Dipendenze patologiche

L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) descrive la dipendenza patologica come una “condizione psichica, talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo e una sostanza, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni che comprendono un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione”.

Nonostante il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM-5 continui a proporre una nozione di “dipendenza” riferita principalmente all’assunzione di sostanze psicotrope, questa viene sempre più utilizzata anche nell’inquadramento di particolari entità sindromiche derivanti dallo sviluppo di comportamenti di assuefazione in assenza di qualsiasi sostanza.

Le nuove scienze neurologiche propongono una teoria unitaria della dipendenza, per cui le dipendenze comportamentali e le dipendenze da sostanze sono considerate globalmente. Molti autori stanno cominciando a considerare le “dipendenze da sostanze” (ad esempio da alcol) e le “dipendenze comportamentali” (ad esempio il gioco di azzardo patologico) come manifestazioni cliniche con diverse analogie tra loro e trattabili secondo approcci similari. Per questo si preferisce parlare di “dipendenza patologica”.

Le “nuove dipendenze”, o “dipendenze senza sostanza”, si riferiscono a una vasta gamma di comportamenti anomali: tra esse possiamo annoverare il gioco d’azzardo patologico, lo shopping compulsivo, la “new technologies addiction” (dipendenza da TV, internet, social network, videogiochi…), la dipendenza dal lavoro (workaholism), da sesso (sex-addiction) e dalle relazioni affettive, e alcune devianze del comportamento alimentare come l’ortoressia o dell’allenamento sportivo come la sindrome da overtraining.

Sia le classiche dipendenze da sostanze che le dipendenze comportamentali presentano numerosi elementi in comune:

  • Inizialmente vengono ricercate per il piacere e il sollievo che ne derivano: è la fase della “luna di miele”, durante la quale è anche quasi sempre presente la negazione del problema;
  • La sostanza (o il comportamento) domina costantemente il pensiero: vi è l’impossibilità di resistere all’impulso di assumerla (o di eseguire il comportamento), vissuta con modalità compulsiva;
  • Presenza del craving: desiderio crescente o stato di tensione che precede l’assunzione della sostanza (o la messa in atto del comportamento);
  • Presenza di instabilità dell’umore: inizialmente precedente l’assunzione della sostanza (o del comportamento), successivamente sempre più generalizzata;
  • Presenza di tolleranza, ovvero progressiva necessità di incrementare la quantità di sostanza (o di tempo dedicato al comportamento) per ottenere l’effetto piacevole;
  • Presenza di una crescente sensazione di perdita del controllo sull’assunzione della sostanza (o sull’esecuzione del comportamento);
  • Presenza di un profondo disagio psichico e fisico quando s’interrompe o si riduce l’assunzione della sostanza (o il periodo dedicato al comportamento);
  • L’uso della sostanza (o l’esecuzione del comportamento) continuano nonostante le progressive e sempre più gravi ricadute sul funzionamento personale e interpersonale (sfera lavorativa, affettiva, amicale, personale…);
  • Frequente tendenza a riavvicinarsi alla sostanza (o al comportamento) dopo un periodo di interruzione (fenomeno della ricaduta);
  • Elevata frequenza dell’assunzione di più sostanze (o dell’esecuzione di più comportamenti), nonché di passaggio da una dipendenza a un’altra;
  • La somiglianza dei principali fattori di rischio: impulsività, sensation-seeking, capacità metacognitive disarmoniche, inadeguato ambiente genitoriale.

La terapia cognitivo-comportamentale (TCC) è il trattamento più indicato nelle dipendenze comportamentali, essendo basata su evidenze scientifiche, ed è utile anche nelle dipendenze da sostanze.

La chiave di questa efficacia risiede nell’attenzione che tale approccio pone sullo sviluppo del senso di auto-efficacia del paziente rispetto alla propria patologia, sull’impiego di una terapia psico-farmacologica di appoggio, sul potenziamento delle abilità di coping (ovvero abilità di fronteggiamento dello stress) che riducono progressivamente le aspettative positive che il paziente ripone nel comportamento di dipendenza e sulla collaborazione che si instaura tra paziente e terapeuta nella risoluzione del problema.

Le ricerche mostrano che per la TCC i risultati più importanti si hanno nella prevenzione delle ricadute, poiché i suoi effetti sono durevoli nel tempo e si registrano miglioramenti anche a trattamento concluso (Epstein et al., 2003; Rawson et al., 2006).

Alcuni studi hanno messo in luce come, alla fine del trattamento, i risultati più durevoli siano da ricondurre a interventi Cognitivo-Comportamentali (che quindi intervengono anche sul sistema d’idee e di credenze che la persona ha riguardo a sé stessa, agli altri, al proprio disturbo…), piuttosto che a programmi che si concentrano esclusivamente sul fattore comportamentale legato all’uso di sostanze, come il Contingency Management (CM) (Epstein et al., 2003; Rawson et al., 2002).

Dipendenze da sostanze

Il Disturbo da Dipendenza da Sostanze è un disturbo in forte espansione a causa delle caratteristiche sociali, ambientali e culturali che sono proprie della nostra società. La dipendenza da sostanze tende sempre più a presentarsi sottoforma “poli-abuso”, con dipendenza da molteplici sostanze (Wish et al., 2006; Khong et al., 2004; Schifano et al., 1998) oppure ad associarsi a forme comportamentali di dipendenza come il gioco d’azzardo, il gioco on-line patologico, la dipendenza da cibo, etc… (Fanella, 2010).

Con il termine di “tossicodipendenza” l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce una “malattia ad andamento cronico e recidivante che spinge l’individuo, in maniera coatta, ad assumere sostanze a dosi crescenti o costanti per avere temporanei effetti benefici soggettivi, la cui persistenza è indissolubilmente legata alla continua assunzione della sostanza”.

Nel recente DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – una delle principali classificazioni diagnostiche in psichiatria), la categoria “disturbi da dipendenza e correlati all’uso di sostanze” ha conosciuto cambiamenti sostanziali rispetto alle edizioni precedenti del DSM: le categorie di “abuso” e “dipendenza da sostanze” sono state riunificate in un unico disturbo, misurato su un continuum da lieve a grave, i cui criteri per la diagnosi (quasi identici ai precedenti criteri), sono stati uniti in un unico elenco di 11 sintomi.

Nella stessa categoria compare il disturbo da gioco d’azzardo (in inglese “gambling”), indicato come esempio di una nuova categoria di dipendenze: quelle “comportamentali”. Questo cambiamento riflette una nuova visione per cui alcuni comportamenti, come il gioco patologico, attivano il sistema di ricompensa del cervello con effetti simili a quelli delle droghe, motivo per il quale molti autori stanno cominciando a considerare le “dipendenze da sostanze” e le “dipendenze comportamentali” come manifestazioni cliniche con diverse analogie tra loro e trattabili secondo approcci similari.

Il DSM 5 pone le seguenti condizioni per la diagnosi di un Disturbo da Uso di Sostanze (DUS):

  1. Tolleranza: fenomeno per il quale è necessario intensificare il comportamento di uso (ad esempio aumentando la quantità di droga da usare o la frequenza delle assunzioni) per raggiungere i medesimi effetti sull’organismo.
  2. Astinenza: essa si caratterizza per la presenza di sintomi emotivi o fisici che si manifestano quando il soggetto non può mettere in atto il comportamento di assunzione.
  3. Interruzione o riduzione delle attività sociali, lavorative o ricreative: l’uso di droghe e l’instaurarsi del disturbo provocano una serie di danni sul funzionamento della persona che fa uso (conflitti con le persone affettivamente importanti, problematiche lavorative, influenze sulla considerazione di sé, etc…) che aumentano per intensità, ledendo progressivamente il paziente.
  4. Tentativi infruttuosi di ridurre e controllare l’uso: è frequente che il paziente, prima di chiedere formalmente aiuto allo psicologo o ai servizi, abbia tentato da solo di ridurre l’uso o di “controllarlo”. Generalmente si osserva una fase in cui il paziente è fermamente convinto di poter da solo limitare le proprie condotte realizzando una modalità d’uso conciliabile (ma solo idealmente) con il resto della sua vita, dei suoi impegni e dei suoi doveri.
  5. Dispendio di tempo: quando il disturbo si instaura, o va instaurandosi, un criterio da guardare è quello del tempo che il paziente dedica alla ricerca, all’utilizzo o al riprendersi dagli effetti della sostanza. Tanto più la dipendenza è conclamata tanto maggiore sarà il tempo che alla sostanza è dedicato nel corso di una giornata, fino a divenire l’unica attività presente, nei casi più gravi.
  6. Perdita di controllo sull’uso: il comportamento patologico di uso della sostanza tende a verificarsi nonostante le conseguenze negative che ha evidentemente apportato nel corso del tempo e nonostante le consapevolezze della persona al riguardo (il comportamento di uso diviene “compulsivo”).
  7. Uso continuativo nonostante la consapevolezza che la droga rappresenti un problema: molti pazienti non si fermano nemmeno a fronte dell’insorgere di gravi rischi per la salute oppure davanti a nette crisi familiari.
  8. Uso ricorrente con incapacità ad adempiere i propri compiti: molti pazienti perdono il loro lavoro a causa delle assunzioni di droga, interrompono il corso degli studi, oppure divengono incapaci ad assolvere i loro compiti familiari o genitoriali.
  9. Uso in situazioni a rischio: nel corso del tempo la capacità di stimare il rischio associato alle assunzioni si riduce progressivamente, divenendo le assunzioni compulsive può accadere di sentirsi “costretti” a fare uso nonostante ci si debba mettere alla guida o si debbano svolgere compiti di precisione che non possono essere “razionalmente” conciliabili con lo stato di alterazione dato dalle sostanze.
  10. Uso ricorrente nonostante ciò determini problemi sociali o interpersonali: come precedentemente affermato l’uso di droga diviene saliente, anche a discapito delle proprie relazioni affettive.
  11. Craving: desiderio impellente della sostanza.

La psicologia Cognitivo-Comportamentale ha apportato notevoli contributi alla terapia delle dipendenze da sostanze, sia sul piano della comprensione teorica del problema sia sul piano del trattamento (Hayes et al. 2004).

L’approccio proposto da Carroll mira a favorire l’astinenza aiutando il paziente ad apprendere alcune strategie pratiche di fronteggiamento degli eventi stressanti come alternative all’uso delle sostanze (Carroll, 1998; 1999; 2000; Carroll e Onken, 2005). Questo macro-obiettivo è raggiunto tramite elementi chiave che sono:

  1. Analisi funzionale dell’uso di droga: ovvero la comprensione di come avvenga il comportamento di uso in relazione a specifici eventi antecedenti e alle sue tipiche conseguenze;
  2. Riconoscimento delle situazioni in cui la persona è maggiormente vulnerabile all’assunzione (e apprendimento di strategie efficaci da mettere in atto);
  3. Apprendimento di strategie pratiche per la gestione del craving;
  4. Psico-educazione sulle decisioni “apparentemente irrilevanti” (DAI) connesse all’uso di sostanze (tutte quelle scelte che apparentemente sono innocue e che invece costituiscono potenziali fattori di rischio per una ricaduta);
  5. Attuazione del training per la prevenzione delle ricadute (per prepararsi alla gestione dell’emergenza)

Dipendenze comportamentali

Il concetto di dipendenze comportamentali è un concetto nuovo nella psichiatria. È stato infatti nel 2013, con la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) che al gruppo delle diagnosi psichiatriche ufficiali si è aggiunta la denominazione “dipendenze patologiche comportamentali”.

I nuovi sviluppi delle scienze neurologiche sostengono una teoria neurobiologica unitaria che considera analogamente le dipendenze da sostanze e quelle comportamentali. In linea con questa visione, il DSM-5, per esempio, ha proposto la classificazione del “Disturbo da dipendenza patologica da Internet”, diagnosi che condivide caratteristiche comuni al Disturbo da Dipendenza da Sostanze, come ad esempio il ruolo della dipendenza patologica nel modulare il tono dell’umore, i fenomeni di astinenza e tolleranza, la presenza di recidive, la difficoltà a sospendere il comportamento di abuso nonostante la compromissione del funzionamento individuale.

Mark Griffith (2005) definisce una dipendenza comportamentale sulla base di sei criteri: preminenza (il comportamento tende ad assumere la maggiore rilevanza nella vita della persona, a discapito di altri pensieri, sentimenti e azioni), influenza sul tono dell’umore (conseguenze emotive del comportamento di dipendenza), tolleranza (intensificarsi del comportamento per indurre effetti di sufficiente intensità), sintomi da astinenza (stati d’animo o conseguenze fisiche spiacevoli, conseguenti dalla messa in atto del comportamento), conflitto (conflitti interpersonali derivanti dalla dipendenza instauratasi o incompatibilità con altri compiti o attività personali) e recidiva (presenza di ricadute plurime nel disturbo dopo fasi di sospensione).

Un aspetto peculiare delle dipendenze comportamentali è che esse coinvolgono pulsioni “normali” (come sesso, cibo, amore, denaro…) che divengono però patologiche nella misura in cui raggiungono un certo livello di eccesso e di pericolosità per la persona. Il carattere distintivo della dipendenza comportamentale resta sempre e comunque l’incapacità dell’individuo di mitigare il comportamento nonostante le conseguenze negative che osserva nel suo funzionamento quotidiano.

I comportamenti e i processi legati alla dipendenza comportamentale sono volti a dare piacere, rappresentano spesso una via di uscita dalla sofferenza emotiva o fisica e sono caratterizzati dalla incapacità a controllare la messa in atto del comportamento e l’insorgere di importanti conseguenze negative per la vita della persona.

La terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) è il trattamento più indicato per le dipendenze comportamentali. In questo approccio vengono analizzate le catene tra pensieri e comportamenti messi in atto dal paziente al fine di giungere a strategie gestionali più proficue: i pazienti si impegnano a conoscere le caratteristiche delle loro dipendenze, ad individuare e gestire al meglio le situazioni ad alto rischio ricaduta, a attuare comportamenti alternativi più consoni. Gli “errori” sono analizzati come esperienze da cui trarre insegnamento, per consolidare i risultati raggiunti e perfezionare la prevenzione di future ricadute. L’approccio Cognitivo-Comportamentale prevede anche il coinvolgimento di familiari ed affini, al fine di promuovere un completo ripristino del benessere del paziente.

Cliccando sulle singole dipendenze è possibile approfondirne la conoscenza.

La dipendenza da gioco d’azzardo (“gambling”) si colloca nel Manuale dei Disturbi Mentali (DSM-5) nell’area delle dipendenze patologiche. E’ caratterizzato dall’incapacità di resistere alla tentazione “persistente, ricorrente e maladattiva” di giocare somme di denaro elevate.

Le conseguenze più dirette si rilevano nel deteriorarsi delle attività personali, familiari e lavorative.

E’ possibile che il soggetto che soffre di dipendenza da gioco metta a repentaglio anche una relazione affettiva significativa, il lavoro o delle opportunità scolastiche solo per perseguire nel gioco d’azzardo.

Cos’è il disturbo da gioco d’azzardo

Il disturbo da gioco d’azzardo (gambling) è un comportamento problematico, persistente o ricorrente legato al gioco d’azzardo. Si presenta per un periodo di 12 mesi e comporta disagio e compromissione clinicamente significativi (DSM-5, 2013).

Esso include lo scommettere su determinati giochi (es. carte, attività sportive, lotterie, slot machine).

La dipendenza da gioco si distingue dal gioco ludico per la modalità maladattiva, ricorrente e persistente. Questa esercita un’influenza negativa sui domini personali, professionali, familiari e sociali e spesso è accompagnata da perdite finanziarie e problemi legali.

Sintomi dipendenza da gioco d’azzardo

Il disturbo da gioco d’azzardo (o dipendenza da gioco) presenta molte similitudini con il disturbo da uso di sostanze. Tra le quali: dipendenza dalla gratificazione, comportamento edonico (ricerca del piacere), impulsività nel prendere decisioni/sottovalutazione delle conseguenze, perdita di controllo, craving (bisogno irrefrenabile di ricercare il gioco), ricerca del rischio e tolleranza e astinenza.

Il DSM-5 (2013) identifica i seguenti sintomi (almeno 4 sono necessari per la diagnosi):

  • Bisogno di una quantità crescente di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata (tolleranza)
  • Irrequietezza o irritazione a seguito di tentativi di riduzione o interruzione gioco (astinenza)
  • Ripetuti tentativi infruttuosi per controllare, ridurre o smettere il gioco
  • Preoccupazione per il gioco (pensieri persistenti sul gioco)
  • Spesso il gioco è preceduto da emozioni negative, ansia e depressione
  • Dopo la perdita il soggetto è spinto a ritentare
  • Mente per nascondere l’entità del coinvolgimento con il gioco
  • Mette a repentaglio o perde una relazione significativa
  • Conta sugli altri per procurarsi il denaro

Dipendenza da gioco e disturbo ossessivo-compulsivo

Come per la Tricotillomania, anche la dipendenza da gioco d’azzardo può essere considerata una variante del Disturbo Ossessivo-Compulsivo sulla base della natura compulsiva dell’azione associata all’incapacità di smettere.

Ciò che differenzia differenzia però nettamente il Disturbo Ossessivo-Compulsivo dalle dipendenze comportamentali è che se nel caso del DOC la compulsione ha la funzione di ridurre un’emozione negativa (in genere l’ansia), nella dipendenza da gioco la compulsione produce emozioni positive a cui il soggetto non riesce a rinunciare. Spesso, infatti, continua a giocare nonostante gli ingenti sforzi per controllare, ridurre o interrompere il comportamento.

Caratteristiche delle persone dipendenti dal gioco d’azzardo

La stragrande maggioranza delle persone dipendenti dal gioco d’azzardo sembra ricercare in tale pratica l’avventura e l’eccitazione che vengono soddisfatte puntando cifre di denaro sempre più elevate.

Nel tentativo di recuperare il denaro puntato e perso, il soggetto sarà costretto in una corsa continua, a giocare cifre sempre più alte, al fine di annullare la perdita o una serie di perdite.

Quando le possibilità di ottenere prestiti si esauriscono il soggetto vittima della dipendenza dal gioco può ricorrere, per ottenere denaro, anche a comportamenti antisociali quali la contraffazione, la frode o il furto.

Molte persone affette da Gioco d’Azzardo Patologico possono essere altamente competitive, energiche, irrequiete e facili ad annoiarsi. Inoltre sembrano essere eccessivamente preoccupate dell’approvazione altrui e sorprendentemente generose.

Esordio e diffusione del disturbo

L’esordio della dipendenza da gioco d’azzardo generalmente risale all’adolescenza o alla prima età adulta ma può manifestarsi anche durante la mezza età o in tarda età adulta.

La diffusione della dipendenza da gioco d’azzardo è influenzata dalla disponibilità e dal grado in cui tale pratica è legalizzata, con tassi elevati in entrambi i sessi.

Ultimamente vi è un dilagare di sale gioco e slot machine nei locali pubblici, con un conseguente incremento esponenziale del fenomeno, sia negli adulti che negli adolescenti.

Dipendenza da gioco e disturbi psicologici

Molte persone soffrono anche di altri disturbi, tra cui il più comune è la Depressione, ma anche alcuni disturbi di personalità caratterizzati da impulsività, quali il disturbo borderline e il disturbo narcisistico di personalità.

Gli individui con disturbo da gioco d’azzardo spesso ricorrono al gioco quando si sentono depressi. L’ideazione suicidaria è un aspetto molto frequente nei giocatori patologici e il 17% ha una storia di tentato suicidio.

Cura del disturbo da gioco d’azzardo

La dipendenza da gioco può essere trattata, in particolar modo con percorsi mirati di psicoterapia ad orientamento cognitivo comportamentale.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale ha apportato notevoli contributi alla terapia delle dipendenze.

In particolare si prefigge di favorire l’astinenza aiutando il paziente ad apprendere alcune strategie pratiche di fronteggiamento degli eventi stressanti come alternative al gioco.

Nello specifico consiste nell’analisi funzionale del gioco, nel riconoscimento delle situazioni in cui la persona è maggiormente vulnerabile al gioco, nell’ apprendimento di strategie pratiche per la gestione del craving, nella psico-educazione sulle decisioni “apparentemente irrilevanti” (DAI) connesse al gioco, e nell’attuazione del training per la prevenzione delle ricadute.

Quando l’amore si trasforma in una ossessione che domina la mente e fa soffrire, non parliamo più di amore ma di dipendenza affettiva. Una problematica legata alle emozioni, ai pensieri e ai comportamenti delle relazioni amorose, sempre più diffusa nel mondo contemporaneo.

La dipendenza in una relazione di per sé non è patologica. E’ assolutamente normale, in particolare durante la fase dell’innamoramento, che ci sia un certo grado di dipendenza affettiva e fusione con il partner. Il desiderio di dipendenza dovrebbe diminuire con lo stabilizzarsi del rapporto lasciando nella coppia una piacevole percezione di autonomia.

La dipendenza affettiva disfunzionale è definibile come uno stato patologico in cui la relazione di coppia è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria per la propria esistenza. All’altro viene attribuita un’importanza tale da annullare se stessi e non ascoltare i propri bisogni. Tale meccanismo viene perpetuato per evitare di affrontare la paura più grande: la rottura della relazione. È una condizione relazionale negativa, caratterizzata da assenza cronica di reciprocità nella vita affettiva, che tende a creare malessere psicologico e/o fisico.

Sintomi della dipendenza affettiva

Chi manifesta i sintomi della dipendenza affettiva, invece, ha un desiderio di fusione che si mantiene inalterato nel tempo.

Anche se non viene considerata nei manuali diagnostici come una vera e propria dipendenza patologica, essa può raggiungere una forma così estrema da presentare caratteristiche simili alla dipendenza da uso di sostanze.

Chi soffre dei sintomi della dipendenza affettiva ha un forte bisogno di legame nei confronti di una persona dalla quale dipende totalmente e sulla quale investe tutte le proprie energie. Vive costantemente nell’ansia di poterla perdere e ha bisogno di continue rassicurazioni. Di solito ha difficoltà nell’identificare in modo consapevole i propri bisogni ed obiettivi se non in presenza di una figura di supporto o di un contesto che svolga questa funzione.

Nella coppia tende a porre al partner richieste affettive esagerate ed incongruenti e a non sentirsi amato in maniera sufficiente ed adeguata. Talvolta aumenta tali richieste fino a determinare una rottura definitiva del rapporto.

sintomi della dipendenza affettiva non si manifestano necessariamente all’interno di una relazione di coppia, ma possono manifestarsi anche nei confronti di un genitore, di un altro familiare, di una figura amicale o di una persona d’autorità.

La co-dipendenza

Una particolare forma di dipendenza affettiva è la co-dipendenza. Una condizione multidimensionale che comprende varie forme di sofferenza o annullamento di sé, associati alla focalizzazione delle proprie attenzioni sui bisogni di un partner dipendente da sostanze o da attività.

Nel 1986 Cermak individua quattro tratti distintivi per individuare il co-dipendente:

  • la tendenza ad investire continuamente la propria autostima nel controllo di sé e degli altri;
  • la tendenza ad assumersi responsabilità altrui o di situazioni non controllabili, pur di soddisfare i bisogni del partner;
  • la presenza di stati d’ansia e mancata percezione dei confini tra sé e l’altro;
  • l’abituale coinvolgimento in relazioni con persone con disturbi di personalità, dipendenze, disturbo del controllo degli impulsi o co-dipendenti.

Dipendenza affettiva e struttura di personalità

Il bisogno di protezione e la scarsa autostima costituiscono il tema di fondo di chi soffre di love addiction, alimentato da credenze secondo cui la propria felicità dipende completamente dalla vicinanza di una persona supportiva.

Le caratteristiche della persona con dipendenza affettiva corrispondono in parte a quelle di chi soffre di Disturbo Dipendente di Personalità. Per queste persone lo stato di efficacia personale è infatti tipicamente legato alla presenza di una relazione significativa salda e stabile.

La possiamo però ritrovare anche nel disturbo borderline di personalità, quando il timore dell’abbandono porta la persona a fare di tutto per mantenere la relazione con l’altro. Oppure nel disturbo narcisistico di personalità, quando mantenere un’immagine positiva di sé dipende dall’ammirazione dell’altro, che deve perciò essere disponibile e vicino ogni volta che vi è la necessità di ristabilizzare la propria autostima.

Quindi, non necessariamente un comportamento di dipendenza affettiva indica una personalità totalmente dipendente. È necessario capire quale siano le ragioni sottostanti alla dipendenza e inquadrarle all’interno di un profilo personologico specifico.

Talvolta anche nei disturbi d’ansia (come ad esempio l’agorafobia, il disturbo di panico o le fobie specifiche), si caratterizzano per la necessità di mantenere la relazione con l’altro attraverso il sintomo.

Cause della dipendenza affettiva

La dipendenza affonda le sue radici nell’infanzia, nel rapporto con chi si è preso cura di noi. Coloro che diventano affettivamente dipendenti probabilmente da piccoli hanno ricevuto il messaggio di non essere degni d’amore o che i loro bisogni non siano importanti.

La persona non sarebbe riuscita, nel corso dell’infanzia, a sviluppare una struttura psichica adeguata, a causa di esperienze affettive negative con i caregivers. In questo senso tenderebbe a sopravvalutare irrealisticamente l’altro, perdendo contatto con la realtà.

Solitamente i genitori di questi adulti dipendenti sono stati iperprotettivi e limitanti. Frustravano il bisogno di gioco e spontaneità, si sostituivano ai figli nelle scelte. O, contrariamente, possono essere stati lassivi, senza limiti, tanto che il bambino ha dovuto costruirsi regole proprie rigide e in contrasto con il resto del mondo.

Esiste una stretta connessione tra la tipologia di attaccamento e la personalità. Coloro che soffrono di disagi connessi alla sfera della dipendenza affettiva, generalmente presentano uno stile di attaccamento insicuro, molto spesso di tipo dipendente, oppure evitante o disorganizzato.

Cosa accade nella dinamica di coppia

La scelta da parte del soggetto dipendente di un partner con determinate caratteristiche non è casuale. Il dipendente ha spesso una percezione di sé come una persona non meritevole d’amore. Di conseguenza tenderà a scegliere inconsapevolmente partner problematici, evitanti, anaffettivi che andranno a confermare l’immagine negativa che il dipendente ha di sé.

La dipendenza affettiva quindi non è un fenomeno che riguarda una sola persona, ma è una dinamica a due. A volte il partner del “dipendente affettivo” è un soggetto problematico e/o narcisista. Altre volte la persona amata è rifiutante, sfuggente o irraggiungibile.

Il dipendente dedica tutto se stesso all’altro sapendo come renderlo felice e soddisfacendo i suoi bisogni, fino a che non sentirà un sovraccarico o una coercizione che può portare alla ribellione. In questo caso o sentirà un grande senso di colpa e cercherà di recuperare subito la relazione o se l’altro lo allontanerà, si metterà in cerca di una nuova relazione, per non sentirsi completamente vuoto e inesistente.

Un’altra tipica modalità relazionale è spesso alla base degli eventi di cronaca nera. Riguarda la relazione impostata su dominanza-potere. Di fronte al momento di ribellione del dipendente, l’altro può reagire con intense reazioni maltrattanti. La persona dipendente si sente esclusivamente responsabile e causa dei comportamenti del partner, dandogli ancora più potere e idealizzandolo.

Cura della dipendenza affettiva

Un percorso di psicoterapia può aiutare la persona a superare le condizioni di sofferenza legate a tale stato, in cui la coppia è vissuta come indispensabile e necessario per la propria esistenza.

Il trattamento della dipendenza affettiva mira a:

  • Comprendere il proprio funzionamento, al fine di capire quale sia la motivazione sottostante la dipendenza.
  • Modificare i legami di attaccamento insicuro e rielaborare le esperienze negative per permettere l’instaurarsi di legami significativi e soddisfacenti.
  • Sviluppare l’assertività in modo che il dipendente affettivo possa pensare e manifestare i propri bisogni senza timore.
  • Migliorare l’autostima e la sicurezza in se stessi, lavorando sui propri schemi.

Per uscire dalla dipendenza affettiva il primo passo è la consapevolezza del proprio funzionamento e dei propri schemi. Solo così è possibile intervenire nella relazione con l’altro.

La psicoterapia può aiutare il paziente dipendente affettivo a riconoscere le complesse trappole cognitive ed emotive che lo conducono a sofferenza e infelicità.

Bibliografia

  • Cermak T. (1986). Diagnosing and Treating Co-dependence. Johnson Books, Minnesota.
  • Freud S. (1915). Opere di Sigmund Freud. Pulsioni e loro destini, vol. 8. Bollati Boringhieri, Torino.
  • Fromm, E. (1956.). The art of loving. New York: Harper & Brothers.
  • Liotti, G. (2001). Le opere della coscienza. Psicopatologia e psicoterapia nella prospettiva cognitivo-evoluzionistica. Cortina, Milano.
  • Kernberg, O.F. (1995). Relazioni d’amore: normalità e patologia. Cortina, Milano.