Disturbi d’ansia

Cos’è l’ansia

Ansia è un termine largamente usato per indicare un complesso di reazioni cognitive, comportamentali e fisiologiche che si manifestano in seguito alla percezione di uno stimolo ritenuto minaccioso e nei cui confronti non ci riteniamo sufficientemente capaci di reagire.

L’ansia di per sé, tuttavia, non è un fenomeno anormale. Si tratta di un’emozione di base, che comporta uno stato di attivazione dell’organismo quando una situazione viene percepita soggettivamente come pericolosa.

Ansia sintomi

Sintomi cognitivi dell’ansia

Dal punto di vista cognitivo i sintomi tipici dell’ansia sono:

  • il senso di vuoto mentale
  • un senso crescente di allarme e di pericolo
  • l’induzione di immagini, ricordi e pensieri negativi
  • la messa in atto di  comportamenti protettivi cognitivi
  • la sensazione marcata di essere osservati e di essere al centro dell’attenzione altrui.

Sintomi comportamentali dell’ansia

Nella specie umana l’ansia si traduce in una tendenza immediata all’esplorazione dell’ambiente, nella ricerca di spiegazioni, rassicurazioni e vie di fuga. La strategia principale istintiva di gestione dell’ansia è inoltre l’evitamento della situazione temuta (strategia “better safe than sorry” – “meglio prevenire che curare”).

Sono frequenti inoltre comportamenti protettivi (farsi accompagnare, assumere ansiolitici al bisogno, ecc.), anassertivi e di sottomissione.

Sintomi fisici dell’ansia

L’ansia inoltre, è spesso accompagnata da manifestazioni fisiche e fisiologiche quali:

  • tensione
  • tremore
  • sudore
  • palpitazione
  • aumento della frequenza cardiaca
  • vertigini
  • nausea
  • formicolii alle estremità ed intorno alla bocca
  • derealizzazione e depersonalizzazione.

Di seguito descriveremo meglio alcuni sintomi fisici dell’ansia, come si manifestano e quali sono le eventuali conseguenze:

Palpitazioni

Occorre, per quanto possibile, distinguere diverse condizioni riferibili alle palpitazioni: il cardiopalmo, la tachicardia e l’aritmia.

Quest’ultima, ad esempio, si verifica spesso con battiti irregolari anche nelle persone sane, durante le loro attività quotidiane ed è più probabile che si presentino quando la persona è in ansia.

Può essere indotta da una serie di agenti quali nicotina, caffeina, alcol e squilibrio elettrolitico.

Spesso l’interpretazione data a tale sintomo fisico durante uno stato ansioso è legata all’idea di avere un infarto. Questo anche se alla base vi è un’aumentata eccitabilità elettrofisiologica del muscolo cardiaco che non ha conseguenze negative dal punto di vista medico.

Dolore toracico

È un sintomo fisico che può presentarsi durante periodi di ansia elevata in assenza di un disturbo cardiaco.

Può quindi derivare da fonti diverse quali la respirazione toracica e i disturbi gastrointestinali (es. reflusso esofageo o spasmi esofagei). Quando la persona interpreta catastroficamente le cause benigne del dolore è possibile che lo stato ansioso aumenti portando anche al panico.

Ma in realtà sappiamo che quando emerge uno stato ansioso molto elevato, il corpo secerne adrenalina che causa un aumento del battito cardiaco e il corpo lavora più velocemente. È un modo evolutivo per preparare meglio la persona a gestire le situazioni di pericolo.

Se l’adrenalina danneggiasse il cuore, come avrebbe potuto l’uomo sopravvivere sino ad oggi? Dunque, l’accelerazione del battito cardiaco dovuta agli stati ansiosi non causa attacchi di cuore; deve esserci qualcosa di patologico, perché questo accada.

Sensazione di mancanza di respiro

Respirare è un’azione che funziona indipendentemente da ciò che una persona pensa o fa, è automaticamente controllata dal cervello. Infatti i controlli cerebrali funzionano anche quando si cerca di smettere di respirare.

La sensazione di mancanza di respiro è molto frequente nei disturbi d’ansia e deriva dalla protratta e ripetuta respirazione toracica (pettorale).

Infatti, una risposta fisica allo stress è la relativa dominanza della respirazione toracica su quella addominale che porta però all’affaticamento dei muscoli intercostali, che si sforzano e hanno spasmi che causano disagio e dolori pettorali inducendo la mancanza di sensazione di respiro.

Se non si riesce a capire che queste sensazioni sono indotte dalla respirazione toracica, allora sembreranno improvvise, spaventose, portando la persona ad allarmarsi ulteriormente.

Nausea o disturbi addominali

Lo stomaco si contrae e si rilassa in modo regolare e costante.

Quando questo ritmo è disturbato si presenta la nausea. Diversi fattori possono portare a questa sensazione fisica come l’ingestione di certi cibi, i disturbi vestibolari, l’ipotensione posturale o anche stimoli precedentemente neutri.

La funzione dell’alimentazione e della digestione sono le prime a bloccarsi durante uno stato di allerta, ma se la persona interpreta erroneamente la nausea come un segno dell’imminente vomito è più probabile che l’ansia aumenti e porti al panico.

Ma, fortunatamente, che la nausea porti al vomito accade raramente, è più probabile che le persone sovrastimino questa eventualità.

Tremori e sudorazione

I primi sono movimenti involontari, oscillatori e ritmici di una o più parti del corpo, causati dalla contrazione alternata di movimenti muscolari opposti.

La sudorazione invece aiuta a controllare la temperatura corporea, che si innalza quando vi sono stati ansiosi.

Infatti, lo stress stimola il sistema nervoso simpatico con aumento dei livelli di adrenalina e noradrenalina che stimolano un aumento del metabolismo, incrementando così la produzione del calore e la conseguente sudorazione utile all’abbassamento della temperatura corporea.

Nuovamente, maggiore è l’attenzione e la catastrofizzazione rispetto a tali sintomi fisici maggiore sarà la probabilità che questi aumentino di intensità.

Vertigini

Le vertigini sono il prodotto dell’illusione del movimento di sé o dell’ambiente.

Consistono in sensazioni di confusione o di giramenti, di capogiri o di stordimenti.

Quando le informazioni provenienti dal sistema dell’equilibrio (sistema visivo, somatosensoriale e vestibolare) entrano in conflitto si verificano le vertigini.

I problemi dell’equilibrio e i sintomi fisici associati (instabilità, ansia, sudore freddo, palpitazioni) possono verificarsi anche in seguito ad ansia, iperventilazione e reazioni comuni allo stress come stringere la mascella e i denti.

Ovviamente l’intensità delle vertigini può aumentare se viene data maggiore attenzione a queste sensazioni.

Derealizzazione o depersonalizzazione

La depersonalizzazione (sensazione di irrealtà) o la depersonalizzazione (sentirsi distaccati da sé stessi), sono esperienze che possono essere indotte da stanchezza, deprivazione del sonno, meditazione, rilassamento o l’uso di sostanze, alcol e benzodiazepine.

Vi sono inoltre altre cause più sottili legata a brevi periodi di deprivazione sensoriale o riduzione di input sensoriali, come ad esempio fissare 3 minuti un punto su un muro.

L’aspetto curioso è che, anche qui, il circolo vizioso si instaura in base all’interpretazione data a questi sintomi fisici. Quando si sperimenta depersonalizzazione o derealizzazione (esperienza che un terzo della popolazione ha sperimentato) più una persona si spaventa, più respira,  più si carica di ossigeno (eliminando anidride carbonica) più aumenta la sensazione di depersonalizzazione o derealizzazione.

La paura della paura

I sintomi fisici dell’ansia spesso spaventano generando circoli viziosi, ovvero la cosiddetta “paura della paura”. Tuttavia essi dipendono dal fatto che, ipotizzando di trovarsi in una situazione di reale pericolo, l’organismo in ansia ha bisogno della massima energia muscolare a disposizione, per poter scappare o attaccare in modo più efficace possibile, scongiurando il pericolo e garantendosi la sopravvivenza.

L’ansia, quindi, non è solo un limite o un disturbo, ma costituisce una importante risorsa. E’ infatti una condizione fisiologica efficace in molti momenti della vita per proteggerci dai rischi, mantenere lo stato di allerta e migliorare le prestazioni (ad es., sotto esame).

Quando l’attivazione del sistema di ansia è eccessiva, ingiustificata o sproporzionata rispetto alle situazioni, però, siamo di fronte a un disturbo d’ansia, che può complicare notevolmente la vita di una persona e renderla incapace di affrontare anche le più comuni situazioni.

Ansia cura e rimedi

Quando l’ansia diventa estrema e incontrollabile, sfociando in uno dei suddetti disturbi d’ansia, occorre un intervento professionale che possa aiutare la persona a gestire i sintomi così fastidiosi e invalidanti.

Psicoterapia per l’ansia

La psicoterapia per i disturbi d’ansia è indubbiamente il trattamento principale e dal quale è difficile prescindere. In particolar modo la terapia cognitivo comportamentale ha mostrato tassi di efficacia elevatissimi e si è affermata nella comunità scientifica come la strategia di prima scelta nella cura dell’ansia e dei suoi disturbi.

L’intervento richiede solitamente alcuni mesi, con sedute a cadenza settimanale, ed è estremamente raro che venga erogato dai servizi pubblici.

Occorre pertanto rivolgersi a un serio centro privato di psicoterapia cognitivo comportamentale, che garantisca alta qualità e serietà dei professionisti.

Terapia farmacologica dell’ansia

I farmaci ansiolitici, sopratutto le “famose” benzodiazepine, sono largamente impiegate ma sono utili solo se utilizzate occasionalmente e per brevissimi periodi. In caso contrario presentano grossi problemi di assuefazione e astinenza che peggiorano la situazione anziché migliorarla.

Anche i farmaci antidepressivi di ultima generazione sono prescritti facilmente con funzione ansiolitica nel trattamento dei disturbi d’ansia. Essi hanno una certa efficacia, che però solitamente si perde alla sospensione della terapia, oltre a presentare molto spesso effetti collaterali (sonnolenza, disfuzioni sessuali, problemi gastrointestinali, aumento di peso, ecc.).

Rimedi di altra natura

L’ansia, soprattutto quando non raggiunge livelli estremi tipici di un vero e proprio disturbo d’ansia, può essere gestita con tecniche di rilassamento, strategie di meditazione mindfulness e rimedi naturali, quali valeriana o altri prodotti erboristici calmanti. Questi rimedi per l’ansia possono essere d’aiuto e coadiuvanti a un trattamento psicoterapeutico, ma difficilmente sono risolutivi.

Altri problemi legati all’ansia

Vi sono poi altri tipi di problemi legati all’ansia, che non fanno parte dei disturbi d’ansia in senso stretto. Ad esempio la paura di volare, la paura di guidare, il disturbo d’ansia da separazione, che spesso si associa a crisi di panico e/o agorafobia. Oppure l’ansia da prestazione, molto presente nei disturbi sessuali, ma anche nella fobia sociale e in alcuni disturbi di personalità.

I disturbi d’ansia

disturbi d’ansia conosciuti e chiaramente diagnosticabili sono i seguenti 

  • Fobia specifica (aereo, spazi chiusi, ragni, cani, gatti, insetti, ecc.)
  • Disturbo di panico e agorafobia (paura di stare in situazioni da cui non vi sia una rapida via di fuga)
  • Disturbo ossessivo-compulsivo
  • Fobia sociale
  • Disturbo post-traumatico da stress
  • Disturbo d’ansia generalizzata

Tali disturbi sono tra i più frequenti nella popolazione, creano grossa invalidazione e spesso non rispondono bene ai trattamenti farmacologici. Si rende necessario pertanto intervenire efficacemente su di essi con mirati interventi psicoterapeutici brevi di orientamento cognitivo-comportamentale, che hanno dimostrato alta efficacia in centinaia di studi scientifici.

Cliccando sui singoli disturbi è possibile approfondirne la conoscenza e conoscere le modalità di trattamento scientificamente valide.

Cosa sono gli attacchi di panico

Gli attacchi di panico (detti anche crisi di panico) sono episodi di improvvisa ed intensa paura o di una rapida escalation dell’ansia normalmente presente.

Sono accompagnati da sintomi somatici e cognitivi. Ad esempio palpitazioni, sudorazione improvvisa, tremore, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea, vertigini, paura di morire o di impazzire, brividi o vampate di calore.

Chi ha provato gli attacchi di panico li descrive come un’esperienza terribile, spesso improvvisa ed inaspettata, almeno la prima volta. E’ ovvio che la paura di un nuovo attacco diventa immediatamente forte e dominante.

Il singolo episodio, quindi, sfocia facilmente in un vero e proprio disturbo di panico, più per “paura della paura” che altro. La persona si trova rapidamente invischiata in un tremendo circolo vizioso che spesso si porta dietro la cosiddetta “agorafobia“. Ovvero l’ansia relativa all’essere in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile un aiuto, nel caso di un attacco di panico inaspettato.

Con la paura degli attacchi di panico diventa quindi difficile e ansiogeno uscire di casa da soli, viaggiare in treno, autobus o guidare l’auto, stare in mezzo alla folla o in coda, e cosi via.

L’evitamento di tutte le situazioni potenzialmente ansiogene diviene la modalità prevalente ed il paziente diviene schiavo del panico. Costringe spesso tutti i familiari ad adattarsi di conseguenza, a non lasciarlo mai solo e ad accompagnarlo ovunque. Ne consegue un senso di frustrazione che deriva dal fatto di essere “grande e grosso” ma dipendente dagli altri, che può condurre ad una depressione secondaria.

Caratteristiche del disturbo di panico

La caratteristica essenziale del disturbo da attacchi di panico è la presenza di attacchi ricorrenti e inaspettati. Questi sono seguiti da almeno 1 mese di preoccupazione persistente di avere un altro attacco di panico.

La persona si preoccupa delle possibili implicazioni o conseguenze degli attacchi d’ansia e cambia il proprio comportamento in conseguenza degli attacchi. Principalmente evita le situazioni in cui teme che essi possano verificarsi.

Il primo attacco di panico è generalmente inaspettato, cioè si manifesta “a ciel sereno”, per cui il soggetto si spaventa enormemente e, spesso, ricorre al pronto soccorso. Poi possono diventare più prevedibili.

Diagnosi del disturbo di panico

Per la diagnosi sono richiesti almeno due attacchi di panico inaspettati, ma la maggior parte degli individui ne hanno molti di più.

Gli individui con Disturbo di Panico mostrano caratteristiche preoccupazioni o interpretazioni sulle implicazioni o le conseguenze degli attacchi di panico. La preoccupazione per il prossimo attacco o per le sue implicazioni sono spesso associate con lo sviluppo di condotte di evitamento. Queste possono determinare una vera e propria Agorafobia, nel qual caso viene diagnosticato il Disturbo di Panico con Agorafobia.

Di solito gli attacchi sono più frequenti in periodi stressanti. Alcuni eventi di vita possono infatti fungere da fattori precipitanti, anche se non indicono necessariamente un attacco di panico. Tra gli eventi di vita precipitanti riferiti più comunemente troviamo:

  • il matrimonio o la convivenza
  • la separazione
  • la perdita o la malattia di una persona significativa
  • l’essere vittima di una qualche forma di violenza
  • problemi finanziari e lavorativi

I primi attacchi si verificano di solito in situazioni agorafobiche (come guidare da soli o viaggiare su un autobus in città) e comunque spesso in qualche contesto stressante.

Gli eventi stressanti, le situazioni agorafobiche, il caldo e le condizioni climatiche umide, le droghe psicoattive possono infatti far insorgere sensazioni corporee anomale. Queste possono essere interpretate in maniera catastrofica, aumentando il rischio di sviluppare attacchi di panico.

Sintomi dell’attacco di panico

L’attacco di panico ha un inizio improvviso, raggiunge rapidamente l’apice (di solito entro 10 minuti o meno) e dura circa 20 minuti (ma a volte molto meno o di più).

sintomi tipici degli attacchi di panico sono:

  • Palpitazioni/tachicardia (battiti irregolari, pesanti, agitazione nel petto, sentirsi il battito in gola)
  • Paura di perdere il controllo o di impazzire (ad esempio, la paura di fare qualcosa di imbarazzante in pubblico o la paura di scappare quando colpisce il panico o di perdere la calma)
  • Sensazioni di sbandamento, instabilità (capogiri e vertigini)
  • Tremori fini o a grandi scosse
  • Sudorazione
  • Sensazione di soffocamento
  • Dolore o fastidio al petto
  • Sensazioni di derealizzazione (percezione del mondo esterno come strano e irreale, sensazioni di stordimento e distacco) e depersonalizzazione (alterata percezione di sé caratterizzata da sensazione di distacco o estraneità dai propri processi di pensiero o dal corpo)
  • Brividi
  • Vampate di calore
  • Parestesie (sensazioni di intorpidimento o formicolio)
  • Nausea o disturbi addominali
  • Sensazione di asfissia (stretta o nodo alla gola)

Intensità e andamento dei sintomi del panico

Non tutti i sintomi sono necessari perché si tratti di un attacco di panico. Vi sono molti attacchi caratterizzati solo o in particolare da alcuni di questi sintomi. La frequenza e la gravità dei sintomi varia ampiamente nel corso del tempo e delle circostanze.

Ad esempio, alcuni individui presentano attacchi moderatamente frequenti (per es., una volta a settimana), che si manifestano regolarmente per mesi. Altri riferiscono brevi serie di attacchi più frequenti, magari con sintomi meno intensi (per es., quotidianamente per una settimana). Queste sono intervallate da settimane o mesi senza attacchi o con attacchi meno frequenti (per es., due ogni mese) per molti anni.

Vi sono anche i cosiddetti attacchi paucisintomatici, molto comuni negli individui con Disturbo di Panico, che sono degli attacchi in cui si manifestano soltanto una parte dei sintomi del panico, senza esplodere in un vero attacco. La maggior parte degli individui con sintomi paucisintomatici, tuttavia, hanno avuto attacchi di panico completi, con tutti i sintomi classici, in qualche momento nel corso del disturbo.

Preoccupazioni associate all’attacco di panico

Durante un attacco di panico, pensieri catastrofici automatici e incontrollati riempiono la mente della persona. Questa ha quindi difficoltà a pensare chiaramente e teme che tali sintomi siano veramente pericolosi. Alcuni temono che gli attacchi indichino la presenza di una malattia non diagnosticata, pericolosa per la vita (per es., cardiopatia, epilessia). Nonostante i ripetuti esami medici e la rassicurazione, possono rimanere impauriti e convinti di essere fisicamente vulnerabili.

Altri temono che i sintomi dell’attacco di panico indichino che stanno “impazzendo” o perdendo il controllo, o che sono emotivamente deboli e instabili.

Cura del disturbo di panico

Psicoterapia per gli attacchi di panico

Nella cura degli attacchi di panico con o senza agorafobia e dei disturbi d’ansia in generale, la forma di psicoterapia che la ricerca scientifica ha dimostrato essere più efficace è quella “cognitivo-comportamentale“.

Si tratta di una psicoterapia relativamente breve, a cadenza solitamente settimanale, in cui il paziente svolge un ruolo attivo nella soluzione del proprio problema. Insieme al terapeuta, si concentra sull’apprendimento di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali alla cura degli attacchi di panico. Ciò nell’intento di spezzare i circoli viziosi del disturbo.

Per panico e agorafobia, una cura a base di terapia cognitivo comportamentale è altamente raccomandabile e di prima scelta. Sostanzialmente è controindicato affidarsi ai farmaci o ad altre forme di psicoterapia senza intraprendere questa forma di trattamento. L’intera comunità scientifica ha infatti dimostrato essere la più efficace per la cura del disturbo di panico.

Passi fondamentali della psicoterapia

Tecniche cognitive

Nella terapia si utilizzano strategie verbali volte a modificare i pensieri catastrofici automatici (es., mi verrà un infarto, sverrò, ecc.). Questo fa si che col tempo la persona impari a non aver paura delle sensazioni fisiche di ansia. Non avendone paura, imparando a conviverci semplicemente aspettando che passino, si evita l’escalation di ansia che porta al panico.

Tecniche comportamentali

Alle strategie verbali si associano tecniche volte a modificare i comportamenti problematici che mantengono il disturbo. In primis occorre contrastare gradualmente la tendenza ad evitare le situazioni temute (cioè quelle da cui non c’è immediata via di fuga). Serve inoltre aiutare il soggetto ad esporsi alle sensazioni fisiche che lo allarmano (es. tachicardia) attraverso esercizi in seduta e la ripresa di attività che vengono evitate. Ad esempio, si accompagna il paziente in un percorso in cui prendere un caffè, salire le scale di corsa, praticare sport, ecc., devono tornare a far parte della sua vita. Infine è necessario abbandonare gradualmente i cosiddetti “comportamenti protettivi”, che danno illusoria sicurezza. Prima di tutto il farsi accompagnare da altri, ma anche il portarsi dietro le gocce di ansiolitico, la bottiglietta d’acqua o il cellulare.

Tecniche esperienziali

Infine possono essere utili tecniche di rilassamento e sopratutto strategie che aumentino la capacità del soggetto di accettare le emozioni negative. In particolare la meditazione mindfulness e le tecniche esperienziali tipiche della Acceptance and Commitment Therapy (ACT).

Interventi ulteriori

Prima di tutto occorre recuperare la libertà di muoversi in autonomia e ottenere un senso di padronanza sul fenomeno panicoso. Poi la terapia può procedere lavorando su elementi storici che hanno reso vulnerabile il soggetto. Sono quindi importanti la ricostruzione della storia di vita, dei legami significativi, delle relazioni sentimentali e sociali. Vengono presi in esame eventuali traumi, compresa la prima esperienza di un attacco di panico. Possono venire impiegate tecniche volte ad elaborarli emotivamente, come l’EMDR.

Farmaci per gli attacchi di panico

La cura farmacologica del panico e dell’agorafobia, per quanto spesso sconsigliabile (almeno come unico trattamento), si basa fondamentalmente su due classi di farmaci: benzodiazepine e antidepressivi, spesso impiegati in associazione.

Nelle forme lievi la prescrizione di sole benzodiazepine può essere sufficiente come cura temporanea, ma difficilmente risolutiva. Le molecole più adoperate sono l’alprazolam, l’etizolam, il clonazepam, il lorazepam. Tali farmaci, però, nel caso di attacchi di panico e agorafobia, rischiano di dare forte dipendenza e mantenere il disturbo. Questo soprattutto se non si effettua parallelamente una psicoterapia cognitivo comportamentale.

Degli antidepressivi si sono mostrati efficaci nella cura degli attacchi di panico e dell’agorafobia i triciclici – TCA – (es clorimipramina, imipramina, desimipramina), gli inibitori delle mono amino ossidasi (IMAO) e sopratutto gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina – SSRI – (es citalopram, escitalopram, paroxetina, fluoxetina, fluvoxamina, sertralina), oggigiorno largamente impiegati.

Quest’ultima classe di farmaci presenta infatti, rispetto alle precedenti, una maggiore maneggevolezza e minori effetti collaterali.

Nei casi di attacchi di panico e agorafobia che non rispondono alla cura con SSRI, possono essere impiegati i TCA, anche se molti clinici utilizzano tali molecole come terapia di primo impiego.

Gli IMAO, pur essendo farmaci molto efficaci, sono quasi del tutto caduti in disuso per i gravi effetti collaterali che possono presentarsi qualora vi fosse l’associazione di alcune molecole o non venissero rispettate le restrizioni alimentari prescritte.

Cos’è l’agorafobia: di cosa si tratta?

L’agorafobia è un disturbo d’ansia caratterizzato da paura e ansia marcate innescate dalla reale o anticipata esposizione ad un’ampia gamma di situazioni.

L’ansia e/o la paura si generano a seguito del trovarsi da soli in luoghi o in situazioni da cui sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi. Oppure nei quali potrebbe non essere immediatamente disponibile un aiuto.

Le persone che soffrono di agorafobia esperiscono pensieri relativi al fatto che potrebbe accadere loro qualcosa di terribile. Per es. “non posso fuggire /scappare/uscire” e/o “non c’è nessuno che mi potrebbe aiutare”.

Caratteristiche e manifestazioni dell’agorafobia

Nella maggior parte dei casi, l’agorafobia è un problema che emerge secondariamente all’insorgenza di attacchi di panico o crisi d’ansia minori.

Si instaura quando il soggetto agorafobico comincia ad evitare sistematicamente tutti i luoghi, le situazioni ed i contesti nei quali ci potrebbero essere ostacoli alla possibilità di essere aiutati.

Evitamenti agorafobici e comportamenti protettivi

Tra le situazioni che più frequentemente vengono evitate da chi mostra sintomi di agorafobia si riscontrano:

  • uscire da soli o stare a casa da soli
  • guidare o viaggiare in automobile
  • frequentare luoghi affollati come mercati o concerti
  • prendere l’autobus o l’aeroplano
  • essere su un ponte o in ascensore

Quando questi evitamenti iniziano a compromettere le attività quotidiane ed il funzionamento socio-lavorativo della persona allora si parla di agorafobia.

Talvolta, il problema è più difficile da individuare perché il soggetto non evita certe situazioni temute ma diviene incapace di affrontarle senza l’assistenza di una persona di fiducia.

A tal proposito è possibile che al posto dell’evitamento il soggetto agorafobico utilizzi dei comportamenti protettivi al fine di prepararsi ad affrontare una certa situazione temuta.

Gli evitamenti e i comportamenti protettivi, nonostante nel breve periodo possano rivelarsi utili per il soggetto, nel lungo periodo non permettono di affrontare il problema e rappresentano dei potenti fattori di mantenimento del disturbo stesso.

Agorafobia e disturbo di panico

L’agorafobia può essere diagnosticata all’interno del disturbo di panico con agorafobia o come agorafobia senza anamnesi di disturbo di panico.

In questo ultimo caso, le crisi che il paziente evita sono caratterizzate da sintomi d’ansia tipo panico, ma senza tutte le caratteristiche dell’attacco di panico vero e proprio.

Sintomi dell’agorafobia

L’agorafobia è in sintesi caratterizzata da sintomi quali:

  • Ansia legata al trovarsi in luoghi in cui sarebbe difficile allontanarsi, fuggire oppure chiedere e ricevere soccorso, nel caso in cui si verificasse un attacco di panico o una crisi d’ansia.
  • Le situazioni temute vengono evitate o affrontate con molta difficoltà oppure tramite il supporto di un accompagnatore.
  • L’ansia e l’evitamento limitano il funzionamento socio-lavorativo del soggetto e non derivano da altri tipi di paura o fobie. Come ad es., evitare gli ascensori per un claustrofobico, evitare le situazioni sociali per il fobico sociale, evitare stimoli che ricordino un evento traumatico nel disturbo post-traumatico da stress.
  • È possibile che vi siano anche sintomi quali aumento della frequenza cardiaca, eccessiva sudorazione, aumento della frequenza respiratoria, sensazione di vertigini, paura di perdere il controllo o di morire. Questo perché chi soffre di agorafobia avverte frequentemente i sintomi fisici e psicologici tipici dell’attacco di panico.
  • Si può riscontrare la presenza di rimuginio, ovvero il continuo pensare e ripensare agli eventi negativi che potrebbero capitare, con l’obiettivo di prevederli, prevenirli e prepararsi ad affrontarli.

Cura della agorafobia

Terapia cognitivo comportamentale

La terapia cognitivo-comportamentale standard per il trattamento dell’agorafobia, oltre agli interventi comportamentali basati sull’esposizione situazionale, prevede una psicoeducazione iniziale e interventi cognitivi.

All’interno della psicoterapia cognitivo-comportamentale, le tecniche di esposizione si sono dimostrate utili nel ridurre i comportamenti che alimentano l’ansia agorafobica.

Recentemente sono state implementate strategie volte a incrementare la capacità dei soggetti di stare in contatto con l’attivazione ansiosa senza temerne le conseguenze catastrofiche. Favorendo l’accettazione e diminuendo il bisogno di controllo dei sintomi d’ansia.

In certi casi è opportuno che lo psicoterapeuta lavori in un’ottica multidisciplinare con uno psichiatra per valutare anche l’aiuto farmacologico nel trattamento del disturbo.

Terapia farmacologica

In generale, comunque, la psicoterapia è essenziale per la cura dell’agorafobia.

Gli psicofarmaci, contenendo i sintomi ansiosi e gli episodi di panico, possono essere utili a breve termine, ma a lungo andare generano una forte dipendenza psicologica.

Molto spesso, inoltre, i sintomi dell’agorafobia si ripresentano alla loro sospensione.

La crisi di panico, o crisi d’ansia, è un episodio caratterizzato da un inizio improvviso, apparentemente provocato da alcunché, di una durata solitamente inferiore ai trenta minuti. I sintomi provati dalla persona, durante la crisi di panico, possono essere, tra gli altri: tachicardia, vertigini, extrasistole, sudorazione improvvisa, tremore, sensazione di soffocamento o asfissia, dolore o sensazione di peso al petto, nausea, paura di morire o di impazzire, brividi o vampate di calore.

Le persone che hanno provato la crisi d’ansia la descrivono come un esperienza terribile, spesso improvvisa ed inaspettata, almeno la prima volta: è comprensibile, quindi, che la paura di un nuovo attacco di panico diventi immediatamente forte e dominante, anche a causa del circolo vizioso tipico delle crisi di panico, che prevede che i sintomi fisici rinforzino quelli psicologici e viceversa.

E’ frequente, dunque, che un singola crisi d’ansia sfoci facilmente in un vero e proprio disturbo da attacchi di panico, più per “paura della paura” (meccanismo dell’ansia anticipatoria), che altro; la persona si trova, senza esserne consapevole, rapidamente invischiata in un tremendo meccanismo che spesso si porta dietro la cosiddetta “agorafobia“, ovvero l’ansia relativa all’essere in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile un aiuto, nel caso di una crisi di panico inaspettata.

Tutto ciò può portare anche a conseguenze fortemente invalidanti nella vita e nel funzionamento sociale e lavorativo della persona: può diventare così pressoché impossibile uscire di casa da soli, viaggiare in treno, in autobus o guidare l’auto, stare in mezzo alla folla o in coda, e così via, per paura di essere assaliti da una nuova crisi d’ansia.

L’evitamento di tutte le situazioni potenzialmente ansiogene (cioè in grado di scatenare la crisi di panico) diventa, di conseguenza, la modalità prevalente di affrontare il problema e la persona diviene schiava del suo disturbo, costringendo spesso tutti i familiari ed i conoscenti a non lasciarla mai sola e ad accompagnarla ovunque, con l’inevitabile senso di frustrazione che deriva dal fatto di essere costantemente dipendente dagli altri e che rischia in molti casi di condurre ad una depressione secondaria.

Le crisi di panico e il relativo disturbo di panico, con o senza agorafobia, possono essere efficacemente curati con la terapia cognitivo comportamentale, che si è dimostrata la forma d’intervento più efficace in tempi relativamente brevi.

La claustrofobia è sicuramente una delle fobie più diffuse. II claustrofobico è un soggetto affetto dalla paura eccessiva e irrazionale degli spazi stretti e chiusi come tunnel o ascensori. In situazioni simili, il soggetto farà di tutto per uscire all’aperto e godere pienamente di quel senso di libertà che solo il sentirsi “libero di respirare” gli può consentire.

Le paure correlate alla claustrofobia più frequenti sono il timore che il soffitto e il pavimento si chiudano, schiacciando le persone che si trovano nella stanza, il timore che il rifornimento d’aria si esaurisca e si muoia soffocati, il timore di svenire a causa della mancanza di aria e luce.

Il cinema, inteso ovviamente come locale, è un posto poco piacevole per chi soffre dei sintomi della claustrofobia: non vi sono finestre, le uscite non sempre sono controllabili, c’è molta gente in sala, e spesso non ci si può muovere con libertà per non disturbare le altre persone. Tutte queste sensazioni sgradevoli fanno spesso rinunciare alla frequentazione di queste sale.

Uno degli eventi più temuti da chi soffre di claustrofobia è quello di doversi sottoporre ad una risonanza magnetica, esame che prevede l’inserimento dell’intera persona in un tubo molto stretto e totalmente chiuso. Non sono rari, ovviamente, coloro che soffrono di questo disturbo in ascensore, e che di conseguenza lo evitano ove possibile.

Altro posto che mette in crisi gran parte di coloro che hanno problemi di claustrofobia è la metropolitana. Qui c’è proprio di tutto: oscurità, sotterranei, cunicoli, affollamento, odori sgradevoli, ventate improvvise d’aria e rumori stridenti dei treni.

Oltre alle classiche manovre di evitamento o di fuga di fronte alla situazione fobica, il claustrofobico tiene a bada l’ansia cercando delle giustificazioni apparentemente logiche che spieghino il motivo di una scelta che altri considerano un po’ strana o quanto meno poco usuale.

E così chi ha i sintomi della claustrofobia preferisce salire le scale, adducendo i più svariati motivi: l’opportunità di fare del moto per tenersi in forma, la necessità di raccogliere le idee prima di andare a parlare con qualcuno (l’ascensore è sempre troppo veloce!), e via dicendo.

La claustrofobia deve essere tenuta distinta dall’agorafobia, tipica di chi soffre o ha sofferto di attacchi di panico, che non si limita alla paura degli spazi chiusi, ma riguarda tutte le situazioni, anche all’aperto, da cui non vi sia una rapida via di fuga (es. un ponte, una lunga coda o l’autostrada).

Il disagio del claustrofobico è limitato alla sensazione di costrizione, mentre quello dell’agorafobico è legato alla lontananza da una via di fuga e di un punto di sicurezza.

La cura della claustrofobia è relativamente semplice, come di tutte le fobie, e passa necessariamente attraverso un percorso di terapia cognitivo comportamentale, che mira a intervenire sui sintomi e a produrre un cambiamento e una soluzione dei problemi piuttosto che ad analizzarne le presunte cause remote.

Fobia degli aghi, fobia degli uccelli, fobia dei cani, fobia degli insetti, fobia del vomito, fobia dei gatti, ecc.

La fobia è una paura marcata e persistente con caratteristiche peculiari:

  • è sproporzionata rispetto al reale pericolo dell’oggetto o della situazione;
  • non può essere controllata con spiegazioni razionali, dimostrazioni e ragionamenti;
  • supera la capacità di controllo volontario che il soggetto è in grado di mettere in atto;
  • produce l’evitamento sistematico della situazione-stimolo temuta;
  • permane per un periodo prolungato di tempo senza risolversi o attenuarsi;
  • comporta un certo grado di disadattamento per l’interessato;
  • l’individuo riconosce che la paura è irragionevole e che non è dovuta ad effettiva pericolosità dell’oggetto, attività o situazione temuta.

La fobia è dunque una paura estrema, irrazionale e sproporzionata per qualcosa che non rappresenta una reale minaccia e con cui gli altri si confrontano senza particolari tormenti psicologici. Chi ne soffre, infatti, è sopraffatto dal terrore all’idea di venire a contatto magari con un animale innocuo come un ragno o una lucertola, o di fronte alla prospettiva di compiere un’azione che lascia indifferenti la maggior parte delle persone (ad esempio, il claustrofobico non riesce a prendere l’ascensore o la metropolitana).

Le persone che soffrono di fobie si rendono perfettamente conto dell’irrazionalità della propria paura, ma non possono controllarla.
L’ansia da fobia, o “fobica”, si esprime con sintomi fisiologici come tachicardia, vertigini, extrasistole, disturbi gastrici e urinari, nausea, diarrea, senso di soffocamento, rossore, sudorazione eccessiva, tremito e spossatezza. Con la paura si sta male e si desidera una cosa sola: fuggire! Scappare, d’altra parte, è una strategia di emergenza.

La tendenza ad evitare tutte le situazioni o condizioni che possono essere associate alla paura, sebbene riduca sul momento gli effetti della fobia, in realtà costituisce una micidiale trappola: ogni evitamento, infatti, conferma la pericolosità della situazione evitata e prepara l’evitamento successivo (in termini tecnici si dice che ogni evitamento rinforza negativamente la paura).

Tale spirale di progressivi evitamenti produce l’incremento, non solo della sfiducia nelle proprie risorse, ma anche della reazione fobica della persona, al punto da interferire significativamente con la normale routine dell’individuo, con il funzionamento lavorativo o scolastico oppure con le attività o le relazioni sociali. Il disagio diviene così sempre più limitante.

Chi ha la fobia dell’aereo può trovarsi, ad esempio, a rinunciare a molte trasferte, e la cosa diventa imbarazzante se è necessario spostarsi per lavoro. Chi ha paura degli aghi e delle siringhe può rinunciare a controlli medici necessari o privarsi dell’esperienza di una gravidanza. Chi ha paura dei piccioni non attraversa le piazze e non può godersi un caffè seduto ai tavolini di un bar all’aperto e così via.

Tipi di fobie

Quando si parla di fobie ci si riferisce in genere a: fobia dei canifobia dei gattifobia dei ragnifobia degli spazi chiusifobia degli insettifobia dell’aereofobia del sanguefobia delle iniezioni, ecc.

Più precisamente, esistono le fobie generalizzate (agorafobia e fobia sociale), fortemente invalidanti, e le comuni fobie specifiche, generalmente ben gestite dai soggetti evitando gli stimoli temuti, che si classificano così:

  • Tipo animali. Fobia dei ragni (aracnofobia), fobia degli uccelli o fobia dei piccioni (ornitofobia), fobia degli insetti, fobia dei cani (cinofobia), fobia dei gatti (ailurofobia), fobia dei topi, ecc..
  • Tipo ambiente naturale. Fobia dei temporali (brontofobia), fobia delle altezze (acrofobia), fobia del buio (scotofobia), fobia dell’acqua (idrofobia), ecc..
  • Tipo sangue-iniezioni-ferite. Fobia del sangue (emofobia), fobia degli aghi, fobia delle siringhe, ecc.. In generale, se la paura viene provocata dalla vista di sangue o di una ferita o dal ricevere un’iniezione o altre procedure mediche invasive.
  • Tipo situazionale. Nei casi in cui la paura è provocata da una situazione specifica, come trasporti pubblici, tunnel, ponti, ascensori, volare (aviofobia), guidare, oppure luoghi chiusi (claustrofobia o agorafobia).
  • Altro tipo. Nel caso in cui la paura è scatenata da altri stimoli come: il timore o l’evitamento di situazioni che potrebbero portare a soffocare o contrarre una malattia (vedi anche disturbo ossessivo-compulsivo e ipocondria), ecc. Una forma particolare di fobia riguarda il proprio corpo o una parte di esso, che la persona vede come orrende, inguardabili, ripugnanti (dismorfofobia).

E’ importante chiarire che il tipo di fobia da cui si è affetti non ha alcun significato simbolico inconscio, come invece viene suggerito da alcuni psicoanalisti, e la paura specifica è legata unicamente ad esperienze di apprendimento errato involontario (non necessariamente ricordate dal soggetto), per cui l’organismo associa involontariamente pericolosità ad un oggetto o situazione oggettivamente non pericolosa.

Si tratta, in sostanza, di un processo di cosiddetto “condizionamento classico”. Tale condizionamento si mantiene inalterato nel tempo a causa dello spontaneo evitamento sistematico che i soggetti fobici mettono in atto rispetto alla situazione temuta.

Fobie cura

Il trattamento delle fobie è relativamente semplice, se non complicato da altri disturbi psicologici, e prevede primariamente un percorso di psicoterapia cognitivo comportamentale di breve durata (spesso entro i 3-4 mesi).

La cura delle fobie, dopo un periodo di valutazione del caso che si esaurisce in genere nell’arco del primo mese, passa necessariamente attraverso l’utilizzo delle tecniche di esposizione graduata agli stimoli temuti.

Il paziente viene avvicinato in modo molto progressivo agli stimoli che innescano la paura, partendo da quelli più lontani dall’oggetto o situazione centrale (es. l’immagine di una siringa nuova per un fobico degli aghi o una scatoletta di mangime per un fobico dei cani). Il contatto con tali stimoli viene mantenuto finché inevitabilmente non subentra l’abitudine ed essi non generano più ansia. Solo a tal punto si procede all’esposizione ad uno stimolo leggermente più ansiogeno, in una gerarchia accuratamente preparata in seduta a priori. In questo modo, nell’arco di poche settimane, si riesce a salire sulla gerarchia fino ad arrivare a esposizioni molto più forti, senza suscitare mai troppa ansia nel soggetto e ripetendo ogni esercizio finché non è diventato “neutro”.

Tale procedura può spaventare molto le persone che soffrono di una fobia, poiché implica affrontare vis a vis l’oggetto o situazione temuta, ma se ben effettuata, con l’aiuto di un terapeuta esperto, è assolutamente applicabile e garantisce un successo nel 90-95% dei casi nella cura della fobia.

In alcuni casi, per rendere più efficace il metodo, si insegnano al paziente strategie di rilassamento fisiologico e lo si invita ad utilizzarle poco prima di esporsi agli stimoli ansiogeni, in modo da facilitare la creazione di un nuovo condizionamento, in cui l’organismo associ rilassamento, anziché ansia, a tali stimoli.

Nel caso di fobie invalidanti è molto diffuso l’uso di farmaci ansiolitici “al bisogno”, per gestire l’ansia dovendo fronteggiare necessariamente certe situazioni temute (es. prima di prendere l’aereo). Tale strategia consente di sopravvivere all’evento, ma non ottiene altro che l’effetto di rafforzare la fobia. Più utili, eventualmente, anche se non paragonabili e indubbiamente meno efficaci delle tecniche cognitivo comportamentali, possono essere delle adeguate e prolungate terapie a base di antidepressivi SSRI, sotto attenta valutazione medica.

La caratteristica principale della fobia sociale è la paura di agire, di fronte agli altri, in modo imbarazzante o umiliante e di ricevere giudizi negativi.

L’ansia sociale può portare chi ne soffre ad evitare la maggior parte delle situazioni sociali, per paura di comportarsi in modo “sbagliato” e di venir mal giudicati.

La fobia sociale è un disturbo alquanto diffuso tra la popolazione. Secondo alcuni studi, la percentuale di persone che ne soffre va dal 3% al 13%. Sempre secondo questi studi sembra che l’ansia sociale caratterizzi più le donne che gli uomini.

 

Solitamente le situazioni più temute da chi soffre di fobia sociale (o ansia sociale) sono quelle che implicano la necessità di dover fare qualcosa davanti ad altre persone, come ad esempio esporre una relazione o anche solo firmare, telefonare o mangiare; a volte può creare ansia sociale semplicemente entrare in una sala dove ci sono persone già sedute, oppure parlare con un proprio amico.

Caratteristiche della fobia sociale

Le persone che soffrono di fobia sociale temono di apparire ansiose e di mostrarne i “segni”, cioè temono di diventare rosse in volto, di tremare, di balbettare, di sudare, di avere batticuore, oppure di rimanere in silenzio senza riuscire a parlare con gli altri, senza avere la battuta “pronta”.

Infine, accade spesso che chi sperimenta ansia sociale, quando non si trova in una situazione temuta, riconosca come irragionevole la propria paura e tenda, conseguentemente, ad auto accusarsi e rimproverarsi per non riuscire a fare cose che tutti fanno.

 

La fobia sociale, se non trattata, tende a rimanere stabile e cronica, e spesso può dare luogo ad altri disturbi come la depressione.

Tale disturbo sembra esordire normalmente in età adolescenziale o nella prima età adulta.

Solitamente si distinguono due tipi di Fobia Sociale:

  • semplice, quando la persona sperimenta ansia sociale solo in una o poche tipologie di situazioni (per esempio è incapace di parlare in pubblico, ma non ha problemi in altre situazioni sociali come partecipare ad una festa o parlare con uno sconosciuto);
  • generalizzata, quando invece la persona teme pressoché tutte le situazioni sociali. Nelle forme più gravi e pervasive, si tende a preferire la diagnosi di Disturbo Evitante di Personalità.

Fobia sociale sintomi

La caratteristica principale della fobia sociale è data dalla paura di trovarsi in situazioni sociali o di essere osservati mentre si sta facendo qualcosa, come ad esempio parlare in pubblico o, più semplicemente, parlare con una persona, scrivere, mangiare o telefonare.

Nelle situazioni sociali temute, gli individui con ansia sociale sono preoccupati di apparire imbarazzati e, soprattutto, sono timorosi che gli altri li giudichino ansiosi, deboli, “pazzi”, o stupidi.

Sono sintomi della fobia sociale, quindi, temere di parlare in pubblico per la preoccupazione di dimenticare improvvisamente quello che si deve dire o per la paura che gli altri notino il tremore delle mani o della voce, oppure l’ansia estrema quando si conversa con gli altri per la paura di apparire poco chiari.

sintomi della fobia sociale (legati all’ansia) maggiormente percepiti sono: palpitazioni (79%), tremori (75%), sudori (74%), tensione muscolare (64%), nausea (63%), secchezza delle fauci (61%), vampate di calore (57%), arrossamenti (51%), mal di testa (46%).

Evitamenti conseguenti

sintomi della fobia sociale possono condurre il soggetto ad evitare di mangiare, bere o scrivere in pubblico, per timore di rimanere imbarazzato dal fatto che gli altri possano vedere le sue mani tremare.

Ovviamente, queste persone cercano in tutti i modi evitare tali situazioni o, se vi sono costrette, sopportano tali situazioni con un carico di disagio molto elevato.

Ansia anticipatoria

Un’altra caratteristica tipica di questo disturbo è una marcata ansia sociale che precede le situazioni temute e che prende il nome di ansia anticipatoria. Così, già prima di affrontare una situazione sociale (per esempio andare ad una festa o andare ad una riunione di lavoro), le persone cominciano a preoccuparsi per tale evento.

Come spesso accade nei disturbi fobici, le persone che provano tale disturbo riconoscono, quando sono lontane dalle situazioni temute, che le loro paure solo assolutamente irragionevoli, eccessive e sciocche. Arrivano così a colpevolizzarsi ulteriormente per i sintomi della fobia sociale stessa e per le proprie condotte evitanti.

Fobia sociale cura

Come per gli altri disturbi d’ansia, la psicoterapia cognitivo comportamentale si è dimostrata generalmente molto efficace nella cura della fobia sociale. Alcuni farmaci possono talvolta essere d’aiuto.

Psicoterapia

La psicoterapia cognitivo comportamentale è centrata sul “qui ed ora”, sul trattamento diretto del sintomo. Punta da un lato a modificare i pensieri disfunzionali, dall’altro a offrire alla persona migliori capacità ed abilità nel affrontare le situazioni temute.

Le convinzioni disfunzionali o irrazionali sono pensieri che le persone fanno circa gli eventi, nei quali si trovano coinvolte e che derivano, a loro volta, da schemi cognitivi rigidi e poco adattivi. Come ad esempio la convinzione che mostrare ansia sia un segno di debolezza oppure la convinzione di essere sempre attentamente osservati da parte degli altri.

Tali pensieri entrano, per così dire, in funzione solo quando una persona deve affrontare una situazione sociale. Cioè deve esporsi ad un possibile giudizio degli altri, facendo così scattare l’ansia e la conseguente sensazione di perdere il controllo.

La cura della fobia sociale, da una parte, mira a modificare tali assunti durante il lavoro psicoterapico, dall’altra cerca di insegnare abilità per gestire al meglio le situazioni sociali.

Tali abilità prevedono, solitamente, sia tecniche (come i training di rilassamento) per la gestione dell’ansia, sia tecniche per la gestione dell’interazione verbale.

La terapia cognitivo comportamentale per la cura della fobia sociale si può condurre ottimamente in sedute individuali. Ciò non toglie che, quando sia possibile, il trattamento di gruppo presenti notevoli vantaggi, a cominciare dal fatto ovvio di essere già in una situazione sociale.

Terapia farmacologica

La cura farmacologica della fobia sociale, per quanto generalmente poco efficace, si basa fondamentalmente su due classi di farmaci: benzodiazepine e antidepressivi.

La prescrizione di sole benzodiazepine raramente è risolutiva. Nel caso dell’ansia sociale, si sono comunque rivelate di una certa efficacia sia l’alprazolam che il clonazepam.

Nonostante questo, l’utilizzo di queste molecole è sempre da valutare con attenzione per gli effetti di dipendenza e di abuso che si possono sviluppare. Nonché per le possibili difficoltà (come per esempio lo sviluppo di un’ansia “da rimbalzo”) che si possono generare alla loro sospensione.

Tra gli antidepressivi triciclici, solitamente la molecola più usata in questa classe è l’imipramina. L’utilizzo di questi farmaci nella cura della fobia sociale, tuttavia, non sembra che sia particolarmente promettente.

Tra gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), per il trattamento dell’ansia sociale sono stati utilizzati: la fluvoxamina, la fluoxetina, la sertralina e la paroxetina.

Chi più chi meno, tutti hanno mostrato una certa efficacia nella remissione sintomatologica, anche se va sottolineato che i risultati non sempre si mantengono alla sospensione del farmaco. Se non altro, queste molecole presentano un minor livello di effetti collaterali rispetto alle altre classi di farmaci.

La persona con Disturbo d’Ansia Generalizzato sperimenta un costante stato d’ansia, spesso concernente piccole cose e caratterizzato da attesa apprensiva con anticipazione pessimistica di eventi negativi o catastrofici di ogni genere a natura.

Oltre a questa eccessiva e incontrollabile preoccupazione per qualsiasi circostanza, l’ansia generalizzata si manifesta anche con sintomi somatici, quali sudorazione, vampate, batticuore, extrasistole, nausea, diarrea, bocca secca, nodo alla gola, ecc..

Talvolta vengono lamentati disturbi muscolo-scheletrici, come tensione (soprattutto alla nuca e al collo), tic, tremori, affaticabilità. La tensione muscolare tipica del disturbo d’ansia generalizzato può inoltre esprimersi con manifestazioni algiche diffuse o cefalee.

I soggetti con questo disturbo sono spesso irritabili, irascibili, incapaci di rilassarsi e persino di mantenere la concentrazione; sono descritti come persone spesso irrequiete, distratte e impazienti.

Frequentemente soffrono di insonnia e rimuginano sull’eventualità di disgrazie incombenti, per sé ed altri.

I bambini con Disturbo d’Ansia Generalizzato tendono a preoccuparsi troppo delle proprie prestazioni e, nel corso del disturbo, il nucleo della preoccupazione può spostarsi da un oggetto ad un altro.

Il disturbo – tendenzialmente cronico e di lunga durata – può facilmente essere accompagnato da depressione e portare ad un abuso di alcol, caffeina, stimolanti ed altre sostanze.

Per diagnosticare un Disturbo d’Ansia Generalizzato, la caratteristica essenziale del quadro – la presenza di preoccupazioni eccessive inerenti la maggior parte delle comuni attività del soggetto – deve occupare la maggior parte del tempo. La persona non è capace di controllare tale attesa apprensiva.

Per la diagnosi sono inoltre necessari almeno tre dei seguenti sintomi:

  • Irrequietezza o sentirsi “con i nervi a fior di pelle”
  • Affaticabilità
  • Irritabilità
  • Difficoltà di concentrazione o vuoti di memoria
  • Tensione muscolare
  • Sonno irrequieto, insoddisfacente o difficoltà ad addormentarsi.

Le psicoterapie ad indirizzo cognitivo comportamentale (tra le più efficaci e caldamente raccomandabili) affrontano l’ansia generalizzata in modi diversi.

Si possono affrontare in modo separato le varie situazioni in cui l’ansia si presenta tramite tecniche comportamentali e di ristrutturazione cognitiva.

Alcuni utilizzano tecniche di rilassamento per interrompere il processo di auto alimentazione dell’ansia e abbassare lo stato di tensione generale.

Infine, si possono scegliere interventi mirati al potenziamento delle capacità assertive.

Tra i trattamenti farmacologici più diffusi per il disturbo d’ansia generalizzato si trovano sicuramente quelli a base di ansiolitici. Le benzodiazepine costituiscono, infatti, i farmaci di più largo impiego; tuttavia, il buspirone è sicuramente un composto più recente e di pari efficacia.

Tra gli antidepressivi con buona azione ansiolitica vengono utilizzati anche la Sertralina e la Paroxetina.

Secondo il DSM-IV-TR (APA, 2000), il Disturbo Post traumatico da Stress  si sviluppa in seguito all’esposizione ad un evento stressante e traumatico che la persona ha vissuto direttamente, o a cui ha assistito, e che ha implicato morte, o minacce di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri. La risposta della persona all’evento comporta paura intensa, senso di impotenza e/o orrore.

sintomi del Disturbo Post traumatico da Stress possono essere raggruppati in tre categorie principali:

  1. il continuo rivivere l’evento traumatico: l’evento viene rivissuto persistentemente dall’individuo attraverso immagini, pensieri, percezioni, incubi notturni;
  2. l’evitamento persistente degli stimoli associati con l’evento o attenuazione della reattività generale: la persona cerca di evitare di pensare al trauma o di essere esposta a stimoli che possano riportarglielo alla mente. L’ottundimento della reattività generale si manifesta nel diminuito interesse per gli altri, in un senso di distacco e di estraneità;
  3. sintomi di uno stato di iperattivazione persistente come difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, difficoltà a concentrarsi, l’ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme.

I sintomi del disturbo post traumatico da stress possono insorgere immediatamente dopo il trauma o dopo mesi. Il quadro dei sintomi può essere inoltre acuto, se la durata dei sintomi è minore di tre mesi, cronico se ha una durata maggiore, o ad esordio tardivo, se sono trascorsi almeno 6 mesi tra l’evento e l’esordio dei sintomi.

Gli eventi traumatici vissuti direttamente in grado di scatenare un disturbo post traumatico da stress possono includere tutte quelle situazioni in cui la persona si è sentita in grave pericolo come i combattimenti militari, aggressione personale violenta, rapimento, attacco terroristico, tortura, incarcerazione come prigioniero di guerra o in un campo di concentramento, disastri naturali o provocati, gravi incidenti automobilistici, stupri, ecc..

Gli eventi vissuti in qualità di testimoni includono l’osservare situazioni in cui un’altra persona viene ferita gravemente o assistere alla morte innaturale di un’altra persona dovuta ad assalto violento, incidente, guerra o disastro, o il trovarsi di fronte inaspettatamente a un cadavere.

Anche il solo fatto di essere venuti a conoscenza che un membro della famiglia o un amico stretto è stato aggredito, ha avuto un incidente o è morto (soprattutto se la morte è improvvisa e inaspettata) può far insorgere il disturbo post traumatico da stress.

Tale disturbo può risultare particolarmente grave e prolungato quando l’evento stressante è ideato dall’uomo (per es., tortura, rapimento). La probabilità di svilupparlo può aumentare proporzionalmente all’intensità e con la prossimità fisica al fattore stressante.

Il trattamento del disturbo post traumatico da stress richiede necessariamente un intervento psicoterapeutico cognitivo-comportamentale, che faciliti l’elaborazione del trauma fino alla scomparsa dei sintomi d’ansia.

Per l’elaborazione del trauma si è rivelato inoltre particolarmente utile l’EMDR, tecnica specifica di alta efficacia dimostrata, al punto che il nostro Istituto offre uno specifico servizio in tal senso, offerto da terapeuti specificatamente formati.

La caratteristica principale del disturbo d’ansia di separazione è l’ansia eccessiva manifestata dal bambino quando si deve separare da qualcuno della famiglia a cui è profondamente legato (di solito la figura materna).

Tale stato di ansia deve essere inadeguato al livello di sviluppo e comparire per la prima volta nei primi sei anni di vita.

I soggetti affetti da ansia da separazione hanno di solito un comportamento normale finché sono in presenza del genitore o della figura primaria di attaccamento, ma manifestano intensa ansia nel momento in cui vengono da essa separati.

Inoltre tendono ad esprimere paure irrealistiche e persistenti riguardo al verificarsi di eventi catastrofici che li possano separare per sempre dai genitori.

I bambini con disturbo d’ansia di separazione temono di essere uccisi o rapiti o di incorrere in qualche grave incidente o malattia se lontani dai genitori, oppure che ai genitori capiti qualcosa di brutto quando sono lontani.

Di solito evitano di rimanere soli anche per pochi minuti. Possono manifestare un’intensa riluttanza ad andare a scuola, in quanto ciò comporta un distacco dalla madre o, più in generale, dalla figura primaria di attaccamento.

I bambini con ansia da separazione spesso hanno difficoltà all’ora di andare a letto e possono insistere perché qualcuno stia con loro finché non si addormentano. Quando si trovano ad essere separati dai genitori possono manifestare sintomi fisici quali mal di testa, vomito, mal di stomaco, dolori addominali.

Lontani da casa, tendono ad essere tristi, chiedono di telefonare ai genitori e di essere riportati a casa.

Il disturbo d’ansia di separazione talvolta può svilupparsi dopo qualche evento di vita stressante (per esempio, la morte di un parente o di un animale domestico, una malattia del bambino o di un parente, un cambiamento di scuola, un trasloco in un’altra zona, o un’immigrazione).

L’anomalia deve durare almeno 4 settimane, iniziare prima dei 18 anni e causare disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, scolastica (lavorativa), o di altre aree importanti del funzionamento.

I bambini affetti da ansia da separazione sono spesso descritti come richiedenti, intrusivi, e bisognosi di attenzione costante. Le eccessive richieste del bambino spesso divengono una fonte di frustrazione per i genitori, e portano a risentimento e a conflittualità familiare.

Spesso, se non trattati, questi bambini possono sviluppare in fase adolescenziale attacchi di panico, agorafobia o un vero e proprio disturbo dipendente di personalità. Anche le relazioni affettive da adulto possono essere caratterizzate da forme di dipendenza affettiva.

Il disturbo d’ansia di separazione può essere efficacemente affrontato con un trattamento psicoterapeutico, di tipo cognitivo comportamentale, spesso anche di breve durata ma che deve necessariamente coinvolgere anche i familiari.

Solitamente non sono indicati gli psicofarmaci, tantomeno gli ansiolitici, che possono indurre dipendenza e assuefazione.

Le fobie hanno nomi propri e non dobbiamo commettere la leggerezza di confonderle con paure, timidezze, insicurezze e stress che fanno parte della vita comune e che, anzi, rendono tutti noi più “umani”, tratteggiando le peculiarità individuali.

Per fobia, in generale, intendiamo un “timore accusato e persistente che è eccessivo e irrazionale, scatenato dalla presenza o anticipazione di un oggetto o situazione specifica”; in altre parole, un’inspiegabile, estrema, sproporzionata e persistente paura nei confronti di determinate situazioni, oggetti, attività, creature viventi (animali o umane) o anche il solo pensiero di essi; pur non rappresentando di per sé una reale minaccia, l’oggetto della fobia può scatenare veri e propri comportamenti irruenti e disfunzionali da parte di chi ne soffre, che tende così a lasciarsi sopraffare dal terrore senza un’apparente giustificazione.

Probabilmente chiunque di noi si trovi a leggere questo articolo penserà che sia normale provare timore nel vedersi aggredito da qualcuno con un coltello o un altro oggetto acuminato, o che si emozioni di fronte a scene violente in cui siano utilizzati oggetti taglienti; così come è abbastanza frequente e “normale” avere un minimo timore nei confronti di oggetti come siringhe, bisturi o altri strumenti che associamo a situazioni in cui la nostra salute o la nostra vita siano in qualche modo da considerarsi in pericolo.

Tutto questo, di per sé, può essere considerato come una reazione fisiologica dell’organismo davanti a una situazione spaventosa, di minaccia o di pericolo.

Ma esiste una fobia specifica che rende impensabile poter anche solo immaginare di vivere una delle situazioni sopra citate; stiamo parlando della belonefobia (anche conosciuta come tripanofobia), altrimenti detta paura dell’ago, che viene definita come una paura persistente, anormale e ingiustificata di aghi e spilli e, nei casi più importanti, anche di forbici, coltelli e altri oggetti acuminati o taglienti.

I sintomi di questi pazienti sono nella maggior parte dei casi rappresentati da forte ansia e possono includere svenimenti, palpitazioni, tachicardia, sudorazione aumentata (soprattutto ai palmi delle mani), capogiri, pallore, nausea, sensazione di vertigine nel vedere l’ago o altri oggetti temuti.

A questa fobia possiamo vedere associate, come conseguenze dirette, anche altre problematiche, ovvero l’emofobia (paura del sangue) e la traumatofobia (paura delle ferite).

L’abbinamento di queste fobie rende davvero complicato gestire le proprie reazioni: la paura può divenire così forte da terrorizzare la persona fino a farle rifiutare addirittura interventi medici necessari. Le conseguenze e le ricadute sullo stato di salute possono quindi essere gravissime.

Le ricadute negative possono interagire anche sulla salute degli altri, infatti la belonefobia pare essere, ad oggi, la causa più citata dai non donatori (60%) come deterrente alla donazione di sangue o suoi derivati.

Sembra che si tratti di un disturbo abbastanza comune, poiché pare che circa il 10% della popolazione mondiale ne soffra, anche se non è meglio specificato in che misura. Si pensa che questa fobia possa avere una causa genetica, poiché molti di coloro che ne soffrono hanno un parente con la stessa paura, ma non è stato fino ad oggi dimostrato in alcun modo. Pare inoltre che gli uomini ne siano più colpiti delle donne, nonostante queste ultime siano statisticamente più fobiche degli uomini.

Chi soffre di belonefobia, può presentare forti stati di ansia in situazioni in cui gli oggetti appena citati non rappresentino una vera e propria minaccia concreta. Ad esempio, per un belonefobico, doversi recare in un laboratorio di analisi per farsi un esame del sangue può rappresentare uno stimolo ansiogeno estremamente forte; oppure vedere che qualcuno manipola un coltello mentre cucina, può portarlo ad avere una vera e propria crisi di ansia.

In casi estremi, per tentare di far fronte alla propria paura, le persone con belonefobia evitano di maneggiare gli oggetti tanto temuti o addirittura li eliminano dagli ambienti che frequentano; cercano di non trovarsi in situazioni in cui il rischio di entrare in contatto (anche solo visivo) con tali oggetti è molto alto; evitano analisi, visite mediche, visite dentistiche e quant’altro, solo per la paura di poter avere a che fare con aghi o oggetti acuminati e taglienti.

Nei casi più gravi, così come per tutte le altre tipologie di fobie specifiche, le persone belonefobiche finiscono per evitare sempre di più e sempre in maggior misura qualunque ambiente, contesto o persona, per il timore che questi possano portarle ad entrare involontariamente in contatto più o meno diretto con l’oggetto della loro paura; questo può portare queste persone a isolarsi socialmente e affettivamente, limitando il più possibile i contatti con il mondo esterno e rendendo quantomeno difficile lo svolgersi normale della loro vita.

Benché pare che questa fobia sia solitamente presente fin dalla gioventù, anche se è possibile che la persona riferisca di avere attraversato diverse fasi di gravità del problema, un momento specifico, per le donne, in cui questo può acuirsi improvvisamente e diventare disfunzionale per la loro salute, può essere rappresentato dalla gravidanza.

In questi casi, le donne manifestano grandi difficoltà al momento di affrontare i controlli ematici (che ormai sono previsti mensilmente dal sistema sanitario nazionale), nel caso di possibili esami invasivi prenatali (come amniocentesi o villocentesi) e, infine, in caso di necessità di essere sottoposte ad anestesia locale per il parto.

Altre situazioni in cui il problema può creare difficoltà importanti per l’individuo che ne soffre e preoccupazione per chi gli sta intorno, possono essere interventi chirurgici (anche se programmati e non di urgenza), incidenti stradali, semplici vaccini, cure che prevedano l’uso di siringhe o flebo, prelievi glicemici nel caso di check-up per il diabete, ecc.

Come sottolineato in un’intervista dal Dott. Ottavio Perini, presidente comunale di uno dei maggiori centri di raccolta sangue nazionali: “Nella nostra lunga esperienza lo vediamo tutti i giorni: se qualcuno ha paura dell’ago non viene a donare. Gli accorgimenti e le attenzioni nei confronti delle donatrici e dei donatori che temono la vista del sangue possono essere moltissime e abbiamo strategie specifiche dall’effetto tranquillizzante. Coprire la sacca ma anche fare chiacchierare i donatori sono la prima accortezza nei confronti di donatori che vivono la vista del sangue con forte stress. Ma la paura dell’ago va affrontata prima di entrare in sala prelievi. È su questo fronte che dobbiamo concentrare gli sforzi.”

Proprio nell’ottica di agire prima di aver bisogno di un prelievo, la psicoterapia Cognitivo-Comportamentale può rivestire un ruolo centrale, aiutando la persona a riconoscere subito il problema, ottenendo così una diagnosi quanto più precocemente possibile, e a superarlo nell’arco di poche settimane grazie all’utilizzo di tecniche specifiche.

Infatti, proprio perché questa fobia rischia di mettere in pericolo la salute e pregiudicare la possibilità di effettuare analisi cliniche, trovare la soluzione più adatta alle proprie esigenze è il primo passo conseguente alla diagnosi, e in questo degli specialisti adeguatamente preparati in materia possono giocare un ruolo decisivo.

Cos’è la filofobia

Ogni essere umano ha paura di qualcosa, qualcuno ha anche paura di amare!

Talvolta ciò che la mente umana percepisce come una minaccia è l’imprevedibile, l’ignoto, perché ciò che non si conosce è visto come incontrollabile.

Ma talvolta ad incutere paura potrebbe essere uno scenario che all’apparenza non possiede nulla di minaccioso, e in questi casi il soggetto ha un grossa difficoltà a spiegarsene le motivazioni.

Così, molti soggetti sperimentano una filofobia, ovvero paura di amarepaura di innamorarsi o paura di instaurare una relazione alla cui base ci sia un vero innamoramento.

Tutti noi siamo soliti considerare l’amore come un qualcosa di positivo, qualcosa che dà un beneficio alla persona e non una cosa da evitare.

Eppure diverse ricerche evidenziano che molti individui dichiarano di aver paura dell’innamoramento e paura di amare davvero un’altra persona, anche se di fatto dall’altra parte ricercano vicinanza, affetto e stabilità come tutti.

Infatti, sono molti i soggetti che quando si innamorano esperiscono emozioni molto intense che percepiscono come incontrollabili e pericolose, perché prendono il sopravvento sul proprio modo abituale di fare e di pensare.

Tutti siamo alla ricerca di un amore, ma a volte vivere una relazione seria spaventa; talvolta contro la voglia di lasciarsi andare ci sono tante resistenze mentali, che bloccano e non permettono di vivere serenamente una storia d’amore.

Si parla dunque di filofobia o paura di innamorarsi mentre altri parlano di anoressia sentimentale, quando non si riesce ad amare davvero per il timore di soffrire (o soffrire ancora), ipercontrollando i propri sentimenti e esasperando il proprio bisogno di indipendenza e invulnerabilità.

Il filofobico può arrivare a manifestare veri e propri sintomi di ansia e una paura sconsiderata e irragionevole, che lo spinge a evitare tutte quelle situazioni, o persone, che potrebbero portarlo ad un coinvolgimento sentimentale.

In alcuni casi, la paura di amare non si manifesta solo con difficoltà nell’approcciarsi all’altra persona, vista come un pericolo alla propria stabilità emotiva, ma può portare a sperimentare dei veri e propri attacchi di panico.

Cause della filofobia

Sono tante le sfaccettature della stessa dinamica, che impedisce di stare serenamente in coppia e costruire un futuro insieme ad un’altra persona, in quanto la paura di amare porta ad atteggiamenti che fanno sentire il partner non amato e poco importante.

Ci può essere un timore di perdere il controllo della situazione, tipico delle persone molto razionali o di quelle che hanno sofferto per amore. Si tratta di una sorta di reazione di allerta che si attiva quando si capisce che la storia si fa più seria e si inizia a sentire di essere dipendenti emotivamente dall’altro.

Queste sensazioni all’inizio di una relazione (ma solo all’inizio) sono normali e anche entro certi limiti funzionali, perché l’innamoramento comporta necessariamente una perdita di controllo e un affidarsi all’altro.

Quando però si è abituati a controllare sempre tutto, per carattere o per difesa da una potenziale sofferenza, non si è disposti a vivere in funzione dell’altro e quindi si ha talmente paura di amare da allontanarsi (e allontanare l’altro) quando più ci sarebbe da avvicinarsi e lasciarsi andare.

L’innamoramento è considerato una debolezza, qualcosa che ci rende vulnerabili e dipendenti, e l’altro diventa un potenziale pericolo. Succede proprio l’opposto di quello che dovrebbe accadere in amore: invece che sentirsi sicuri vicino al partner, ci si sente fragili.

Quando i sentimenti forti sono intesi come fonte di insicurezza e pericolo, la filofobia prende il sopravvento e non ci si lascia più andare.

Quando, invece, l’amore passato è stato fonte di sofferenza, si teme di ritrovarsi nella stessa sensazione, di essere abbandonati, feriti, traditi o umiliati, e si cerca di razionalizzare e controllare, per quanto possibile, il proprio coinvolgimento. Questo con l’illusione che sia proprio questo atteggiamento di chiusura a renderci immuni dalle future sofferenze d’amore.

Inoltre, talvolta si ha paura di impegnarsi perché la paura d’amare nasconde una paura della perdita di libertà. Spesso viviamo l’amore come un vincolo o un limite, che comporta impegno e responsabilità. Amare diventa un obbligo, una costrizione all’interno di una relazione, dove adattare la propria vita alle esigenze e alle aspettative dell’altro è vissuto come uno sforzo anziché un piacere e un arricchimento quale dovrebbe essere.

Gli effetti della filofobia sul partner e sulla relazione

La persona che soffre di filofobia, talvolta, pur essendo consapevole dell’infondatezza della propria paura, non riesce a fare a meno di fuggire dalle relazioni, combattuta, da un lato, dal desiderio di lasciarsi andare ai propri sentimenti e a quelli del partner, e spinta, dall’altro, a scappare, per sedare l’ansia e il forte stato di tensione che finiscono col prendere il sopravvento.

Anche quando riesce a stare in una relazione, alterna momenti di vicinanza ad altri di distacco, sta sempre sulle difensive, un passo indietro; spesso ciò genera anche difficoltà sessuali, soprattutto per le donne, il cui piacere passa attraverso il lasciarsi andare, la perdita di controllo, e quindi implica la fiducia totale nel partner.

Capita inoltre che queste persone che hanno molta paura di amare scelgano deliberatamente di intraprendere storie d’amore difficili e impossibili (partner sposati/fidanzati, a grande distanza, addirittura solo “telematici”, ecc.), stando bene attente a cogliere ogni piccolo segnale che faccia loro capire quando è il momento giusto per prendere le distanze e mettersi al riparo.

Il più delle volte, però, questa attenzione estrema ai segnali di minaccia abbandonica, sulla base della loro paura e sfiducia verso l’altro, le porta ad investire limitatamente sulla relazione, ad allontanarsi per prime e a sminuire l’importanza del partner, ferendolo ripetutamente e facendolo sentire poco amato, con l’alto rischio che questo si allontani davvero per sana auto-protezione.

Come affrontare e superare la filofobia

Innamorarsi è senza dubbio un’esperienza che mette in gioco aspetti profondi della nostra personalità. Condividere la propria vita con la persona che si “sceglie” di amare, infatti, vuol dire mostrare all’altro aspetti intimi del proprio sé, rendersi debole e vulnerabile.

Il rapporto di coppia rappresenta un delicato gioco di forze, all’interno del quale è necessario, per trovare un equilibrio funzionale, da una parte adattarsi e modificare alcuni comportamenti o atteggiamenti propri per sentirsi più vicini al partner e donargli amore, e dall’altra riuscire a rimanere se stessi, mantenendo i propri spazi di intimità e autonomia.

Se l’amore è sinonimo di coppia, e questa di limiti, rinunce e responsabilità, nonché di minacce alla nostra stabilità emotiva e alla nostra indipendenza, è normale avere paura di amare. Per prima cosa, però, bisogna ricordare che la relazione di coppia non è un obbligo, ma una scelta.

Abbiamo paura di rimanere delusi dagli altri ma il problema della delusione sono le nostre pretese. Si ha paura di amare perché si teme di non ricevere quello che desideriamo.

Se ci si continua a illudere che la nostra felicità dipenda da cosa fanno gli altri, avremo sempre troppe pretese verso l’esterno, con alta possibilità di restare delusi e soffrire. In questo modo è normale, inevitabile, avere paura di amare.

Se partiamo dall’idea che sia negli altri la capacità di farci stare male, è inevitabile tenerli lontani quando i loro comportamenti non sono come vorremmo.

La paura di amare impedisce di dare amore, ma anche di riceverlo a lungo termine. Paradossalmente è amare il solo rimedio alla paura d’amare. Diventa un circolo vizioso, perché più si ha paura di amare, meno si ama e più si soffre, pensando però che la causa di tutto sia fuori di noi perché gli altri non ci amano.

Così nascono le pretese, il desiderio che gli altri siano come vorremmo, perché si pensa che se così fosse, staremmo bene. Il problema è che la paura di amare porta a pretendere amore (per sentirsi al sicuro) senza darne e senza darsi, col risultato che l’altro, qualora ci amasse, col tempo smetterà di farlo.

E’ molto importante diventare pienamente consapevoli dei propri vissuti emotivi, rendersi conto di quanta paura abbiamo di abbandonarsi all’amore, ma pretendendolo.

Riconoscere questa paura non è facile, perché può mascherarsi dietro mille “giustificazioni” quali ad esempio malessere, disinteresse per le relazioni serie, difficoltà pratiche e logistiche, stanchezza, periodi difficili, ecc.

Nel caso in cui, il disagio generato dalla paura d’amare prenda il sopravvento è consigliabile ricercare il supporto di uno psicoterapeuta, al fine di trovare, all’interno di un contesto d’ascolto adeguato, uno spazio utile a superare i timori relazionali e imparare a lasciarsi andare, a dare per il piacere di dare e di amare senza pretendere di ricevere.

Chiedere aiuto è il primo passo per iniziare ad affrontare la paura d’amare, poiché attraverso la psicoterapia si sperimenta una relazione alla cui base c’è la fiducia e la possibilità di affidarsi; capire l’origine delle ferite e imparare a risanarle può permetterci di riscoprire quanto può esser positivo per viver meglio, aprirsi (o riaprirsi) alle relazioni affettive, concedendosi il lusso di rischiare di essere felici.

Sebbene nessuno trovi divertente sentirsi male fisicamente, l’influenza o qualunque altra condizione che determini nausea e potenziale vomito (es. gravidanza) creano particolari difficoltà agli individui che soffrono della cosiddetta “fobia del vomito” o emetofobia.

L’emetofobia è la paura eccessiva e ingiustificata di vomitare.

Sebbene possa sembrare una fobia semplice, questa può anche costituire un sintomo di ansia sociale o di agorafobia.

Talvolta emerge nell’infanzia e, se non trattata, può trasformarsi in un problema cronico.

C’è anche la possibilità che si sviluppi in età adulta, talvolta dopo un’esperienza negativa legata a un problema di salute (ad esempio, dopo aver avuto un intossicazione alimentare o dopo aver avuto un episodio di vomito grave e incontrollabile).

Emetofobia nei bambini e negli adolescenti

Le conseguenze associate alla paura di vomitare possono essere estreme.

Nei bambini la paura di vomitare può comportare il rifiuto di andare a scuola e l’evitamento di altri luoghi pubblici.

Chi teme di poter avere la nausea o di vomitare, infatti, può evitare feste di compleanno, attività sportive o appuntamenti, e anche pranzi o cene nei ristoranti. Perdersi queste attività può inficiare le relazioni e avere un impatto negativo sullo sviluppo sociale.

Anche nel caso non si sviluppino problemi sociali persistenti, il bambino con fobia del vomito proverà in ogni caso molta tristezza, ansia e angoscia.

Fobia del vomito negli adulti

Anche gli adulti con paura di vomitare possono essere significativamente invalidati dai loro sintomi.

Possono fare più assenze da lavoro ed evitare i lavori che implichino dei viaggi, pregiudicando le opportunità di avanzamento di carriera.

Temono le riunioni, durante le quali potrebbero sentirsi in trappola, ed evitano alcuni lavori di responsabilità come parlare in pubblico.

Questo può implicare che individui altrimenti brillanti e capaci rimangano in posti di lavoro che sono al di sotto delle loro reali capacità.

L’emetofobia influisce anche sui viaggi di piacere e sul mangiare fuori e può devastare le relazioni di coppia.

Le donne con fobia del vomito possono essere estremamente angosciate dal pensiero di rimanere incinta e avere le normali nausee mattutine, ed alcune potrebbero addirittura scegliere di non avere figli a causa della paura del vomito ricorrente durante la gravidanza.

Chiaramente, questo può avere profondi e duraturi effetti negativi sulla vita di un individuo.

Cos’è l’emetofobia

L’emetofobia è definita come un’eccessiva o irrazionale paura dell’atto, o della possibilità, di vomitare ed è associata a una serie di sintomi quali, ad esempio:

  • Evitare cibi od odori associati a episodi di vomito passati.
  • Trattenere il respiro quando si è in mezzo alla gente.
  • Evitare la spazzatura ed altre cose maleodoranti e sporche.
  • Consumare eccessivamente vitamine.
  • Lavare eccessivamente gli alimenti.
  • Pulire eccessivamente le superfici su cui vengono preparati gli alimenti.
  • Evitare gli alimenti non confezionati.
  • Buttare via gli alimenti prima che abbiano raggiunto la data di scadenza.
  • Annusare e controllare eccessivamente gli alimenti.
  • Cuocere più del dovuto gli alimenti per uccidere potenziali agenti patogeni.
  • Evitare alimenti mai provati (oppure entrare estremamente in ansia quando si mangiano alimenti mai assaggiati).
  • Mangiare sempre gli stessi (limitati) alimenti per evitare agitazione di stomaco.
  • Evitare gli alimenti che sembrano “strani”.
  • Usare preventivamente antiacidi e antiemetici.
  • Evitare di mangiare fuori da casa.
  • Controllare dove sono collocati i bagni (quando si è fuori casa).
  • Limitare i viaggi lontano da casa (stare a casa, evitare le attività sociali).
  • Evitare di andare scuola o a lavoro.
  • Mangiare solo cibi che hanno già mangiato altre persone prima.
  • Quando si mangia in pubblico, monitorare la reazione al cibo delle altre persone.
  • Preoccuparsi eccessivamente per allergie alimentari che non sono ancora state documentate.
  • Evitare di parlare in pubblico o altre situazioni nelle quali si richieda lo stare al centro dell’attenzione.
  • Evitare riunioni o altre situazioni nelle quali si potrebbe sentirsi intrappolati o situazioni nelle quali non sia facile uscire nel caso ci si senta male.
  • Evitare aerei, macchine, e/o mezzi di trasporto pubblici, al fine di evitare di sentirsi intrappolati.

Raramente, tuttavia, si incontrano casi di paura del vomito (emetofobia) che rappresentano realmente delle fobie semplici.

Coloro che hanno il terrore di vomitare sono spesso affetti da fobia sociale o agorafobia.

La differenza tra queste due condizioni è che gli individui con emetofobia associata all’ansia sociale riuscirebbero ad affrontare relativamente bene l’idea di sentirsi male in un luogo lontano o isolato (ad esempio camminando da soli nel bosco).

Le persone agorafobiche, viceversa, potrebbero trovare la stessa circostanza angosciante a causa della difficoltà di chiedere aiuto (se ce ne fosse bisogno).

Quindi, l’emetofobia legata all’ansia sociale riguarda principalmente le conseguenze sociali (imbarazzo, vergogna, ecc.) di sentirsi male in pubblico, mentre quella legata all’agorafobia riguarda piuttosto il timore di non poter ricevere aiuto o riuscire a scappare in questa evenienza.

Al giorno d’oggi la paura di guidare è un disagio piuttosto diffuso, nonostante si creda che la maggior parte degli individui guidi l’auto senza problemi. Riguarda entrambi i sessi, anche se sembra più diffuso tra il genere femminile.

La definizione corretta è “Amaxofobia”, che deriva dal termine “amax”, carro. Questa paura può verificarsi soltanto in determinate circostanze, oppure può produrre forti blocchi, come il rifiuto di ogni spostamento, sia per scopi lavorativi che sociali o ricreativi, influenzando in maniera fortemente negativa la qualità di vita del soggetto.

La paura di guidare costituisce una vera e propria fobia, con diverse caratteristiche. I timori più comuni di chi ha paura di guidare riguardano la perdita di controllo del proprio mezzo, il rischio di esser investiti e/o causare un incidente, il trovarsi in mezzo ad un traffico eccessivo, la percorrenza di autostrade, viadotti o gallerie (luoghi da dove sarebbe difficile se non impossibile uscire in caso di necessità), la guida di notte, il rischio di sentirsi male e non poter esser soccorsi, oppure semplicemente si è ansiosi in ogni caso, anche nelle situazioni di guida più tranquille.

Può darsi che la paura di guidare si sia scatenata in seguito ad un evento traumatico ben riconoscibile (es. aver avuto un incidente o avervi assistito, aver perduto una persona cara in seguito ad incidente, aver fatto un viaggio particolarmente pericoloso, aver appreso a guidare in una clima stressante o di rimproveri, ecc.), come nel caso del disturbo da stress post-traumatico, oppure che si sia  sviluppata senza una causa apparente. In certi casi può essere uno dei sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo, quando il soggetto ha dubbi intrusivi di poter causare incidenti o feriti involontariamente (per colpa della propria disattenzione).

A volte la paura di guidare può semplicemente dipendere da una scarsa consuetudine a questa attività, oppure dall’averla interrotta per molto tempo (utili, nel caso, corsi di guida sicura).  Alcuni individui evitano totalmente di mettersi alla guida, altri possono farlo solo per percorsi brevi e conosciuti, oppure se accompagnati da persone di fiducia, percependo un disagio tollerabile.

Come ogni evento ansiogeno, anche questa fobia della guida provoca vari sintomi, sia fisici che psicologici, come tachicardia, sudorazione, senso di svenimento o vertigine, nausea, dispnea, visione offuscata, confusione, ecc. e paura di morire, svenire, aver un ictus o infarto, perdere il controllo, impazzire, come in un vero e proprio attacco di panico.

In realtà, la paura di guidare può esser una fobia semplice di cui un individuo è affetto, oppure far parte di un disagio psicologico più ampio. Quando un soggetto ha sperimentato una forte crisi d’ansia durante la guida, è comune che il solo pensiero di riprendere l’auto gli provochi altra ansia (anticipatoria), scatenando così un circolo vizioso, e rendendolo ancora più agitato ed impaurito nel caso dovesse guidare di nuovo. Qualora la paura di guidare sia determinata dal timore di avere un attacco di panico e non poter abbandonare il mezzo all’improvviso o ricevere soccorso, si parla di sintomi di agorafobia.

La paura di guidare, così come altre fobie specifiche, può esser trattata in modo efficace con un percorso di psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale; il soggetto, con il supporto del terapeuta, grazie a tecniche specifiche, apprenderà abilità volte a gestire l’ansia e fronteggiare gradualmente le situazioni critiche. In genere, in brevi tempi tale fobia potrà esser superata.

Al giorno d’oggi viaggiare in aereo è ormai un’abitudine, ma molte persone lo trovano estremamente inquietante. La paura di volare (detta aerofobia, o aviofobia) può ostacolare eventuali promozioni lavorative, così come viaggi per far visita a parenti o amici, oppure ambite vacanze.

E’ stato calcolato che la percentuale di rischio di una nostra possibile morte dovuta a incidente aereo sia bassissima, e dunque tante paure non sono affatto giustificate. Si muore molto più spesso di incidenti d’auto che di incidenti aerei, eppure quasi nessuno teme di viaggiare in automobile, mentre tantissimi sono coloro che soffrono al solo pensiero di salire su un aereo e sono paralizzati dalla paura di volare. Questa situazione è particolarmente ansiogena per coloro che sentono di vivere una condizione in cui non è possibile esercitare alcuna forma di controllo. L’aereo viene vissuto come una realtà nemica, avversa e antagonista, qualcosa di estraneo da cui doversi difendere.

E’ importante considerare che molti di coloro che hanno paura di volare, e soffrono quindi di aerofobia, non temono che accada qualcosa all’aereo, ma sono soggetti claustrofobici, che dell’aereo temono soprattutto il dover stare fermi in uno spazio relativamente piccolo e con i finestrini sigillati, o agorafobici, che temono il fatto di non poter uscire dal mezzo per qualche ora e non poter essere soccorsi rapidamente nel caso in cui si sentano male o abbiano un attacco di panico o, comunque, di sentirsi male di fronte a molte altre persone, con l’inevitabile brutta figura. La paura di volare, quindi, è spesso secondaria ad altre forme di ansia e l’areo è solo uno dei tanti luoghi in cui queste persone sono particolarmente agitate.

Per chi invece soffre di vera e propria paura di volare, o aerofobia, tutte le fasi del viaggio in aereo possono essere vissute con paura, anche se ne esistono alcune particolarmente temute, come il decollo e l’atterraggio, o alcune condizioni meteorologiche che più frequentemente suscitano ansia, prima tra tutte la turbolenza, seguita dai temporali, dalla nebbia e dal vento forte.

L’intensità della paura di volare va dal semplice, più o meno lieve, disagio avvertito prima o durante il volo, al terrore assoluto che impedisce al soggetto di affrontare il volo o, qualora ciò sia impossibile, provoca disagi molto seri fino alle crisi di ansia acuta e al panico.

La paura di volare può essere avvertita anche da chi non ha mai volato, bloccandolo fin dalla semplice decisione di prendere l’aereo. Si tratti quindi di un’areofobia marcata, che impedisce del tutto al soggetto di esporsi a ciò che teme.

La paura di volare può essere efficacemente trattata con una psicoterapia mirata ad orientamento cognitivo-comportamentale. Generalmente in tempi brevi e con l’utilizzo di strategie mirate, molte delle quali tramite immaginazione guidata (vista l’impossibilità di prendere l’aereo spesso e con il terapeuta), la persona riesce ad acquisire abilità specifiche di gestione dello stato di ansia, in modo che l’aerofobia (o aviofobia) non sia più paralizzante e/o, nel tempo, si estingua completamente.