Si chiama rimuginazione o ruminazione l’attività mentale e cognitiva per la quale il soggetto pensa e ripensa a un determinato evento, situazione, stato d’animo, problema o difficoltà. Molte persone trovano o credono che pensare o ripensare a uno stesso argomento in modo stereotipato e rigido sia un’attività mentale e di riflessione utile, ma chi “rumina” si concentra principalmente sui problemi e sulle difficoltà di una situazione e non sulla ricerca di una possibile soluzione.
La ricerca di questi ultimi anni nell’ambito della psicologia clinica ha evidenziato come le donne siano più propense a tale attività e come potrebbe persino esistere un “gene della ruminazione”, cioè una predisposizione genetica a ruminare. Ha dimostrato, inoltre, come la ruminazione sia un processo di pensiero presente in molti disturbi mentali tra cui i disturbi d’ansia, i disturbi alimentari, i disturbi dell’umore, ma anche tra persone “sane”.
La differenza tra coloro che sviluppano un disturbo con questo caratteristico processo di ragionamento diffuso e chi non lo utilizza sta nel fatto che i primi trascorrono molto più tempo ed energie mentali ed emotive a questo genere di attività (amplificandone i suoi effetti negativi e restandone inconsapevolmente vittime), mentre i secondi, dopo un lasso di tempo ragionevole, si rendono conto dell’inutilità di questo processo e lo abbandonano. Quelli che non usano o utilizzano poco la rimuginazione per i propri problemi, si concentrano sulla ricerca di una soluzione concreta praticabile quando possibile, o si dedicano ad altre faccende più concrete, gratificanti, e produttive per problemi senza soluzione.
La cattiva abitudine di rimuginare su un determinato problema genera, infatti, e mantiene stati di disagio o depressivi sempre più intensi e predispone più facilmente alle ricadute in uno disturbo psicologico.
Chi rimugina temendo possa avverarsi il peggio ha poi difficoltà a valutare possibili alternative per gestire la situazione, e finisce per sentirsi alla lunga debole, fragile, insicuro e costantemente soggiogato dalla pericolosità del futuro. Questo atteggiamento cronicizzandosi sempre più dà poi luogo a circoli viziosi mentale sempre più disfunzionali e disadattavi. Il rimuginio, inoltre, è tanto più utilizzato e pervasivo quanto più la persona attribuisce ad esso significati positivi, cioè pensa che rimuginare sia utile, aiuti a risolvere i problemi, riduca la probabilità che accada l’evento temuto, o prepari al peggio. Spesso questo processo viene utilizzato per sentirsi più sicuri o per analizzare meglio un problema, ma le credenze disfunzionali legate all’utilità del rimuginio mantengono una condizione di ansia e una fallace percezione di risoluzione del problema stesso.
Frasi come: “Perché proprio a me? Cosa ho fatto di male?”, non aiutano in realtà a trovare una soluzione e non è detto, come spesso sono convinte le persone che rimuginano, che serva arrivare a conoscere le cause o l’origine del problema per attuare delle giuste scelte o degli efficaci rimedi.
La ricerca clinica ha, infine, dimostrato come continuare “a rigirare nella mente” gli stessi concetti non aggiunga alcuna conoscenza ulteriore al problema perché, mancando l’esperienza e il confronto con la realtà, non si possono modificare le conclusioni a cui si è giunti semplicemente rimuginando. Con un po’ di strategie, pazienza e allenamento tale atteggiamento e’, dunque, più utile cambiare questa tendenza e meccanismo psicologico per vivere al meglio il presente in maniera più consapevole, anziché distrarsi o assentarsi, e raggiungere obiettivi più reali ed una vita più serena.