere fisicamente attraenti, di impressionare gli altri per il loro aspetto e spendono un’eccessiva quantità di tempo, energia e denaro per gli abiti e per le cure personali.

Spesso i pazienti con disturbo istrionico di personalità temono l’invecchiamento e la degenerazione fisica, in quanto potrebbero far perdere loro l’unico strumento che conoscono per attirare gli altri a sé.

L’aspetto e il comportamento degli individui con disturbo istrionico di personalità risultano spesso provocanti o apertamente seduttivi, al di là di quanto sia appropriato dato il contesto sociale.

Si percepiscono soggetivamente come socievoli e piacevoli. In effetti, possono inizialmente affascinare le nuove conoscenze per il loro entusiasmo e la loro apertura. Quando la relazione continua, però, queste qualità tendono ad indebolirsi, poiché questi individui sono considerati come eccessivamente esigenti e bisognosi di continue attenzioni e rassicurazioni.

Nei loro tentativi di ottenere l’accettazione e l’approvazione degli altri, i soggetti con personalità istrionica possono usare approcci indiretti come la manipolazione, ma fanno ricorso anche a coercizioni o a minacce di suicidio, se metodi più sottili non sembrano avere successo.

Le emozioni dell’individuo con disturbo istrionico di personalità sono espresse intensamente e inoltre sembrano esagerate, prive di spontaneità, false; chi sta loro vicino ha la sensazione di assistere costantemente ad una recita. Spesso rispondono a eventi minimi con pianti incontrollati, rabbia, scoppi d’ira o collera. L’espressione esagerata delle emozioni da parte di tali pazienti può condurre gli altri ad accusare l’individuo di simulare questi sentimenti.

Gli individui con personalità istrionica sono esageratamente bisognosi di affetto e attenzioni, poiché spesso ne sono stati deprivati in tenera età. Vivono con un costante timore di essere abbandonati e mantenere una relazioni con loro richiede molta pazienza e disponibilità.

La terapia del disturbo istrionico di personalità è molto difficile. Una certa efficacia possono averla interventi psicoterapeutici cognitivo-comportamentali a medio-lungo termine (da 1 a 2 anni), che sono comunque consigliabili.