Disturbi dell’umore

Disturbi dell’umore

Nel caso dei disturbi dell’umore le variazioni dello stato d’animo avvengono spesso spontaneamente, sono di eccessiva entità e si accompagnano ad un’ampia gamma di sintomi che portano l’individuo a non essere più in grado di mantenere il suo normale funzionamento quotidiano.

disturbi dell’umore sono solitamente distinti in disturbi depressivi (“depressione unipolare”) e disturbi bipolari. I primi sono caratterizzati da umore depresso con:

  • sentimenti di profonda tristezza, colpa ed apprensione,
  • sensazione che nulla abbia più valore,
  • tendenza all’isolamento e all’apatia,
  • perdita di interesse e di piacere nelle attività quotidiane,
  • disturbi del sonno o dell’appetito,
  • scarso desiderio sessuale.

Questi sintomi di disturbo dell’umore possono presentarsi come episodi acuti (della durata di almeno due settimane per parlare di disturbo depressivo maggiore) o come lunghi periodi di umore tendenzialmente depresso ma senza che gli altri sintomi depressivi siano particolarmente marcati o numerosi (con una durata di almeno due anni per diagnosticare un disturbo distimico).

Questi disturbi condividono una caratteristica che li distingue dai disturbi bipolari: l’assenza di episodi maniacali, misti o ipomaniacali, sia presenti che passati.

disturbi dell’umore di tipo bipolare sono invece caratterizzati dall’alternarsi di episodi depressivi a fasi con umore marcatamente euforico o irritabile, associato a:

  • aumento del livello di attività in ambito lavorativo, sociale o sessuale,
  • loquacità insolita o eloquio rapido,
  • impressione soggettiva che i pensieri si succedano velocemente,
  • diminuito bisogno di sonno,
  • elevata autostima,
  • facile distraibilità,
  • eccessivo coinvolgimento in attività piacevoli potenzialmente dannose.

Tra i disturbi dell’umore, il disturbo bipolare II si differenzia dal bipolare I per la presenza di sintomi ipomaniacali, quindi meno gravi ed intensi, con una ridotta compromissione sul piano sociale e lavorativo del soggetto. Infine, il disturbo ciclotimico è caratterizzato dalla presenza, per almeno due anni, di una rapida e continua alternanza di sintomi depressivi ed ipomaniacali di moderata intensità.

disturbi dell’umore costituiscono una patologia ampiamente diffusa tra la popolazione generale e, soprattutto la depressione, un motivo frequente di consultazione del medico di base. Si calcola che il 20% della popolazione nel corso della vita vada incontro ad episodi depressivi o maniacali con un rapporto di 1:3 tra forme bipolari e unipolari. Nei Paesi Occidentali la prevalenza della depressione maggiore risulta essere del 2,2% in un mese e del 5,8% nel corso della vita, con una frequenza circa doppia nelle donne rispetto agli uomini. L’età di esordio varia molto tra i disturbi dell’umore unipolari e bipolari: infatti nei primi l’età tipica di esordio varia tra i 30 ed i 40 anni mentre nelle forme bipolari tra i 15 ed i 30 anni.

L’attenzione rivolta ai disturbi dell’umore da parte del mondo scientifico è giustificata, oltre che dalla loro elevata diffusione, anche dalle gravi complicanze ad essi associate, quali la compromissione della vita sociale, lavorativa ed affettiva, l’abuso di alcol o droghe ed infine il suicidio.

Le ipotesi che tentano di spiegare i fattori che concorrono a generare un disturbo dell’umore si dividono in ipotesi biologiche e psicologiche. Le prime sostengono l’idea che in alcuni soggetti sia presente una particolare vulnerabilità dei sistemi biochimici su base genetica oppure in relazione ad alterazioni neurotrasmettitoriali, in particolare del sistema noradrenergico e serotoninergiuco; tale vulnerabilità, sulla spinta di fattori ambientali, darebbe luogo a quadri clinici depressivi, maniacali o misti.

I modelli causali di tipo psicologico dei disturbi dell’umore hanno invece sottolineato il ruolo centrale delle rappresentazioni mentali “negative” che l’individuo ha di se stesso, gli altri ed il mondo e che ne guidano pensieri e comportamenti (ipotesi cognitiva) oppure hanno messo in relazione la depressione con esperienze di perdita in età infantile (ipotesi psicoanalitica).

Mentre in passato la cura dei disturbi dell’umore, soprattutto quelli di grave entità, era associata quasi unicamente all’uso di farmaci, negli ultimi decenni la psicoterapia cognitivo-comportamentale è riconosciuta come un trattamento particolarmente efficace, soprattutto se in associazione alla terapia farmacologica.

Il paziente può giovare della psicoterapia cognitivo-comportamentale non solo nella fase acuta ma anche nella prevenzione delle ricadute e, nelle forme bipolari, come intervento preventivo in fase intercritica. Altre forme di psicoterapia non hanno particolari prove scientifiche di efficacia per la cura dei disturbi dell’umore.

Depressione è un termine che viene utilizzato per indicare la presenza di umore triste, vuoto o irritabile, accompagnato da modificazioni fisiche, fisiologiche e cognitive che incidono in modo significativo sulla capacità di funzionamento dell’individuo.

L’episodio depressivo non coincide con la diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore (o depressione maggiore), perché molte persone possono avere oscillazioni del tono dell’umore, più o meno marcate, fino ad arrivare al vero e proprio disturbo bipolare, di cui la depressione può essere solo un sintomo, anche se solitamente è quello più sgradito al soggetto, che chiede aiuto in queste fasi.

La depressione è un disturbo diffuso tra la popolazione generale e quindi molto ben conosciuto. Sembra, infatti, che ne soffra dal 10% al 15% della popolazione, con una frequenza maggiore tra le donne. La depressione maggiore è associata a una elevata mortalità. Fino al 15% degli individui con depressione grave muore per suicidio.

Ciononostante, la maggior parte dei soggetti depressi non arriva ad avere ideazioni suicidarie o sintomi particolarmente gravi, ma lamenta sintomi che spesso non vengono neanche associati facilmente alla depressione stessa (stanchezza cronica, malesseri fisici, apatia, astenia, calo del desiderio, irritabilità, ecc.).

La depressione è due volte più comune nelle femmine adolescenti e adulte che nei maschi adolescenti e adulti. Nei bambini, maschi e femmine sono ugualmente affetti.

Il disturbo depressivo può esordire ad ogni età, con un’età media di esordio intorno ai 25 anni. Alcuni hanno episodi di depressione maggiore isolati seguiti da molti anni senza sintomi, mentre altri hanno gruppi di episodi, e altri ancora hanno episodi sempre più frequenti con l’aumentare dell’età.

Depressione sintomi

sintomi della depressione sono svariati e per facilitare la loro individuazione possono essere raggruppati in:

Sintomi cognitivi della depressione

  • Una ridotta capacità di concentrarsi o prendere anche piccole decisioni, dove vi può essere distraibilità o difficoltà di memoria.
  • Una tendenza molto forte a incolparsi,  svalutarsi, sentirsi indegno. Le ruminazioni su piccoli errori passati sono all’ordine del giorno e gli eventi quotidiani neutri o banali vengono interpretati come prova di difetti o mancanze personali.

Sintomi affettivi della depressione:

  • Generalmente chi soffre di depressione maggiore mostra un umore depresso, una marcata tristezza quasi quotidiana, tanto che l’umore ed i pensieri sono sempre negativi. Sembra che vi sia un vero e proprio dolore di vivere, che porta non riuscire a godersi più nulla.
  • Infatti la perdita di piacere nello svolgere hobby o attività che prima erano attivamente ricercate è una caratteristica sempre presente nei disturbi depressivi. Vi può essere ritiro sociale, abbandono delle occupazioni piacevoli o diminuzione del desiderio sessuale.

Sintomi volitivi/motivazionali della depressione:

  • Una marcata affaticabilità, per cui la persona si sente spossata e stanca anche in assenza di attività motoria. I più piccoli compiti sembrano richiedere uno sforzo considerevole e può essere ridotta l’efficienza nel loro svolgimento (ad esempio un individuo può lamentarsi del fatto che fare colazione sia faticoso e richieda il doppio del tempo rispetto al solito).

Sintomi comportamentali della depressione:

  • Un appetito aumentato o diminuito. Solitamente vi è una perdita di peso e un dimagrimento, alcuni individui con depressione maggiore riferiscono di doversi sforzare di mangiare. Altri possono mangiare di più e desiderare fortemente cibi particolari (per es., dolci o altri carboidrati), come se cercassero conforto nel cibo.
  • Un aumento o una diminuzione del sonno. Alcune persone possono svegliarsi presto, avere frequenti risvegli notturni o faticare ad addormentarsi, senza sentirsi riposati al mattino, altri arrivano a dormire troppo (ipersonnia). Talvolta il sonno disturbato è il motivo per cui l’individuo richiede il trattamento.
  • Un marcato rallentamento motorio che si può manifestare come maggiore lentezza nel fare le cose, nell’eloquio, pensieri e movimenti del corpo rallentati, o, al contrario, una marcata agitazione in cui vi è l’incapacità di stare seduti, passeggiare avanti e indietro, stropicciarsi le mani, tirarsi o sfregarsi la pelle, i vestiti o altri oggetti.

Sintomi fisici della depressione:

  • Mal di testa, palpitazioni o tachicardia, dolori muscolari, alle ossa, alle articolazioni e addominali. Le persone possono avere la sensazione di avere la testa confusa o vuota. Talvolta vi può essere stipsi o diarrea.

Può anche accadere che la persona manifesti solo i sintomi fisici della depressione sopra indicati senza che vi siano percezioni dell’abbassamento del tono dell’umore da parte dell’individuo. Quando infatti tali disturbi somatici non sono dovuti a condizioni traumatiche (incidenti), patologie, alterazioni metaboliche o sforzi muscolari e il medico ha escluso qualsiasi causa organica potrebbe trattarsi di quella condizione definita “depressione mascherata”, la cui conferma diagnostica può venire dal fatto che il soggetto risponda positivamente ai farmaci antidepressivi o che abbia un familiare che soffre o abbia sofferto di depressione maggiore.

E’ bene tener presente che i sintomi della depressione possono essere talvolta subdoli, al punto che nessuno si accorge del problema, talvolta neanche il soggetto stesso, che tende ad attribuirli a normale stanchezza, stress, nervosismo o problemi lavorativi, familiari o di coppia. E’ infatti piuttosto frequente il caso in cui la persona depressa non voglia riconoscere il proprio stato interno, che lo porta a vedere “tutto nero”, ad essere intollerante, irritabile, pessimista, nervoso, distante, ecc., e ritenga che esso sia solo la conseguenza di fattori esterni che andrebbero modificati (lavoro, coppia, denaro, figli, ecc.).

Tutti i sintomi della depressione che abbiamo descritto sopra possono manifestarsi in modo acuto (con fasi di depressione molto acute ed improvvise, che magari tendono a scomparire da sole o con una terapia) oppure costantemente, anche se in forma leggera, con alcuni improvvisi momenti di peggioramento. In tal caso si parla di distimia.

Depressione cause

In generale le cause della depressione sono riassumibili in tre fattori:

  • Fattori biologici. Si riferiscono alle alterazioni a livello neurotrasmettitoriale, ormonale e nel sistema immunitario. Ad esempio alterazioni nella regolazione dei neurotrasmettitori quali noradrenalina e serotonina, alterando la trasmissione degli impulsi nervosi possono incidere sull’iniziativa del soggetto, sul sonno, sul rimuginio e nelle interazioni con gli altri.
  • Fattori psicologici e sociali. A livello psicosociale, eventi di vita stressanti sono stati ben riconosciuti come fattori precipitanti gli episodi depressivi, tra questi vi possono essere lutti, conflitti interpersonali e familiari, malattie fisiche, cambiamenti di vita, essere vittima di un reato, separazioni coniugali e dai figli. Tra questi eventi possiamo trovare anche cambiamenti nelle condizioni lavorative o l’inizio di un nuovo tipo di lavoro, la malattia di una persona cara, gravi conflitti familiari, cambiamenti nel giro di amicizie, cambiamenti di città, ecc. Questi eventi possono essere maggiormente impattanti in persone che hanno avuto esperienze infantili avverse e che mancano quindi di abilità per affrontarli efficacemente.
  • Fattori genetici e fisiologici. I familiari di primo grado di individui con depressione maggiore hanno un rischio di sviluppare il disturbo da due a quattro volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Ad essere ereditata geneticamente è la predisposizione a sviluppare il disturbo non il disturbo vero e proprio.

Depressione cura

Psicoterapia per la depressione

La terapia cognitivo comportamentale si è dimostrata molto efficace per la cura della depressione.

Da un lato si cerca di modificare i pensieri negativi che possono sostenere la depressione. Ad esempio le persone che ne soffrono tendono ad avere un ipercriticismo verso se stessi, tendono ad accusarsi oltre ogni evidenza, tendono a notare maggiormente gli eventi negativi nelle situazioni quotidiane. La terapia cognitivo comportamentale aiuta la persona a sviluppare una modalità di pensiero più equilibrata e razionale.

Dall’altro lato, per la cura della depressione, si aiutano le persone a costruire migliori abilità per affrontare le difficoltà quotidiane, che probabilmente hanno portato la persona ad essere depressa. Così, ad esempio, si può insegnare alla persona modalità comunicative più efficaci o strategie per risolvere i problemi nei quali si trova coinvolto.

La cura della depressione, quindi, invita la persona a riprendere gradualmente le attività che sono state abbandonate, magari cominciando da quelle più piacevoli, a sviluppare comportamenti più funzionali per risolvere i propri problemi, a pensare in modo più equilibrato e razionale.

La terapia cognitivo comportamentale si differenzia molto da altri tipologie di psicoterapie: è centrata sul presente, sui sintomi della depressione, e tende a produrre soluzioni fattive per i problemi presentati.

Farmaci per la depressione

Oggigiorno viene fatto un largo uso di farmaci antidepressivi che ormai sono diventati tra i farmaci i più impiegati nella medicina, ma purtroppo i risultati sono spesso modesti e/o temporanei. Se non si interviene con una valida psicoterapia che aiuta la persona ad acquisire strategie funzionali alla soluzione degli episodi depressivi acuti e alla prevenzione delle ricadute, è altamente probabile che il soggetto vada incontro a recidive ricorrenti.

Nella cura farmacologica della depressione vengono impiegate numerose classi di farmaci antidepressivi: triciclici e tetraciclici (es desipramina, nortriptilina, maprotilina, clorimipramina, imipramina, amitriptilina, nortriptilina); agonisti multisistemici Noradrenalina-Serotonina (es venlafaxina, trazodone); benzamidi sostituite (es amisulpiride); agonisti del sistema noradrenergico (es mianserina, mirtazapina, reboxetina); inibitori del reuptake della serotonina – SSRI – (es fluoxetina, fluvoxamina, paroxetina, sertralina, citalopram, escitalopram, buspirone); donatori di gruppi metilici (S-adenosil-L-metionina).

Tutte le classi di farmaci si sono mostrate efficaci nel trattamento. Nelle forme resistenti possono essere utilizzate associazioni con stabilizzanti dell’umore (es litio, valproato, carbamazepina, oxcarbamazepina, gabapentin) e in alcuni casi con ormoni tiroidei.

Da pochi anni è stratta introdotta sul mercato una nuova molecola, l’agomelatina (Tymanax, Valdoxan), che interviene sulla melatonina e che sembra avere una discreta efficacia sui sintomi depressivi, con minori effetti collaterali degli altri farmaci sopra citati.

L’uso di antipsicotici, in associazione agli antidepressivi, è giustificata nei casi in cui il quadro depressivo si presenta con sintomi psicotici.

Cosa significa bipolarismo

Il disturbo bipolare (o depressione bipolare o bipolarismo), pur non essendo particolarmente frequente, costituisce un problema serio e invalidante. Esso merita attenzione clinica e i soggetti che ne soffrono sono spesso inconsapevoli.

Chi ne è affetto tende ad alternare fasi depressive seguite da fasi ipomaniacali o maniacali (bipolarismo).

In genere le fasi depressive della depressione bipolare tendono a durare più a lungo di quelle maniacali o ipomaniacali. Di solito durano da qualche settimana a qualche mese, mentre le fasi maniacali o ipomaniacali durano una-due settimane.

A volte, nel disturbo bipolare, la transizione da una fase all’altra è rapida e immediata. Altre volte, invece, è intervallata da un periodo di umore normale (eutimico).

Talvolta il passaggio di fase nel bipolarismo è lento e subdolo, mentre altre volte può essere brusco e improvviso.

La fase depressiva

Le fasi depressive nel disturbo bipolare (o depressione bipolare) si caratterizzano per un umore molto basso, una sensazione che niente sia più in grado di dare piacere e una generale tristezza per la maggior parte del giorno.

In linea di massima, le fasi depressive non si differenziano dagli episodi depressivi della depressione maggiore unipolare. Durante queste fasi del bipolarismo, quindi, il sonno e l’appetito possono risultare facilmente alterati; la capacità di concentrazione e la memoria possono essere molto minori.

A volte, sempre durante le fasi depressive, le persone affette dal disturbo bipolare pensano ricorrentemente al suicidio.

La fase maniacale

Le fasi maniacali nel bipolarismo, in alcuni casi, vengono generalmente descritte come l’esatto contrario di quelle depressive. Ovvero, caratterizzate da un umore alquanto elevato, dalla sensazione di onnipotenza e da un eccessivo ottimismo.

In queste fasi, i pensieri si succedono molto rapidamente nella mente del paziente affetto da depressione bipolare o disturbo bipolare al punto da diventare così veloci che risulta difficile seguirli.

Il comportamento può essere iperattivo, caotico, fino al punto di rendere il paziente inconcludente. L’energia del paziente bipolare in fase maniacale (o ipomaniacale) è talmente tanta che spesso il soggetto non sente la necessità di mangiare o di dormire. Ritiene di poter fare qualsiasi cosa, al punto da mettere in atto comportamenti impulsivi, come spese eccessive o azioni pericolose, perdendo la capacità di valutare correttamente le loro conseguenze. Son frequenti veri e propri disturbi del controllo degli impulsi (dipendenza da gioco d’azzardo, shopping compulsivo, ecc.).

La fase disforica

In molti casi, tuttavia, la fase (ipo)maniacale del disturbo bipolare (bipolarismo) non si caratterizza per un eccesso di euforia e di grandiosità. Si evidenzia invece un umore disforico, caratterizzato primariamente da un senso costante di rabbiosità e ingiustizia subita. Questo si traduce in irritabilità e intolleranza e, spesso, in aggressività espressa, sempre senza valutare correttamente le conseguenze dei propri comportamenti.

disturbi bipolari comprendono il Disturbo Bipolare di I tipo, il Disturbo Bipolare di II tipo, il Disturbo Ciclotimico e il cosiddetto Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato, categoria diagnostica che raccoglie tutti quei soggetti con sintomi insufficienti per porre la diagnosi di uno dei disturbi sopra citati.

Disturbo bipolare sintomi

Vediamo i sintomi del bipolarismo. Per porre diagnosi sicura di mania, deve presentarsi un distinto periodo di anormale e persistente elevazione del tono dell’umore, con caratteristiche di espansività o irritabilità. I disturbi dell’umore devono essere abbastanza gravi da compromettere le attività di studio, di lavoro o le capacità di relazione sociale.

Sintomi maniacali

Durante un episodio maniacale, diversi dei seguenti sintomi del disturbo bipolare sono presenti:

  • Aumento dell’autostima o grandiosità
  • Ridotto bisogno di sonno
  • Aumentata produzione verbale con difficoltà a frenarla
  • Volubilità nel cambiare opinione (il paziente non si accorge che i suoi pensieri cambiano facilmente)
  • Facile distraibilità (il paziente può porre attenzione a particolari insignificanti ignorando elementi importanti
  • Aumento delle attività finalizzate
  • Agitazione mentale o fisica
  • Aumentato coinvolgimento in attività che possono avere conseguenze pericolose (p.e. spendere molto denaro o intraprendere attività sessuali inusuali per la persona)

Sintomi depressivi

Per la diagnosi di depressione è necessario un periodo di almeno due settimane con perdita di interesse o di piacere in tutte o buona parte delle attività.

La depressione bipolare deve essere abbastanza grave da produrre una modificazione nell’appetito, nel peso corporeo, nel sonno o nella capacità di concentrarsi così come deve essere presente un sentimento di colpa, di inadeguatezza o disperazione. Possono anche essere presenti pensieri di morte o suicidio.

Durante un episodio depressivo, diversi dei seguenti sintomi del disturbo bipolare sono presenti:

  • Costante depressione del tono dell’umore o disperazione
  • Grave riduzione di interessi o di piacere in tutte o nella maggior parte delle attività
  • Perdita o incremento del peso corporeo o dell’appetito
  • Aumento o riduzione del sonno
  • Agitazione o rallentamento
  • Affaticamento o perdita di energia
  • Sentimenti di inadeguatezza, di colpa e/o perdita dell’autostima
  • Incapacità di concentrarsi e di prendere decisioni
  • Pensieri di morte o suicidio

Bipolarismo, instabilità umorale e altri disturbi

Talvolta una persona che soffre di depressione bipolare (o bipolarismo) può sperimentare solo episodi di mania o solo episodi di depressione alternati a periodi di normalità del tono dell’umore.

Quando è presente solo la mania la malattia prende comunque il nome di disturbo bipolare. Invece, se è presente solo la depressione, la malattia è in genere chiamata depressione maggiore.

Occorre tenere in considerazione, tuttavia, che l’instabilità del tono dell’umore tipica del bipolarismo può anche riscontrarsi in molti disturbi di personalità, soprattutto nel disturbo borderline.

La diagnosi differenziale è pertanto molto delicata e non basta riscontrare l’alternanza di fasi umorali per essere certi che si tratti di vero e proprio disturbo bipolare. Suggeriamo la lettura anche di questo articolo sulle differenze tra disturbo bipolare e disturbo borderline di personalità.

Disturbo bipolare cura

La cura del disturbo bipolare è centrata principalmente sulla farmacoterapia, a base di farmaci stabilizzanti dell’umore e antidepressivi (triciclici o SSRI), sotto attenta e continuativa supervisione medico-specialistica.

Tra gli stabilizzanti il litio è spesso usato nel trattamento della mania in fase acuta, ma la sua indicazione principale riguarda l’azione di prevenzione delle crisi sia maniacali che depressive. L’acido valproico e la carbamazepina sono ugualmente usati nella cura del disturbo bipolare in fase di mania acuta così come nella prevenzione delle ricadute.

Antipsicotici o neurolettici, sono usati nel trattamento della mania nella fase acuta e meno nella fase di mantenimento. Altri farmaci come le benzodiazepine sono anche usati nel trattamento acuto della mania.

Gli antidepressivi sono utilizzati nelle fasi depressive per la cura della depressione bipolare: è importante ricordare sempre che generalmente gli antidepressivi richiedono dalle 2 alle 6 settimane per risultare efficaci. In alcuni casi gli antidepressivi possono indurre un viraggio dalle fase depressiva alla fase maniacale e questa evenienza richiede naturalmente una attenzione particolare.

Sfortunatamente per alcuni pazienti può essere necessario del tempo prima di trovare la terapia efficace.

Importanza della psicoterapia del disturbo bipolare

Le ricerche scientifiche hanno dimostrato che, per avere una maggiore stabilità dell’umore, è necessario associare ad un trattamento farmacologico (che rimane fondamentale), una psicoterapia, meglio se di orientamento cognitivo-comportamentale. Quest’ultima è poi indispensabile nella cura del bipolarismo qualora questo sia secondario a un disturbo di personalità.

I protocolli psicoterapeutici per il disturbo bipolare prevedono solitamente diversi punti di intervento e di azione:

  • aiutare la persona a seguire la terapia farmacologica; è infatti dimostrato che, se non sono seguite, le persone tendono a “dimenticare” di assumere la terapia. Occorre mantenere ed aumentare la motivazione della persona ad assumere la terapia;
  • aiutare la persona a riconoscere rapidamente i sintomi iniziali delle due fasi, in modo che sappia come comportarsi e come impedire il precipitare della situazione;
  • imparare a discutere e modificare i propri stili di pensiero irrazionali e disfunzionali;
  • imparare strategie più efficaci per affrontare le difficoltà quotidiane, come gestire la propria rabbia, o migliorare le proprie abilità comunicative;
  • lavorare specificatamente sulla fase depressiva, secondo le modalità tipiche della terapia cognitivo comportamentale

BIBLIOGRAFIA

  • Leveni, D., Michielin, P., & Piacentini, D. (2018). Superare la depressione. Un programma di terapia cognitivo comportamentale. Trento: Erickson
  • Miklowitz, D. J. (2016). Il disturbo bipolare. Una guida per la sopravvivenza. Roma: Giovanni Fioriti Editore.

La ciclotimia (o disturbo ciclotimico) rientra nel gruppo dei disturbi bipolari. E’ caratterizzato dall’alternarsi di periodi ipomaniacali e periodi di lieve depressione. Durante i periodi ipomaniacali la persona presenta un umore euforico, ottimismo eccessivo, sensazione che tutto sia possibile.

I pensieri si succedono rapidamente, la persona si sente piena di energia e aumenta l’attività, che può diventare disorganizzata e inconcludente. In alcuni casi l’episodio ipomaniacale è caratterizzato non da umore euforico, ma disforico, cioè caratterizzato da irritabilità, intolleranza, rabbiosità.

Nella ciclotimia, questi periodi sono intervallati da periodi di calo dell’umore che non rappresentano un vero e proprio episodio depressivo ma in cui la persona sente una perdita di interesse o piacere per le proprie attività, si sente triste e affaticabile, viene meno la capacità di concentrazione e possono essere presenti sentimenti di svalutazione e colpa.

Nella ciclotimia raramente vi è assenza di sintomi dell’uno o dell’altro tipo e le persone che ne soffrono devono affrontare quotidianamente problemi derivanti dalla loro imprevedibile oscillazione dell’umore e della conseguente difficoltà ad elaborare piani.

La ciclotimia è un disturbo che spesso dura molti anni, esordisce precocemente nella vita e viene spesso considerata una predisposizione ad altri disturbi dell’umore. Circa il 15-25% dei pazienti ciclotimici finisce infatti con lo sviluppare un disturbo bipolare.

Occorre tenere presente, tuttavia, che la diagnosi di ciclotimia viene fatta spesso a sproposito per giustificare le repentine e frequenti oscillazioni del tono dell’umore che sono invece sintomi molto comuni di altre problematiche psicologiche, in particolare dei disturbi di personalità.

Sopratutto i pazienti borderline hanno frequenti cambi di stato, in reazione ad eventi anche banali, ma spesso gli psichiatri, per giustificare la necessità di una terapia farmacologica con stabilizzanti del tono dell’umore, misconoscono la diagnosi personologica e medicalizzano sintomi che hanno una base squisitamente psicologica.

Le ricerche scientifiche hanno mostrato l’importanza della psicoterapia per avere una migliore stabilità dell’umore in caso di ciclotimia. La psicoterapia ad orientamento cognitivo-comportamentale si è dimostrata particolarmente efficace, aiutando le persone a riconoscere rapidamente i sintomi iniziali delle sue fasi e ad imparare a modificare gli stili di pensiero disfunzionali e affrontare le relative problematiche. Gli psicofarmaci vengono prescritti con una certa facilità per la cura della ciclotimia, ma solitamente è possibile e raccomandabile farne a meno con un buon intervento psicoterapeutico.

La distimia fa parte dei disturbi del tono dell’umore, dal momento che comporta una forma lieve ma tendente alla cronicità di depressione. Implica una compromissione delle relazioni sociali e spesso dell’attività lavorativa.

Cos’è la distimia

Con il termine distimia, o disturbo distimico, in passato si intendeva ogni forma di alterazione del tono dell’umore, sia in senso depressivo che maniacale.

Attualmente, invece, la definizione di sindrome distimica pura si applica a tutte quelle situazioni in cui si presentano in modo continuativo i sintomi della depressione. Anche se in maniera e misura attenuate rispetto a quelli della depressione maggiore.

Sviluppo e decorso del disturbo distimico

L’esordio della distimia è spesso precoce (prima dei 21 anni) e ha un decorso cronico.

L’esordio precoce è associato maggiormente alla presenza di disturbi di personalità e disturbi da uso di sostanze.

Può capitare che, anche a causa della più lieve entità dei sintomi, la distimia venga diagnosticata tardivamente; ossia quando i suoi effetti negativi si protraggono da uno o due anni.

E’ possibile, infatti, che la persona che soffre di tale disturbo non ne sia totalmente consapevole. Può considerare le difficoltà ed i disagi come caratteristiche specifiche del proprio carattere e modo di essere, almeno fino al momento in cui essi vengano riconosciuti e diagnosticati correttamente da uno specialista.

Caratteristiche della distimia

La caratteristica principale della distimia è un umore tendenzialmente depresso per la maggior parte del tempo (quasi tutti i giorni, in base a ciò che viene riferito dalla persona interessata e riportato dagli altri) per almeno 2 anni.

Spesso chi soffre del disturbo distimico descrive il suo umore come “triste” o “giù di corda”, come qualcosa che lo ha sempre caratterizzato (es. “sono sempre stato così”).

I sintomi della distimia

La diagnosi si può effettuare quando siano presenti almeno due tra i sintomi classici della depressione:

  • Scarso appetito o iperfagia
  • Insonnia o ipersonnia
  • Scarsa energia o astenia
  • Bassa autostima
  • Difficoltà nel prendere decisioni o di concentrazione
  • Sentimenti e vissuti di disperazione

E’ importante, affinché sia davvero diagnosticabile la distimia, che nel corso dei due anni interessati, la persona non sia mai stata priva dei sintomi indicati per un periodo pari a due mesi (ogni volta).

Nella storia clinica, inoltre, non debbono esserci stati episodi depressivi maggiori, disturbo ciclotimico, episodi maniacali o ipomaniacali.

Nella sindrome distimica pura nei 2 anni precedenti non devono essere stati soddisfatti pienamente i criteri per un episodio depressivo maggiore.

Comorbilità

Alla distimia possono associarsi altre psicopatologie come la depressione maggiore, i disturbi d’ansia, l’abuso di sostanze, i disturbi alimentari.

Infine la distimia spesso coesiste con la presenza di un disturbo di personalità, in modo particolare del gruppo B o C.  L’instabilità del tono dell’umore tipica della distimia può spesso essere dovuta a questi ultimi. Occorre porre quindi molta attenzione nella diagnosi differenziale.

Cura della distimia

In ogni caso, la distimia è un disturbo che crea molto disagio soggettivo, spesso sottovalutato, ma che oggi può essere efficacemente curato.

Può essere trattata con basse dosi di farmaci antidepressivi di ultima generazione, ma sopratutto con una psicoterapia cognitivo comportamentale mirata. Questa può intervenire efficacemente sui fattori di mantenimento del disturbo e fornire al paziente consigli pratici su come reagirvi per non lasciarsi sopraffare da esso.

Cos’è l’esaurimento nervoso

L’espressione esaurimento nervoso (nevrastenia o neuroastenia) è stata introdotta nel XIX° secolo da un neuropsichiatra americano, George Miller Beard, che la utilizzò per indicare una condizione pervasiva caratterizzata da fatica cronica e disabilità.

Oggi, nel linguaggio comune, si parla di “esaurimento nervoso” per indicare uno stato generale di stanchezza e debolezza fisica e mentale che può comprendere un’ampia varietà di sintomi quali: senso eccessivo di fatica dopo uno sforzo mentale e difficoltà a concentrarsi (con conseguente riduzione dell’efficienza sia nel lavoro che in altri compiti della vita quotidiana), debolezza fisica, stanchezza cronica, dolori, difficoltà a rilassarsi, vertigini, extrasistole, mal di testa, difficoltà nel sonno, riduzione della capacità di provare emozioni piacevoli (anedonia), umore irritabile (“nervosismo”).

In pratica, la dizione “esaurimento nervoso” è stata, ed è tutt’oggi, ampiamente utilizzata per riferirsi a un periodo difficile che causa sintomi ascrivibili agli stati depressivi e ai disturbi ansiosi. Nello specifico, è una condizione che insorge in modo acuto, dopo un periodo particolarmente stressante. Questa può causare stati mentali problematici “misti” riconducibili sia a un disturbo dell’umore sia a un disturbo d’ansia.

 

Sintomi dell’esaurimento nervoso

Il cosiddetto “esaurimento nervoso” ha infatti molti dei sintomi dei disturbi d’ansia e della depressione. L’apatia, la svogliatezza, la mancanza d’energia, la debolezza muscolare, la mancanza della gioia di vivere, la tristezza e la malinconia, sono infatti dei sintomi tipici della depressione. Può anche capitare che chi soffre di depressione abbia anche attacchi di panico, un disturbo d’ansia, o viceversa.

Al cosiddetto esaurimento nervoso si associano spesso somatizzazioni e sintomi da stress. Spesso proprio il sovraccarico di quest’ultimo può essere il principale responsabile dello stato di esaurimento nervoso.

Il ruolo dello stress eccessivo

Ma cosa significa essere stressati? Come può lo stress portare a un decadimento tale in una persona?

Nell’uomo, l’instabilità affettiva e quella situazionale rappresentano le principali sorgenti di stress. Esse esercitano una notevole influenza di blocco su tutti i modelli di adattabilità che, in questo modo, vengono annientati. Ciò favorisce l’accumulo nel sistema di un’ingente quantità di tensione. Quando tale tensione è eccessiva la reazione di stress può diventare letale e selettiva. Se non viene mediata dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (il sistema che interviene nella gestione delle reazioni di risposta allo stress), può portare fino all’esaurimento nervoso.

Quando l’organismo non è più in grado di rispondere agli stressor e di adattarsi, si possono infatti manifestare sintomi sono molto simili a quelli di ansia e depressione. Ad esempio, inizialmente, vi può essere uno stadio di ipereccitabilità o debolezza, irritabilità, ipersensibilità e ridotta performance funzionale. Successivamente si possono avere sintomi psicosomatici, in particolare vegetativi, come marcati segni di stanchezza e debilitazione. Più tardi potrebbero comparire i sintomi più depressivi tra cui la mancanza di piacere, spossatezza, estrema affaticabilità e umore depresso.

Fattori di mantenimento

Se tale condizione si protrae nel tempo, comporta una valutazione secondaria negativa da parte della persona che si valuterà debole, incapace di reagire e sbagliata. Queste considerazioni aumentano ulteriormente i sintomi sopra descritti, portando ad un circolo vizioso che si autoalimenta. Anche il contesto ambientale e familiare può influenzare il soggetto in questo momento di estrema difficoltà. Parenti, amici, compagni, possono accusare il loro caro di non essere in grado di affrontare la vita. Di essere stato incapace e di non aver saputo gestire lo stress, arrabbiandosi e criticandolo. Questo diventa a sua volta un fattore stressante, peggiorando una condizione psicofisica già compromessa.

Come affrontare l’esaurimento nervoso

Cosa fare allora quando tale situazione si avvera? Innanzitutto, nonostante gli eventi stressanti siano stati la causa di tale “esaurimento”, per uscirne non basta eliminare gli stressor. Bisogna partire da una prima modifica sul comportamento e da un’azione sul corpo, per poi affrontare aspetti psicologici e cognitivi più complessi.

Le modificazioni comportamentali

Infatti, solitamente, per riprendere lentamente un normale funzionamento, è necessario partire da semplici, minime azioni, che possano favorire la ripresa e contrastare l’inerzia della depressione. Ad esempio il monitoraggio delle attività quotidiane. Esso permette di riconoscere quali e quante siano le attività svolte durante una giornata e aumentare così solo le attività piacevoli. Prendere spazio per se stessi, facendo cose che piacciono, aiuta a favorire lo sblocco apatico dovuto all’umore depresso.

In secondo luogo, è stato riconosciuto come un’attività fisica costante, preferibilmente all’aria aperta (come 20 minuti al giorno circa di camminata) favorisca il rilascio di endorfine che regolano l’umore. Ciò è fondamentale nei periodi particolarmente stressanti. Inoltre, se il nostro esaurimento nervoso ha una buona quota ansiosa è possibile svolgere esercizi di rilassamento e meditazioni che stimolano il sistema parasimpatico. Quest’ultimo ha un effetto calmante sul nostro organismo. In particolare tecniche di meditazione mindfulness possono attivare tale sistema e favorire il ritorno ad un livello di attivazione ottimale. Ovviamente, tale tecniche devono essere apprese correttamente e praticate giornalmente affinché abbiano effetto. Come se fosse un esercizio che inizialmente bisogna imparare e per poterlo poi padroneggiare.

Gli interventi cognitivi

Quando vi è una ripresa delle proprie attività e una stabilità dal punto di vista emotivo e fisiologico, sarebbe utile comprendere quali pensieri hanno portato all’esaurimento nervoso e quali mantengono il carico di stress. Occorre riconoscere gli errori di ragionamento, le doverizzazioni, le autocolpevolizzazioni e l’iper/iporesponsabilità. Ciò aiuta a comprendere le distorsioni cognitive che favoriscono l’umore depresso o gli stati ansiosi, al fine di poterli modificare. Riconoscere e interrompere la ruminazione o il rimuginio, che sono modalità di pensiero che per prime mantengono il circolo vizioso, è fondamentale per liberarsene. Per svolgere questo tipo di lavoro è però consigliabile rivolgersi ad un valido psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Non sempre infatti siamo in grado autonomamente di osservare i nostri pensieri o i processi che mettiamo in atto a livello cognitivo.

Il problem solving

Infine, apprendere un metodo strutturato di soluzione dei problemi (problem solving) aiuta a ridurre, ove possibile, i sintomi che sono aggravati dalla presenza di problemi non risolti. Questo metodo infatti, aiuta a comprendere il legame tra i sintomi e i problemi che affliggono la persona, in quanto se i problemi vengono risolti, anche i sintomi miglioreranno. Chi ha avuto un esaurimento nervoso, si sente sopraffatto dai problemi, per cui è necessario “scomporre” i problemi più grandi in sottoproblemi più piccoli e più gestibili e trovare soluzioni alternative per affrontarli.

Quando farsi aiutare a superare l’esaurimento nervoso

Tutti questi consigli sono in parte applicabili autonomamente, tramite strumenti di auto-aiuto, in base al livello di gravità della sintomatologia sopra descritta. È comunque sempre consigliabile affidarsi ad un professionista esperto per apprendere correttamente tali strategie, essere indirizzati su quali siano più utili per quel particolare tipo di persona e lavorare affiancati da chi conosce il problema. Utilizzando una metafora, dopo un’operazione al ginocchio, avremo un recupero completo nel momento in cui saremo seguiti nella fisioterapia da un professionista serio e competente. Molto meglio che rischiare di fare autonomamente degli esercizi che ci porteranno ad avere ancora più problemi in futuro.

In ogni caso, occorre quindi affrontare il problema dal punto di vista psicologico, valutando attentamente la diagnosi e strutturando un intervento psicoterapeutico e, ove necessario, psicofarmacologico, che miri a ristabilire le condizioni precedenti all’esaurimento nervoso.

In molte culture, tra cui quella occidentale, la nascita di un bambino viene sempre accolta e considerata come un evento felice, un’occasione di festa.

Questa immagine idealizzata della maternità è però, talvolta, in forte contrasto con il vissuto intimo della madre stessa, che può facilmente andare incontro ai sintomi della depressione post partum.

Baby blues e depressione post parto

Il baby blues

Diventare madre comporta molti cambiamenti nella vita della donna (le continue richieste di accudimento del neonato, una nuova organizzazione del proprio tempo e delle proprie abitudini, difficoltà nell’ambito lavorativo, ecc.) e della coppia (percezione di uno scarso sostegno da parte dei compagni, difficoltà nel vivere la sessualità, cambiamento nei ruoli, ecc.).

Nei giorni immediatamente successivi al parto, è perciò considerato assolutamente “fisiologico” un periodo caratterizzato da calo dell’umore, instabilità emotiva, crisi di pianto, ansia e difficoltà a dormire. E’ il cosiddetto baby blues, con riferimento allo stato di malinconia che caratterizza il fenomeno).

Oltre il 70% delle donne sperimenta e manifesta sintomi associabili a una leggera depressione post partum, ma caratterizzati da transitorietà. Generalmente iniziato 2-3 giorni dopo il parto e tendono a scomparire entro pochi giorni. Questi non necessariamente si trasformano in un vero e proprio disturbo.

La depressione post-partum

La vera e propria depressione post-partum o depressione post-natale (DPN), che invece sembra colpire circa il 10-20% delle donne nel periodo immediatamente successivo al parto, è solitamente caratterizzata da una serie di sintomi.

Sintomi della depressione post-natale

  • sentimenti di tristezza
  • senso di colpa
  • ansia
  • senso di inutilità
  • difficoltà a concentrarsi e a prendere decisioni anche banali
  • disturbi del sonno e dell’appetito
  • pensieri suicidari o di morte
  • perdita di interessi e mancanza di energie

sintomi della depressione post partum non sono transitori e possono persistere (variando d’intensità) anche per molti anni. Possono quindi avere conseguenze più o meno dirette non solo sulla madre, ma anche sul figlio e sull’intero nucleo familiare.

Fattori di rischio per la depressione post-parto

Biologici

  • privazione del sonno
  • esaurimento fisico ed emotivo
  • cambiamenti ormonali

Psicologici

  • storia personale di ansia e/o depressione
  • aver sofferto di baby blues
  • bassa autostima
  • auto-svalutazione, inadeguatezza, insoddisfazione

Psicosociali

  • giovane età
    basso status socioeconomico
    eventi di vita stressanti
    scarso supporto psicologico da parte del partner o problemi di coppia
    sostegno familiare/sociale inadeguato

Depressione post partum cura

I farmaci

Nei casi in cui sia stata diagnosticata una depressione post partum la tendenza è quella di affidarsi alla somministrazione di farmaci antidepressivi.

E’ importante però tenere conto dei possibili e talvolta importanti effetti collaterali sia sulla madre che sul neonato, soprattutto in caso di allattamento al seno. La maggior parte dei farmaci è infatti controindicata per l’allattamento e, in ogni caso, tutte le molecole assunte dalla madre passano almeno in parte, attraverso il sangue, nel latte.

Interrompere l’allattamento per poter assumere gli psicofarmaci può avere un effetto ancor più depressogeno, minando il senso di valore personale della neo-madre.

La psicoterapia

E’ quindi molto più indicato farsi aiutare da un bravo psicoterapeuta, di orientamento cognitivo comportamentale, che possa aiutare la donna a superare i sintomi della depressione post-partum. Questi può riportarla nella condizione di potersi godere la nuova condizione di vita, pur con tutti i suoi limiti e cambiamenti.

Molto si sta facendo a livello generale per individuare e supportare i cosiddetti “soggetti a rischio” di depressione post partum (incontri psicoeducativi precedenti al parto, screening di routine nelle settimane immediatamente successive al parto, affiancamento e supporto nelle cure al neonato alle donne che ne facciano richiesta dopo il parto, da parte del Servizio Sanitario Nazionale, ecc.).

Il ruolo dei sanitari (ginecologi, ostetriche, ecc.)

Resta tuttavia il fatto che spesso la depressione post natale non viene riconosciuta in tempo. Questo in parte per la sua insorgenza insidiosa e in parte perché la maggior parte delle neo-mamme tende a nascondere i propri sintomi di depressione post partum. Sono pochissime quelle che ricercano spontaneamente l’aiuto di uno specialista, così da ridurre la propria sofferenza e limitare quelle che, inevitabilmente, possono diventare le conseguenze che questo disturbo potrebbe avere su madri e figli.

E’ dunque fondamentale la tempestività, avere la possibilità di parlarne con professionisti del settore (ginecologi, ostetriche, infermieri, medici di base, ecc.). Questi potranno indirizzare le donne interessate a psicoterapeuti specializzati nella cura della depressione post partum.

È noto ormai da tempo come le variazioni ambientali legate alle stagioni possano influenzano il comportamento e l’umore dell’uomo.

Ippocrate fu il primo, nel 400 a.C., a descrivere un disturbo depressivo legato all’andamento stagionale e, nel II secolo a.C., i medici greco-romani erano soliti trattare la depressione con l’esposizione alla luce solare direttamente negli occhi.

Pinel e il suo allievo Esquirol (1845) furono invece i primi a distinguere i sottotipi di depressione invernale ed estiva, ma solo nel 1984 Rosenthal e colleghi descrissero i criteri diagnostici del cosiddetto “Disturbo Affettivo Stagionale” (SAD), caratterizzato da depressione in autunno e inverno e periodi di benessere in primavera ed estate.

Il SAD è una patologia cronica che presenta episodi depressivi ciclici. I suoi sintomi più comuni sono:

  • ipersonnia o insonnia
  • iperfagia (con particolare predilezione per i carboidrati), con conseguente aumento ponderale
  • stanchezza mentale e fisica
  • mancanza di energie
  • difficoltà di concentrazione
  • generale senso di confusione
  • irritabilità.

Benché il disturbo affettivo stagionale sia stato ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica, tuttavia nel DSM-IV non figurava come categoria nosografica autonoma, ma piuttosto come modalità di decorso dei Disturbi dell’Umore; da un punto di vista clinico, la sintomatologia che caratterizza i pazienti affetti da SAD rientra tra le manifestazioni depressive che il DSM-IV descriveva come “atipiche”.

Nei pazienti con SAD, infatti, l’umore, pur essendo depresso, si presenta come reattivo (ovvero coloro che ne sono colpiti sono capaci di rallegrarsi quando si trovano di fronte a eventi positivi, Cfr. DSM-IV).

La deflessione del tono dell’umore, inoltre, è tipicamente accentuata nelle ore serali; altri sintomi depressivi “atipici” che si riscontrano in pazienti affetti da tale patologia sono l’iperfagia, l’incremento ponderale, l’ipersonnia, l’anergia e la letargia.

In base al decorso, si distinguono due forme di SAD: la “forma invernale” e la “forma estiva”.

Nella “forma invernale”, che rappresenta la modalità di presentazione prevalente, la sintomatologia depressiva ha inizio durante la stagione autunnale, raggiunge il massimo dell’intensità durante la stagione invernale e si risolve, parzialmente o totalmente, all’inizio della stagione primaverile.

Nella “forma estiva”, invece, gli episodi depressivi si presentano all’inizio della stagione primaverile, raggiungono l’acme nel periodo estivo e si risolvono all’inizio della stagione autunnale.

Come precedentemente accennato, fino alla scorsa edizione del DSM, questo disturbo non veniva catalogato come entità nosografica specifica, ma come una semplice forma di depressione con andamento ciclico e regolare.

Nell’ultima recentissima edizione del Manuale (DSM-5), invece, il Disturbo Affettivo Stagionale viene descritto come una vera e propria categoria diagnostica e come tale trattato.

Sono stati elaborati diversi modelli teorici in grado di spiegare la fisiopatologia del SAD, ma solo recentemente ci si è posto l’interrogativo su cosa davvero può essere causa di malumore, tristezza, melanconia o depressione in alcune persone, proprio durante questi periodi dell’anno.

Forse alla domanda sono riusciti a rispondere i ricercatori dell’Università di Copenhagen, con uno studio i cui risultati sono stati predentati alla XII International Conference on Neuropsychopharmacology di Londra.

Il problema, secondo quanto emerso dagli studi della dott.ssa Brenda Mc Mahon e colleghi, starebbe da ricercare nei livelli di produzione di serotonina, che cambierebbero in base alle stagioni e alla quantità di luce presente. Le persone che sviluppano il SAD avrebbero dunque un problema con la serotonina e i livelli di SERT, il trasportatore di questo neurotrasmettitore, chiamato non casualmente anche ormone del buonumore.

Per osservare cosa accade nei cervelli delle persone, i ricercatori hanno reclutato 11 persone con SAD e 23 volontari sani per il confronto. Utilizzando una Tomografia a Emissione di Positroni (PET), hanno eseguito delle scansioni del cervello: sono così stati in grado di osservare differenze significative dall’estate all’inverno nei livelli del SERT nei pazienti che soffrivano di SAD.

In particolare, i volontari con SAD avevano livelli più elevati di SERT nei mesi invernali, che corrispondono a una maggiore rimozione di serotonina in inverno, mentre questo non accadeva con i volontari sani. Secondo i ricercatori questi risultati confermano ciò che altri hanno in precedenza sospettato.

«Crediamo di aver trovato il modo in cui il cervello si trasforma quando deve regolare la serotonina al mutare delle stagioni – ha spiegato la dott.ssa Mc Mahon – Il trasportatore della serotonina (SERT) conduce indietro la serotonina nelle cellule nervose in cui non è attiva, in modo che più alta è l’attività SERT, minore è l’attività della serotonina».

«La luce del sole mantiene questa impostazione naturalmente bassa – aggiunge la ricercatrice – ma quando le notti si allungano durante l’autunno, aumentano i livelli di SERT, con conseguente diminuzione dei livelli di serotonina attivi. Molte persone non sono realmente interessate dal SAD, e abbiamo scoperto che queste persone non hanno questo aumento di attività del SERT, così i loro livelli di serotonina attivi rimangono elevati per tutto l’inverno».

Il Disturbo Affettivo Stagionale è comunque abbastanza diffuso; ne soffre circa il 20% della popolazione americana e circa 12 milioni di persone nella sola Europa del Nord.

«Sappiamo che una dieta equilibrata, il ridurre l’assunzione di caffeina e fare un po’ di esercizio fisico possono aiutare, come anche il trascorrere più tempo possibile all’aria aperta, perché anche quando è nuvoloso la luce è sempre superiore che al chiuso.

Certamente è un disturbo da non sottovalutare e da trattare anche con il supporto di specialisti preparati e competenti», conclude la dott.ssa Mc Mahon.

Attualmente, ci sono due tipologie di trattamenti evidence-based che risultano efficaci per il SAD: la terapia farmacologica con antidepressivi e la fototerapia (la cui efficacia è stata dimostrata in vari studi).