Disturbi alimentari

 

disturbi alimentari (o disturbi dell’alimentazione) possono essere definiti come persistenti disturbi del comportamento alimentare o di comportamenti finalizzati al controllo del peso, che danneggiano la salute fisica o il funzionamento psicologico e sociale, che non sono secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta. Colpiscono soprattutto gli adolescenti: l’età di insorgenza va dai 12 ai 25 anni, con un picco intorno ai 14 anni e ai 17 anni; negli ultimi anni si sono notati sempre più casi ad insorgenza precoce (bambini) o tardiva (adulti). I disturbi alimentari riguardano soprattutto le persone di sesso femminile F:M=10:1 o 9:1) anche se sembrano in aumento i casi nel sesso maschile.
Secondo la classificazione del Manuale Diagnostico Statistico delle Malattie Mentali IV-Test Revision (DSM-IV-TR) i disturbi alimentari si dividono in: anoressia, bulimia, disturbi alimentari non-altrimenti specificati (in particolare il cosiddetto disturbo da alimentazione incontrollata, o binge eating disorder).
In un’ottica dimensionale i disturbi alimentari sono causati e mantenuti da caratteristiche convinzioni disfunzionali che ne identificano un nucleo psicopatologico comune:

  1. convinzioni distorte su cibo e alimentazione
  2. convinzioni distorte sul peso
  3. convinzioni distorte sulla forma del corpo
  4. atteggiamenti autoprescrittivi riguardo il cibo.

Tali idee interagiscono con altre caratteristiche individuali e familiari, quali il perfezionismo e la dimensione del controllo. La caratteristica essenziale che accomuna tutti i disturbi alimentari è la presenza di una alterata percezione del peso e della propria immagine corporea (preoccupazione eccessiva per il peso, per la forma corporea e per il controllo dell’alimentazione).

L’eziologia dei disturbi dell’alimentazione non è ancora completamente nota, anche se le più recenti evidenze suggeriscono l’esistenza di un’interazione tra predisposizione genetica e specifici fattori di rischio ambientali. La teoria cognitivo comportamentale dei disturbi alimentari, oggigiorno la più accreditata, sostiene che essi abbiano due origini principali che possono operare assieme. La prima è la necessità estrema di avere controllo di vari aspetti della vita (es. lavoro, scuola, sport….), che può in momenti particolari della vita focalizzarsi sul controllo dell’alimentazione. La seconda è l’eccessiva importanza attribuita al controllo del peso e della forma del corpo negli individui che hanno interiorizzato l’ideale di magrezza. In entrambi i casi, nei disturbi alimentari, il risultato è l’adozione di una restrizione dietetica severa che a sua volta rinforza la necessità di controllo in generale e di controllo del peso e della forma del corpo, in particolare. Successivamente, iniziano ad operare altri processi che contribuiscono a mantenere il disturbo dell’alimentazione; come l’isolamento sociale, la comparsa di abbuffate favorite dalla restrizione alimentare, gli effetti negativi delle abbuffate sulla preoccupazione per il peso e la forma del corpo e sul senso di essere in controllo, i sintomi da denutrizione che aumentano la necessità di controllare l’alimentazione, il controllo del corpo e del peso e l’evitamento dell’esposizione del corpo, che intensificano la preoccupazione per il peso e la forma del corpo.
La teoria cognitivo comportamentale dei disturbi alimentari sostiene anche che in un sottogruppo di individui possono operare, interagendo con i processi di mantenimento specifici dei disturbi dell’alimentazione descritti sopra, anche uno più dei seguenti quattro meccanismi di mantenimento aggiuntivi: perfezionismo clinico, bassa autostima nucleare, difficoltà interpersonali e intolleranza alle emozioni.
Ci sono delle evidenze sempre più crescenti che l’interruzione dei fattori di mantenimento sia necessaria per la cura dei disturbi alimentari e non a caso la terapia cognitivo comportamentale è considerata a livello mondiale l’intervento di prima scelta, dal quale non si può prescindere.

Recentemente sono stati individuati alcuni “nuovi” disturbi alimentari che non rientrano nella classificazione ufficiale suddetta, tra cui la vigoressia (o bigoressia), la ortoressia, la pregoressia e la drunkoressia.

Cos’è l’anoressia nervosa

L’anoressia nervosa è stata inserita nel DSM 5 (2013) nella più ampia categoria diagnostica chiamata Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione.

La caratteristica principale di questo disturbo è il rifiuto del cibo. Il termine anoressia (letteralmente mancanza di appetito) non risulta corretto per descrivere un disturbo in cui l’appetito è nella maggioranza dei casi conservato. Piuttosto ciò che caratterizza la persona anoressica è il terrore di ingrassare e la necessità di controllare l’alimentazione alla ricerca della magrezza.

Nei soggetti con sintomi di anoressia nervosa i livelli di autostima sono fortemente influenzati dalla forma fisica e dal peso corporeo. La perdita di peso viene considerata come una straordinaria conquista ed un segno di ferrea autodisciplina, mentre l’incremento ponderale viene esperito come una inaccettabile perdita delle capacità di controllo.

Anoressia nervosa i sintomi

Una persona è anoressica se manifesta le seguenti caratteristiche:

  • Restrizione dell’assunzione delle calorie in relazione alle necessità. Questa porta un peso corporeo significativamente basso rispetto a età, sviluppo e salute fisica.
  • Intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi.
  • Eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima.

Vengono inoltre, identificate due tipologie di anoressia nervosa:

  1. Tipo con restrizioni: negli ultimi 3 mesi la persona non ha presentato episodi di abbuffate o condotte di eliminazione. La perdita di peso è ottenuta cioè principalmente attraverso la dieta, il digiuno e/o l’attività fisica eccessiva.
  2. Tipo con abbuffate/condotte di eliminazione: negli ultimi 3 mesi, la persona ha presentato ricorrenti episodi di abbuffate o condotte di eliminazione (es. vomito autoindotto, uso di lassativi, diuretici …).

Rispetto alla precedente classificazione diagnostica, nel DSM 5 è stato eliminato il criterio dell’amenorrea. Questa non risulta essere più necessaria per formulare la diagnosi di anoressia.

Per evitare di ingrassare chi soffre dei sintomi di anoressia mette in atto una serie di comportamenti tipici del disturbo. Ad esempio:

  • seguire una dieta ferrea
  • fare esercizio fisico in maniera eccessiva
  • indursi il vomito dopo aver mangiato anche piccole quantità di cibo

Diffusione e cause dell’anoressia

L’incidenza dell’anoressia nervosa sembra essere stabile dal 1970 intorno a 5-5,4 casi per 100000 abitanti per anno. Il picco d’incidenza è tra i 15 e i 19 anni. Intorno a quest’età, infatti, l’adolescente si trova a dover fronteggiare la sessualità e i cambiamenti del proprio corpo. Raramente insorge in epoca prepuberale, anche se in tali situazioni il quadro clinico risulterebbe più grave. Il disturbo si presenta raramente in donne oltre i 40 anni.

La diffusione dell’anoressia sembra essere di gran lunga maggiore nei paesi industrializzati, dove vi è abbondanza di cibo e in cui è enfatizzato il valore della magrezza. Questo disturbo dell’alimentazione si manifesta prevalentemente nel sesso femminile.

L’ingresso nell’anoressia nervosa passa, quasi sempre, dall’inizio di una dieta. In ogni caso, da un tentativo volontario di perdita di peso finalizzato a raggiungere quell’ideale di bellezza femminile tanto osannato dalla società moderna.

Le cause del disturbo dell’alimentazione non sono note, però si possono identificare dei fattori di rischio individuali:

  • Condizioni presenti nei familiari (ad esempio, la presenza di un disturbo dell’alimentazione in uno dei genitori o tratti di personalità ossessiva e perfezionistici).
  • Esperienze precedenti l’esordio della psicopatologia (problemi relazionali con i genitori, abusi sessuali, esperienze di derisione per il peso o la forma del corpo).
  • Caratteristiche individuali come bassa autostima, perfezionismo, ansia e disturbi d’ansia, ecc.

Decorso del disturbi anoressico

L’evoluzione e gli esiti dell’anoressia nervosa sono estremamente variabili. In alcuni casi, ad un episodio di anoressia fa seguito una completa remissione. In altri, fasi di remissione, con recupero del peso corporeo, si alternano a fasi di riacutizzazione. Altri ancora presentano un’evoluzione cronica, con progressivo deterioramento nel corso degli anni.

Può rendersi necessario il ricovero in ambiente ospedaliero per il ripristino del peso corporeo o la correzione di squilibri elettrolitici. Tra i soggetti ricoverati presso strutture universitarie, la mortalità a lungo termine per anoressia nervosa è maggiore del 10%. Il decesso si verifica in genere in rapporto alla denutrizione, agli squilibri elettrolitici, a suicidio.

Fattori di mantenimento dell’anoressia

  • Il principale fattore di mantenimento specifico è l’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del loro controllo. Questi vengono utilizzati come sistema principale di valutazione di sé e del proprio valore.
  • La dieta ferrea rappresenta sia un sintomo che un potente fattore di mantenimento per il nucleo psicopatologico.

Una dieta ferrea produce un altro sintomo, il basso peso, che a sua volta, causa la sindrome da malnutrizione. Oltre a provocare danni fisici, il basso peso, contribuisce ad attivare preoccupazioni sull’alimentazione, sul cibo e sul corpo, Questo mantiene, di fatto, il problema alimentare.

Frequentemente, in aggiunta alla dieta ferrea, si presenta anche un esercizio fisico eccessivo e compulsivo. Questo mantiene le preoccupazioni sulla forma del proprio corpo e sul controllo del peso.

Le persone che soffrono di anoressia nervosa attribuiscono un valore eccessivo all’aspetto fisico e al peso corporeo. Alcune si sentono grasse in riferimento alla totalità del loro corpo. Altre, pur ammettendo la propria magrezza, percepiscono come “troppo grasse” alcune parti del corpo. In genere si tratta di addome, glutei e cosce.

Possono adottare le tecniche più disparate per valutare dimensioni e peso corporei. Ad esempio pesarsi di continuo, misurarsi ossessivamente con il metro, o controllare allo specchio le parti percepite come “grasse”. Frequenti controlli del corpo fungono da fattori di mantenimento. Essi infatti aumentano le preoccupazioni per le minime variazioni percepite o registrate ed incoraggiano la dieta ferrea.

Effetti della malnutrizione

Sebbene alcuni soggetti anoressici possano rendersi conto della propria magrezza, tipicamente negano le gravi conseguenze sul piano della salute fisica del loro stato. Molti segni e sintomi dell’anoressia sono connessi all’estrema malnutrizione. Oltre all’assenza di mestruazioni (amenorrea), possono lamentare:

  • stipsi
  • dolori addominali
  • intolleranza al freddo
  • letargia o eccesso di energia
  • marcata ipotensione
  • ipotermia
  • secchezza della cute
  • lanugo (una fine e soffice peluria) sul tronco
  • bradicardia

In coloro che si dedicano alla pratica del vomito autoindotto, possiamo trovare anche erosioni dello smalto dentale. Inoltre si riscontrano cicatrici o callosità sul dorso delle mani. Queste sono provocate dallo sfregamento contro l’arcata dentaria nel tentativo di provocarsi il vomito.

Uno stato di malnutrizione causa anche delle modificazioni emotive e sociali come:

  • Depressione
  • Ansia
  • Irritabilità e rabbia
  • Sbalzi del tono dell’umore
  • Isolamento sociale

Si aggiungono anche modificazioni cognitive come:

  • Diminuzione della capacità di pensiero astratto
  • Diminuita capacità di concentrazione

Anoressia cura

La cura dell’anoressia andrebbe condotta idealmente a livello ambulatoriale. Questa condizione non sempre è però possibile ed è indicata solo per le pazienti con alcune caratteristiche:

  • BMI non inferiore a 15
  • assenza di complicazioni mediche
  • reale motivazione al cambiamento
  • presenza di un ambiente familiare favorevole

In caso contrario, potrebbe essere opportuno un intervento ospedaliero specializzato.

Psicoterapia per anoressia nervosa

Tutti i trattamenti di comprovata efficacia per l’anoressia nervosa sono di natura psicologica.

Allo stato attuale, le ricerche mostrano come la terapia cognitivo comportamentale CBT-E rappresenti la miglior scelta terapeutica per i disturbi dell’alimentazione.

La CBT-E (terapia cognitiva comportamentale potenziata) è stata sviluppata presso l’Università di Oxford da Christopher Fairburn. Si tratta di una specifica forma di terapia cognitivo comportamentale focalizzata sulla psicopatologia del disturbo dell’alimentazione.

La CBT-E ha come obiettivo quello di affrontare la psicopatologia specifica del disturbo alimentare e i processi che la mantengono. Adotta strategie e strumenti specifici volti a modificare i comportamenti problematici e ridurre il bisogno assoluto di magrezza.

Il trattamento dell’anoressia prevede 3 passi:

  1. L’obiettivo del primo passo è quello di aiutare le persone a giungere alla conclusione di affrontare il loro problema alimentare. Serve cioè prepararle ad un cambiamento attivo.
  2. Il passo due ha invece due obiettivi: aiutare la persona con anoressia a raggiungere un peso salutare basso (BMI tra 19 e 20) e affrontare la psicopatologia (es. modulo immagine corporea). Sempre all’interno del passo 2, si lavora sul riconoscimento di stati mentali problematici al fine di evitare passi indietro. La durata di questo passo dipende dalla quantità del peso che deve essere recuperata.
  3. L’ultimo passo ha come obiettivo quello di affrontare le preoccupazioni legate alla fine del trattamento e di prevenire rischi di ricaduta.

Terapia farmacologica dell’anoressia

Gli studi farmacologici sono scarsi e non dimostrano un benefico effetto dei farmaci sul disturbo. L‘approccio più ragionevole è quello di non utilizzare alcun farmaco nella fase acuta di perdita di peso. Questo perché spesso i sintomi depressivi e ossessivi-compulsivi si riducono con l’aumento ponderale.

Se tuttavia, dopo il raggiungimento di un adeguato peso corporeo, la depressione permane, può essere utile l’uso di antidepressivi.

Occasionalmente si possono utilizzare degli ansiolitici, le benzodiazepine, assunti prima dei pasti: la loro utilità sembra però limitata. L’uso degli antipsicotici è riservato solo alle pazienti più difficili e refrattarie.

 

Risorse sull’anoressia nervosa

BIBLIOGRAFIA

  • In Fairburn, C.G. (2008). Cognitive Behavior Therapy and Eating Disorders. New York: Guilford Press. (trad. it. La terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell’alimentazione, Trento: Centro Studi Erickson, 2018).
  • Dalle Grave, R. (2013). Multistep cognitive behavioral therapy for eating disorders: Theory, practice and clinical cases. New York: Jason Aronson (trad. it. La terapia cognitivo comportamentale multistep per i disturbi dell’alimentazione, Trento: Centro Studi Erickson, 2019).
  • Dalle Grave, R. (2016). Come vincere i disturbi dell’alimentazione: Un programma basato sulla terapia cognitivo comportamentale. Verona: Positive Press.

Cos’è la bulimia nervosa

Secondo la nuova classificazione del DSM 5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 2013) la bulimia nervosa rientra nella categoria diagnostica dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione.

Bulimia sintomi

Caratteristiche principali

Per poter fare una diagnosi di bulimia nervosa devono essere presenti tutte le seguenti caratteristiche:

  • Abbuffate ricorrenti caratterizzate dal consumo di grandi quantità di cibo e dalla sensazione di perdere il controllo sull’atto di mangiare.
  • Ricorrenti ed inappropriate condotte di compenso per prevenire l’aumento di peso. Molte persone utilizzano il vomito autoindotto, altre ricorrono a lassativi, diuretici o estenuanti sessioni di attività fisica.
  • Le abbuffate e le condotte compensatorie devono verificarsi in media almeno 1 volta alla settimana per tre mesi
  • I livelli dell’autostima sono fortemente influenzati dal peso e dalla forma del corpo
  • I fenomeni di bulimia non si manifestano esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa.

Altri sintomi e caratteristiche del disturbo

I soggetti con bulimia nervosa tipicamente si vergognano delle loro abitudini alimentari patologiche e tentano di nasconderle. Le crisi bulimiche avvengono in solitudine: quanto più segretamente possibile. L’episodio può essere più o meno pianificato, ed è di solito caratterizzato (anche se non sempre) dalla rapidità dell’ingestione del cibo. L’abbuffata spesso continua finché l’individuo bulimico non si sente “così pieno da star male”. E’ precipitata da stati di umore negativo, condizioni interpersonali di stress, intensa fame a seguito di una restrizione dietetica. Oppure da sentimenti di insoddisfazione relativi al peso, la forma del corpo o il cibo.

Una crisi di bulimia è inoltre accompagnata da sensazione di perdere il controllo. La perdita di controllo associata alle abbuffate, però, non è assoluta. Il soggetto bulimico può continuare l’abbuffata a dispetto del telefono che squilla, ma interromperla bruscamente se il coniuge o il compagno di stanza entra inaspettatamente nella stanza.

Un’altra caratteristica essenziale della bulimia nervosa è il frequente ricorso a inappropriati comportamenti compensatori per prevenire l’incremento ponderale, neutralizzando gli effetti dell’abbuffata. Tra i metodi, quello più frequentemente adottato è l’autoinduzione del vomito, tra i più tipici sintomi della bulimia.

Il vomito riduce la sensazione di malessere fisico, oltre alla paura di ingrassare. In alcuni casi il vomito rappresenta l’effetto ricercato. La persona affetta da bulimia si abbuffa per poter vomitare, oppure vomita anche per piccole quantità di cibo. In genere, nelle fasi avanzate del disturbo questi soggetti riescono a vomitare a comando.

Altre condotte di eliminazione dei pazienti bulimici sono rappresentate dall’uso inappropriato di lassativi e diuretici. L’uso di lassativi è presente in un terzo dei soggetti che presentano i sintomi della bulimia nervosa. Raramente è presente anche uso di clisteri subito dopo l’abbuffata, ma non è mai la sola condotta di eliminazione.

Altre misure compensatorie per le abbuffate sono il digiuno nei giorni successivi o l’esercizio fisico eccessivo. Raramente viene fatto uso di ormoni tiroidei per accelerare il metabolismo ed evitare l’aumento di peso.

Effetti collaterali dell’uso del vomito autoindotto

Il frequente ricorso a condotte di eliminazione tipico della bulimia nervosa può produrre alterazioni dell’equilibrio elettrolitico e dei fluidi. Tra i più frequenti vi sono:

  • ipopotassiemia,
  • iponatriemia,
  • ipocloremia.

La perdita di succo gastrico acido attraverso il vomito può produrre alcalosi metabolica (aumento del bicarbonato sierico). L’abuso di lassativi per indurre diarrea può invece provocare acidosi metabolica.

Alcuni individui con sintomi di bulimia nervosa presentano una lieve elevazione dell’amilasi nel siero. Questa è probabilmente legata all’incremento dell’isoenzima salivare.

Il vomito ripetuto può condurre ad una cospicua e permanente perdita dello smalto dentale, specialmente a livello delle superfici linguali dei denti incisivi. Questi denti diventano scheggiati, intaccati, e “tarlati”. Inoltre si può avere un aumento della frequenza delle carie. In alcuni individui le ghiandole salivari, in special modo le parotidi, possono marcatamente ingrossarsi.

Cause della bulimia e fattori di mantenimento

Il disturbo è autoperpetuante. E’ cioè costituito da un meccanismo con numerosi elementi che, oltre essere espressione diretta del disturbo, rappresentano dei fattori di mantenimento.

bulimia cause e fattori di mantenimento

Adattata da Fairburn, C.G. (2018). La terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell’alimentazione. Trento: Erickson

  • Le persone che soffrono di bulimia nervosa, giudicano sé stesse in modo predominante in termini di controllo dell’alimentazione, del peso e della forma del corpo. La conseguenza diretta della preoccupazione per le forme e il peso corporeo, è adottare regole dietetiche rigide ed estreme. Tali regole richiedono un impegno costante per essere seguite in modo ferreo e rappresentano il principale fattore responsabile della comparsa delle abbuffate.
  • Seguire una dieta rigida in modo perfezionistico, infatti, porta prima o poi inevitabilmente a compiere piccole trasgressioni. Queste vengono vissute da chi soffre di problemi dell’alimentazione come un’irrimediabile perdita di controllo.
  • Le abbuffate in una prima fase possono dare piacere perché allentano la tensione del dover seguire in modo ferreo la dieta. Col passare del tempo determinano però emozioni negative (paura di ingrassare, senso di colpa, vergogna, disgusto) che a loro volta possono innescare nuove abbuffate. Alimentano così il circolo vizioso che mantiene i sintomi della bulimia.

Cura della bulimia nervosa

Psicoterapia della bulimia

Tutti i trattamenti evidence-based (che mostrano cioè una comprovata efficacia scientifica) per la bulimia nervosa, sono di natura psicologica.

Allo stato attuale, le ricerche mostrano come la Terapia cognitivo comportamentale CBT-E rappresenti la miglior scelta terapeutica per la bulimia. La CBT-E (terapia cognitiva comportamentale potenziata) è una specifica forma di terapia cognitivo comportamentale focalizzata sulla psicopatologia del disturbo dell’alimentazione. E’ stata sviluppata presso l’Università di Oxford da Christopher Fairburn e si è rapidamente diffusa in tutto il mondo come trattamento di prima scelta.

Questa forma di psicoterapia affronta la psicopatologia specifica del disturbo alimentare e i processi che la mantengono, attraverso l’utilizzo di strategie e strumenti specifici. Sono previste 4 fasi per il trattamento:

  • Fase 1. Preparazione al trattamento e al cambiamento. Si inizia a lavorare sulle preoccupazioni per il peso e per il cibo attraverso specifiche strategie.
  • Fase 2. In questa fase si fa il punto dei progressi ottenuti nella fase 1 e si pianificano gli obiettivi della fase 3
  • Fase 3. Prevede il lavoro su diversi moduli (modulo immagine corporea, modulo restrizione dietetica cognitiva, modulo sugli stati mentali…)
  • Fase 4. Ha lo scopo di minimizzare il rischio delle ricadute.

Farmaci per la bulimia

I farmaci che sono più utilizzati nella cura della bulimia sono gli antidepressivi appartenenti alla categoria degli inibitori selettivi del ricaptazione della serotonina (SSRI). Tuttavia, è necessario sottolineare che recenti ricerche indicano come in molti soggetti il farmaco non abbia alcuna efficacia a lungo termine.

L’uso dei farmaci antidepressivi nella cura della bulimia può essere tavolta efficace per tre principali motivi:

  • permette una riduzione media del 50-60% nella frequenza delle abbuffate nel giro di qualche settimana;
  • permette una riduzione equivalente nella frequenza del vomito, un miglioramento dell’umore e del senso di controllo sull’alimentazione e una diminuzione della preoccupazione per il cibo;
  • l’effetto antidepressivo del farmaco si verifica sia nei soggetti depressi che non depressi.

Sembra però che, sebbene il farmaco antidepressivo riesca a ridurre le abbuffate, non possa eliminare alcuni fattori specifici che contribuiscono al mantenimento della bulimia nervosa, come ad esempio la dieta ferrea.

Risorse sulla bulimia nervosa

BIBLIOGRAFIA

  • In Fairburn, C.G. (2008). Cognitive Behavior Therapy and Eating Disorders. New York: Guilford Press. (trad. it. La terapia cognitivo comportamentale dei disturbi dell’alimentazione, Trento: Erikcson, 2018).
  • Dalle Grave, R. (2013). Multistep cognitive behavioral therapy for eating disorders: Theory, practice and clinical cases. New York: Jason Aronson (trad. it. La terapia cognitivo comportamentale multistep per i disturbi dell’alimentazione, Trento: Erikcson, 2018).
  • Dalle Grave, R. (2016). Come vincere i disturbi dell’alimentazione. Un programma basato sulla terapia cognitivo comportamentale. Verona: Positive Press.

Il disturbo da alimentazione incontrollata, o BED (binge eating disorder), è la più importante manifestazione patologica del comportamento alimentare inclusa nella categoria dei disturbi dell’alimentazione atipici.

Chi soffre di alimentazione incontrollata manifesta comportamenti bulimici di abbuffata ma non mette in atto i comportamenti di compenso tipici della bulimia (vomito, lassativi, attività fisica, digiuno), non segue una dieta e tende a mangiare in modo incontrollato anche al di fuori delle abbuffate.

Non manifesta una restrizione dell’alimentazione e ha manifestazioni molto diverse da quelle delle pazienti anoressiche. Generalmente è presente una condizione di sovrappeso o di obesità che determina marcato disagio e bassa autostima.

Le persone affette da disturbo da alimentazione incontrollata (o binge eating) sono molto preoccupate per il loro comportamento alimentare, se ne vergognano e lo giudicano un grave problema, sia per la sensazione di perdita di controllo e di voracità che quotidianamente manifestano, sia per le conseguenze che le abbuffate hanno sul peso corporeo e sulla salute.

Hanno sensi di colpa e tentano ripetutamente di contrastare le abbuffate compulsive, ma il binge eating prende spesso il sopravvento e le porta ad ingurgitare grandi quantità di cibo (spesso di cattiva qualità) in poco tempo.

Chi soffre di disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating), spesso presenta delle complicazioni mediche secondarie al grado di obesità (diabete mellito, malattie cardiovascolari, apnee notturne, ipertensione arteriosa).

Da un punto di vista psicologico chi presenta un disturbo da alimentazione incontrollata può manifestare disturbi depressivi e isolamento sociale a causa del problema alimentare o della condizione fisica di obesità.

Come tutti i disturbi del comportamento alimentare, il binge eating disorder necessita, per il suo trattamento di un approccio multidisciplinare che preveda una collaborazione tra psicoterapeuta, dietologo, psichiatra, internista.

Gli obiettivi principali del percorso terapeutico cognitivo comportamentale per il trattamento del disturbo da alimentazione incontrollata riguardano: modificare lo schema di autovalutazione in base al controllo di peso, forme e cibo, normalizzare il peso e il comportamento alimentare, prevenire la ricaduta, migliorare l’autostima, sviluppare capacità assertive di riconoscimento validazione ed espressione di bisogni ed emozioni.

L’attenzione al mangiare bene e a uno stile di vita salutare è ormai parte integrante della nostra società.

Non vi è giorno senza che i mezzi di comunicazione dispensino consigli e suggerimenti su cosa e come mangiare. Su quanto il cibo influenzi la nostra salute e su quanto una particolare dieta consenta di perdere peso in poco tempo. O piuttosto permetta di migliorare significativamente il nostro benessere.

Il risultato è forse quello di trasformare il piacere della tavola in un rapporto ansioso con tutto ciò che concerne l’alimentazione.

Per quanto ognuno di noi possa beneficiare di modificazioni salutari alle proprie diete e al proprio stile di vita, per alcuni l’impegno al mangiare sano può degenerare in una vera e propria ossessione che prende il nome di ortoressia.

Cos’è l’ortoressia nervosa?

Il termine ortoressia nervosa, inizialmente coniato da Bratman e Knight nel 1997,  descrive una condizione caratterizzata da un comportamento alimentare che segue l’ossessione patologica per un’alimentazione biologicamente pura e salutare.

Tale condizione è spesso associata a una dieta restrittiva che, nel tentativo di raggiungere uno stato di salute ottimale, può portare a gravi condizioni mediche connesse alla malnutrizione, oltre a un’instabilità affettiva e all’isolamento sociale.

Sintomi dell’ortoressia

Gli ortoressici sono preoccupati dalla qualità dei cibi nella propria dieta, piuttosto che dalla quantità.

Impiegano un tempo considerevole a esaminare l’origine (ad esempio, se le verdure sono state esposte a pesticidi). Ne verificano la lavorazione (se ad esempio il contenuto nutritivo potrebbe essere andato perso durante la cottura). Studiano il confezionamento (per esempio, se le etichette forniscono sufficiente informazione per giudicare la qualità di specifici ingredienti) dei cibi che sono poi messi in commercio.

L’ossessione sulla qualità del cibo, in termini di valore nutritivo dei cibi e della loro ‘purezza’, nasce  dal desiderio di ottimizzare la propria salute fisica e il proprio benessere.

Regole e credenze

Una simile preoccupazione nel caso dell’ortoressia può innescare comportamenti alimentari complessi, ad esempio:

  • regole interne su quali cibi possono essere assunti insieme a ogni pasto o in specifici momenti del giorno
  • credenze in base alle quali la digestione ottimale di un certo cibo debba richiedere una specifica quantità di tempo.

Al di fuori dei pasti, una considerevole quantità di tempo viene spesa nella pianificazione e nella realizzazione dei pasti quotidiani. Ciò al fine di riuscire a prestare attenzione ai pensieri rispetto a ciò che sarà mangiato. Ma anche alla raccolta di informazioni nei confronti di ciascun ingrediente, alla preparazione degli ingredienti, e infine all’assunzione del cibo.

Quali sono le conseguenze dell’ortoressia?

Dal momento che l’attenzione è rivolta a cibi puri e salutari, i soggetti con ortoressia nervosa tendono a evitare cibi che potrebbero contenere ingredienti geneticamente modificati. Come pure quelli che contengono significative quantità di grassi, zuccheri, sale o altri componenti indesiderati (coloranti, conservanti, pesticidi…).

Tali restrizioni alimentari comportano solitamente l’omissione di nutrienti essenziali nel fabbisogno energetico quotidiano, con la conseguenza di diete sbilanciate e insufficienti.

Ripercussioni sulla qualità di vita

Dal punto di vista psicologico, i soggetti ortoressici provano intensa frustrazione quando i loro rituali alimentari sono impediti o interrotti in qualche modo.

Provano disgusto quando la purezza del cibo sembra essere violata, oltre a un’emozione di colpa e a un disgusto verso se stessi (talvolta un vero e proprio odio) a seconda del grado di aderenza al sistema di regole interno che ruota attorno alla percezione soggettiva di ciò che è giusto o sbagliato.

L’isolamento sociale

Ed è proprio la rigidità delle regole e delle credenze legate all’alimentazione che possono produrre un’altra conseguenza negativa a livello psicologico: l’isolamento sociale.

La condivisione di un pasto rappresenta uno dei modi chiave con cui socializziamo e costruiamo relazioni interpersonali. Ma per le persone che soffrono di ortoressia l’occasione di un pasto può trasformarsi in un vero e proprio campo minato.

Mangiare cibo che non è considerato puro, o cibo che qualcun altro ha preparato, genera una notevole ansia. Ecco che il pasto non rappresenta un’opportunità di gioia e di serena convivialità. Bensì diventa terreno fertile per tutta una serie di pensieri e di stati emotivi negativi, tali da non permettere di trarre godimento dal cibo.

Qualità dei cibi superiore alla qualità della vita

soggetti ortoressici credono fermamente di riuscire a mantenere un’alimentazione sana fintantoché vivono soli e in pieno controllo di tutto ciò che li circonda.

Si sentono giusti a mangiare cibi che loro considerano come salutari e questo li spinge ad assumere un atteggiamento di superiorità morale. Di conseguenza non desiderano interagire con altri che hanno abitudini alimentari diverse dalle proprie.

La qualità dei cibi prevale sui propri valori personali, morali, sulle relazioni sociali, lavorative e affettive, arrivando a compromettere il funzionamento globale e il benessere dell’individuo.

Il circolo vizioso dell’ortoressia

Chi soffre di ortoressia iper-controlla la propria alimentazione e seleziona accuratamente ogni singolo alimento valutandone la qualità.

L’iperinvestimento sul “mangiar sano” e sull’autocontrollo generano un senso di superiorità nei confronti di coloro che non lo fanno. Allo stesso tempo ogni qualvolta si fallisce, trasgredendo alla regola, si generano forti emozioni di colpa, rabbia, tristezza e ansia.

Ed è proprio a seguito di queste emozioni negative che il comportamento e la regola stessa si irrigidiscono ulteriormente, contribuendo così a mantenerne il circolo vizioso.

Disturbo a sé stante o un insieme di alcuni noti?

Sebbene non inserita all’interno dell’ultima edizione del Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), di recente l’ortoressia nervosa è stata oggetto di ricerche scientifiche che hanno stimolato il dibattito internazionale circa l’opportunità o meno di annoverare questo disturbo all’interno della nosografia ufficiale del mondo psichiatrico.

A tal proposito, alcuni ricercatori dell’Università del Colorado hanno pubblicato un articolo nel 2014 sulla rivista Psychosomatics dal titolo  “MIcrothinking about micronutrients: a case of transition from obsessions about healthy eating to near-fatal ‘orthorexia nervosa’ and proposed diagnostic criteria”, in cui hanno proposto dei criteri diagnostici specifici per questo disturbo.

Ortoressia e anoressia: quale differenza

Alcune delle caratteristiche descritte sopra richiamano sintomi dell’anoressia nervosa.

Ortoressia e anoressia condividono infatti tratti perfezionistici e di ipercontrollo. Tendono a valutare l’aderenza alla loro dieta come sinonimo di autodisciplina e interpretano la trasgressione come un fallimento del proprio auto-controllo.

Data la forte sovrapposizione tra anoressia e ortoressia la ricerca ha mostrato come quest’ultima possa costituire una variante meno grave dell’anoressia o una possibile strategia di coping per i soggetti anoressici (kinzel et al., 2006; Segura-Marcia et al., 2015).

In modo particolare lo studio di Segura-Marcia e colleghi (2015) indica come l’ortoressia sia spesso associata, a livello clinico, ad un passaggio verso forme meno gravi di disturbi alimentari.

Diagnosi differenziale

Ci sono però anche elementi di differenziazione.

La differenza maggiormente significativa tra ortoressia e anoressia concerne la motivazione sottostante allo specifico comportamento alimentare.

A differenza dell’anoressia in cui la preoccupazione è sulla quantità di cibo ingerito e lo scopo del pattern alimentare è di perdere peso, nell’ortoressia gli individui lottano costantemente per la qualità del cibo.

Una persona con ortoressia sarà ossessionata dal definire e mantenere la dieta perfetta, piuttosto che da un peso ideale.

Personalità ossessiva e ortoressia

L’ortoressia presenta anche caratteristiche che si sovrappongono ad altre categorie diagnostiche, per esempio il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità, in termini di perfezionismo, pensiero rigido, e ipermoralità.

Ansia di malattia e ipocondria

sintomi dell’ortoressia possono essere ritrovati anche nel disturbo da ansia di malattia, in cui l’ossessione nei confronti di una dieta salutare può rappresentare una strategia finalizzata a rendere il proprio corpo resistente al rischio di contrarre malattie.

Disturbi psicotici

Infine, rimane la possibilità che l’ortoressia possa essere il segnale di una più grave psicopatologia nell’ambito dello spettro psicotico.

Ad un livello teorico, la caratteristica dell’ortoressia di più grande rilevanza per le psicosi è il pensiero magico correlato al cibo (come ad esempio, mangiare frutta a stomaco vuoto 30-60 minuti prima di un pasto prepara lo stomaco per il corretto assorbimento dei nutrienti).

Si trovano anche credenze erronee basate su leggi intuitive (per esempio, la nozione in base alla quale gli oggetti che sono stati in contatto reale o immaginario continuino a influenzarsi l’un l’altro nel tempo e nello spazio).

Anche la ricerca di una sana alimentazione, dunque, può spingersi verso una sorta di integralismo/fanatismo alimentare, basato unicamente su cibi ritenuti puri e incontaminati.

In questi casi, l’ossessione per il cibo salutare cresce d’intensità al punto da togliere spazio e tempo ad altre attività e interessi, arrivando a compromettere proprio quella salute, tanto desiderata, della quale non rimane niente. Se non la nevrosi del mangiare sano.

La vigoressia, o bigoressia (dall’inglese “big”, grosso), è un disturbo psicologico che si può classificare all’interno dei “nuovi” disturbi alimentari, come ortoressia (ossessione per il cibo ritenuto sano), drunkoressia (digiunare per poi poter assumere alcolici in quantità, senza ingrassare), e pregoressia (alimentarsi il meno possibile in gravidanza per evitare di aumentare di peso); la vigoressia è caratterizzata da una seria dispercezione corporea, opposta a quella dell’anoressia nervosa, che porta il soggetto a sentirsi sempre troppo esile, gracile e magro, temendo di apparire “piccolo”, debole ed anche inadeguato.

Si nota una continua ossessione per il tono muscolare, da sviluppare con un esagerato allenamento e ripetuto esercizio fisico, e per la massa magra, da mantenere attraverso una dieta ipocalorica e iperproteica. Spesso lo sport di elezione è il sollevamento pesi: in base ad alcune ricerche statistiche, la vigoressia riguarderebbe circa il 10% dei soggetti che praticano body building.

Molto diffuso è l’uso di integratori alimentari (es. proteine, creatina), così come l’abuso di farmaci steroidi anabolizzanti, entrambi dannosissimi per la salute.

Il vigoressico pensa continuamente al fitness, al suo corpo ed alla sua immagine, all’alimentazione; frequenta palestre e centri sportivi in modo compulsivo, non come un’abitudine per divertirsi, scaricarsi o mantenersi, semplicemente, sano ed “in forma”, ma come una vera fissazione che origina continuamente stress, insoddisfazione e malessere. E’ terrorizzato dal perdere i muscoli che si è costruito con tanti sacrifici e dal notare qualche eventuale “cedimento” fisico.

Questo disagio, di recente scoperta nell’ambito della psicologia, viene chiamato anche “Complesso di Adone”, dal nome del personaggio della mitologia greca che rappresenta l’idea della bellezza maschile, intesa come perfezione fisica nelle forma estetica; oppure, si può definire come “Dismorfia Muscolare” o piuttosto “Anoressia Inversa”, secondo la sua prima descrizione in un’attendibile rivista scientifica (1993), quando si usava questo termine per contrapporla all’anoressia nervosa.

Infatti, anche i vigoressici soffrono di una percezione distorta del loro corpo ma, al contrario di chi è affetto da anoressia nervosa, che si vede sempre troppo grasso e/o pesante, essi si percepiscono flaccidi, poco tonici o minuti, mentre in realtà posseggono fisici muscolosi ed ipertrofici.

La bigoressia è particolarmente diffusa nella popolazione maschile, tuttavia secondo le indagini statistiche più recenti, starebbe prendendo sempre più piede anche tra le donne; la fascia di età certamente più colpita è quella dei 25 ai 35 anni, seguita da quella tra i 18 e i 24, ma non manca una crescente fetta di persone più adulte, anche over 40, che inconsapevoli del tempo che passa, e spinte dall’idea di riconquistare la propria giovinezza attraverso l’allenamento, si lasciano gradualmente attrarre da allenamenti sempre più duri e frequenti, alimentazione sempre più rigida, sino a trovarsi vittima della vigoressia.

Per quanto riguarda le cause della vigoressia, secondo gli esperti queste sono da identificarsi in una combinazione di fattori di natura diversa, quali: fattori psicologici, fattori sociali e fattori biologici. Sembra che l’autostima giochi un ruolo importante, infatti si tratta di soggetti con una cronica insoddisfazione del loro aspetto e di sé in generale, che sentono la necessità di irrobustire il loro fisico anche per rafforzare la propria immagine interiore. Sono insicuri e si paragonano di continuo agli altri.

Rilevante è anche il ruolo dei media, che propongono continuamente il mito della “bellezza” (intesa sotto vari aspetti, come magrezza, tonicità, giovinezza, aderenza a certi canoni tipici del moderno occidente, ecc.) come unico modello per raggiungere il successo, la felicità, la realizzazione di sé e il riconoscimento sociale. Articoli su riviste, pubblicità e programmi in Tv, video ed immagini sul web incitano a perseguire certi standard, condannando il minimo difetto ed instillando senso di colpa e vergogna in chi è “diverso”.

E’ curioso notare, poi, come siano andati di pari passo l’evoluzione del concetto di “perfezione fisica” e quello di modelli disponibili, anche nel mondo dei giocattoli per bambini.

Fu proprio lo stesso Harrison Pope, autore delle prime ricerche sulla vigoressia, ad osservare la particolare e palese evoluzione di Big Jim, personaggio molto in voga negli anni del boom di Barbie. Inizialmente (1964) era, infatti, morfologicamente simile ad un uomo medio, in forma ma non eccessivamente magro, né ipermuscoloso; con il passare degli anni, con l’avvento del business del fitness, mentre la bambola Barbie dimagriva sempre più fino a quella degli anni 2000, Big Jim cresceva sempre più in muscolatura, divenendo simile ad un classico body builder.

sintomi della vigoressia sono svariati e spaziano da aspetti psicologici, come pensieri ossessivi e paure, a comportamenti anomali; ecco un elenco dei più caratteristici:

-preoccuparsi, in modo ossessivo e spesso infondato, che il proprio corpo non sia sufficientemente magro, muscoloso e atletico;
-praticare programmi di esercizio estremo, che impegna molte ore della giornata e che consiste soprattutto nel sollevamento pesi;
-avere un’attenzione eccessiva e maniacale per l’alimentazione, che, nello specifico, deve comprendere esclusivamente “cibi sani”, ipocalorici ed altamente proteici;
-anteporre l’allenamento sportivo e la cura del proprio corpo alla vita familiare, sociale e lavorativa;
-dedicare la maggior parte del proprio tempo e molte delle proprie risorse economiche nella frequentazione di palestre/centri fitness/centri estetici e nell’acquisto di riviste che trattino la cura del corpo e l’allenamento sportivo finalizzato all’accrescimento muscolare;
-guardarsi continuamente allo specchio (come il Narciso della mitologia greca, inteso appunto in senso “classico” e non nell’attuale accezione psicopatologica), alla ricerca di qualche imperfezione nei muscoli. Per lo stesso principio, evitare categoricamente di guardarsi allo specchio in un periodo di inattività fisica dovuta a cause di forza maggiore;
-allenarsi anche in presenza di infortuni muscolari, che sconsiglierebbero la pratica sportiva;
-provare malessere, ansia e disagio se non possono dedicarsi all’allenamento come preventivato;
-ricorrere continuamente ad integratori alimentari;-far uso di steroidi anabolizzanti, per incrementare la massa muscolare.

Nella vigoressia, tutto ciò è accompagnato, spesso, da comportamenti auto-punitivi, tipo infliggersi allenamenti pesanti, spesso anche molto lunghi, che portano anziché a progressi ad uno stato di sovra-allenamento, con le dovute conseguenze psico-fisiche.

Troppo sport, senza giorni di riposo e con carichi estremi, può avere un effetto opposto sull’apparato muscolare, indebolendolo e rendendolo sempre più suscettibili agli infortuni. Anche i regimi dietetici drastici e molto rigidi contribuiscono a quel che si può definire una forma di “auto isolamento” sociale: ciò emerge, ad esempio, quando si esce in gruppo, anche raramente, e si è terrorizzati dal dover ordinare cibo “normale”, come pizza e birra, per non distinguersi dagli altri.

Tutto questo può portare a stati d’ansia e veri e propri disturbi dell’umore, come depressione, fino a pensieri suicidi. Le uniche persone che vengono ritenute degne di stima, capaci e competenti, sono coloro che condividono il medesimo stile di vita, e che magari hanno già ottenuto risultati di maggiore entità sul profilo fisico. Il desiderio di emulazione diviene talmente grande che si è disposti a intraprendere qualsiasi strada, comprese quelle illecite.

Se non trattata adeguatamente, la vigoressia può avere serie ripercussioni sulla qualità della vita del soggetto e sulla sua salute, infatti l’utilizzo di steroidi anabolizzanti, soprattutto se sconsiderato, è responsabile di gravi effetti collaterali, come atrofia testicolare, ginecomastia, ipertrofia cardiaca, intossicazione epatica, ecc; mentre le diete iperproteiche impegnano eccessivamente i reni, tanto che quest’ultimi, a lungo andare, potrebbero subire un grave danno.

Per giungere alla diagnosi di vigoressia sono necessari determinati criteri (diagnostici) opportunamente riconosciuti dagli esperti, che riguardano sia le preoccupazioni ossessive che comportamenti anomali, riscontrabili con colloqui clinici, osservazione del paziente e strumenti testistici/questionari.

Nello specifico sono 4:

1° criterio: l’individuo con vigoressia antepone l’esercizio fisico e l’attenzione alla dieta a tutto ciò che potrebbe, in qualche modo, fargli rinunciare a una seduta di allenamento o farlo mangiare in maniera inadeguata alle sue abitudini;
2° criterio: l’individuo evita di mostrare il proprio corpo ad altri, per la paura, spesso infondata, di non essere sufficientemente magro o atletico. Qualora non potesse proprio evitarlo, il mostrarsi in pubblico lo porta a sviluppare ansia, stress e disagio;
3° criterio: la preoccupazione ossessiva per la tonicità dei muscoli e per l’allenamento è tale da portare all’isolamento sociale, alla perdita del lavoro ecc.;
4° criterio: l’individuo continua nella pratica di esercizio fisico, anche a dispetto di infortuni, e nell’uso di anabolizzanti, nonostante la consapevolezza degli effetti nocivi che quest’ultimi hanno sulla sua salute.

Per poter parlare di vigoressia, è sufficiente che la preoccupazione per il corpo si manifesti anche soltanto con due di questi quattro criteri diagnostici. Effettuare la diagnosi, comunque, è alquanto complesso, in quanto i soggetti affetti tendono a celare le proprie problematiche o, peggio ancora, non si rendono conto di avere una visione distorta del proprio corpo. Proprio per questo, si ritiene che sia un disturbo sottostimato.

Del resto, quando abbiamo di fronte a noi è un soggetto particolarmente tonico e muscoloso, che pare “scoppiare di salute”, è più probabile che proviamo ammirazione (se non invidia), difficilmente lo consideriamo come un potenziale malato, bisognoso di cure come, invece, può apparire ad occhio chi soffre di anoressia. Manca una reale presa di consapevolezza del problema e, a parlarne, si rischia di poter essere fraintesi, come se il messaggio inviato fosse un inno alla sedentarietà.

Essendo un disturbo di carattere psicologico, il trattamento di prima scelta per la cura della vigoressia consiste nella psicoterapia, preferibilmente ad indirizzo cognitivo-comportamentale, combinata a una terapia farmacologica a base di psicofarmaci di tipo SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina).

Detto questo, si nota che trattarla può rivelarsi assai difficoltoso, in quanto spesso il paziente non ne è consapevole e, innanzitutto, deve rendersi conto che soffre di una patologia e che sta conducendo una vita disadattiva, fonte di danno a carico della sfera sociale e lavorativa (ed anche pericolosa per la sua salute, se abusa di sostanze illecite).

E’ sempre fondamentale il supporto di familiari ed amici, i quali possono aiutarlo a comprendere le conseguenze negative che subisce e motivarlo nel suo percorso. La psicoterapia ha lo scopo fondamentale di insegnare al paziente come identificare pensieri distorti e comportamenti errati relativi al suo disagio, per prevenirli e/o sostituirli con altre modalità più efficaci.

Se il paziente accetta di sottoporsi alle cure previste e dà continuità alle sedute di psicoterapia cognitivo-comportamentale, la vigoressia tende ad avere una prognosi positiva.

A compromettere l’esito, certe volte, anche a dispetto di cure adeguate, potrebbe essere l’uso prolungato, di steroidi anabolizzanti. Si ricordano, infatti, i gravi effetti collaterali a lungo termine, anche dalle conseguenze irreversibili, di queste sostanze.